Prende vita sugli schermi della 78esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia una delle opere più famose dello scrittore francese Honoré de Balzac, Illusioni perdute. Dopo la commedia drammatica Marguerite e l’esperimento comico poco riuscito, Superstar, Xavier Giannoli torna al Lido più in forma che mai deliziandoci con un film delicato ma potente, romantico e anche attuale.
Di cosa parla Illusioni perdute
Siamo nella Francia dell’Ottocento e una voce narrante ci racconta la storia di Lucien (Benjamin Voisin): giovane e speranzoso poeta di provincia. Il ragazzo conduce una vita mediocre, lavorando alla tipografia di famiglia, scrivendo poesie bucoliche e intrattenendosi clandestinamente con la baronessa Louise (Cécile de France). Per dare respiro al suo estro creativo decide però di tentare la sorte nella grande Parigi, sempre sotto l’ala protettrice della baronessa. Le sue umili origini campestri non lo salvano però dalle discriminazioni e dal rifiuto da parte dell’aristocrazia parigina che si fa beffe delle sue opere e della sua relazione con Louise. La città sembra inghiottire Lucien, lasciandolo solo, disperato e senza un soldo. Senza contare che nessuno lo considera uno scrittore, ovviamente.
La svolta avviene quando inizia a scrivere per una piccola testata giornalistica poco corretta. Il suo talento innato per la poesia viene piegato alla mercé di ridicoli ed assurdi articoli creati a tavolino per attirare più lettori possibili. Lucien entra così in contatto con lo scomodo mondo dell’editoria, costellato dei suoi mille inganni ed affari. I suoi articoli, pungenti e controversi, gli si ritorceranno contro ben presto, andando a minare anche l’effimera felicità che gli sembrava di essersi ricavato tra salotti e spettacoli teatrali.
L’infamia del denaro nell’Ottocento come oggi
Nonostante Illusioni perdute di Balzac sia stato pubblicato tra il 1837 e il 1843, sorprende l’accuratezza con cui vengono descritti il mondo dell’editoria, dello spettacolo e non solo. Viene usato da Giannoli l’espediente della voce narrante per raccontarci importanti dettagli sul funzionamento della società di allora. Tramite mazzette e tangenti i commediografi, gli attori, le attrici e i giornalisti stessi si comprano il benestare e gli applausi piuttosto che i fischi e il dissenso. Ovviamente ha la meglio il miglior offerente. Una volta terminato lo spettacolo quindi il clamore dei pochi venduti attira quello del resto della folla facendone uscire l’intera produzione come un successo. Con il disaccordo e i fischi, invece, anche la pièce migliore sarebbe colata a picco. Ai giornali poi il compito di completare l’opera di compravendita tra spazi pubblicitari, ingaggi ed articoli di vendetta o esaltazione. Il tutto per coronare una presunta fama basata sul nulla e, certamente, per guadagnare più soldi possibile.
Illusioni perdute è un’opera di denuncia sociale mascherata da favola romantica. Giannoli, ci racconta di disillusione, mercificazione e compromessi. Le grandi ambizioni di un’anima pura vengono soppiantate dal risplendere dei soldi facili e del successo, che arriva solo quando si è disposti a convenire con la società e le sue regole. Ma è proprio quel successo che porta alla rovina: tradire i propri principi, scendere a patti con il diavolo, donare il proprio talento e la propria integrità al denaro sporco di una ignobile attività porta solamente alla perdizione. Questo il risultato di una società capitalistica volta a lucrare su ogni cosa senza pietà. Giannoli incentra il suo film sulle grandi verità senza tempo portate a galla dalla penna dello scrittore francese.
Illusioni perdute: romanticismo nel contenuto, ma soprattutto nella forma
Illusioni perdute conquista per il suo fascino ottocentesco. Tra i costumi e le feste dell’aristocrazia che sempre ammaliano per il loro sfarzo, fino a dettagli molto più realistici come i teatri dalla cattiva reputazione e le strade della città tutt’altro che lussuose. Il regista francese ci fa vivere un inteso dramma languido e personale. Giannoli fa un ottimo lavoro dietro la cinepresa portando sugli schermi di Venezia un magnetico Benjamin Voisin, che, nei panni di Lucien, dà vita all’archetipo dell’intellettuale spiantato prima, e del bello e dannato dopo. Lo stile barocco e ampolloso di Illusioni perdute ben accompagna lo spessore della critica, volta proprio a minare quello stesso fasto, tanto ricco all’esterno quanto vuoto di arte e sentimento all’interno.
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