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La casa che brucia, Netflix dimostra che strafare non fa mai bene

Cosa pensiamo della serie thriller tratta dal manga di Moyashi Fujisawa

6 minuti di lettura

La casa che brucia è una miniserie giapponese di otto episodi, prodotta da Netflix e disponibile per intero dal 13 luglio; volendo classificarla da un altro punto di vista, è una serie che promette bene già dopo aver visto il trailer e letto la trama e di cui si può dire che punti a far parlare di sé. E infatti di sé sta facendo parlare, ma non per il meglio. A conti fatti sembra che il regista Yuichiro Hirakawa non sia riuscito a raggiungere i risultati prefissati (tra cui rientrava, forse, detronizzare Alice in Borderland?), dimostrando invece come fare promesse spesso sia molto, molto pericoloso.

Una dura verità ricoperta di cenere

La casa che brucia

Makiko Mitarai (Kyoka Suzuki) è una popolare influencer con alle spalle una vita di stenti che, per nascondere ai follower le sue tante mancanze, si vede costretta ad assumere una governante a tempo pieno. Ciò che non immagina è che Shizuka (Mei Nagano), ragazza dall’aria così affabile ed innocente, è entrata nella sua vita sotto falso nome e con uno scopo: raccogliere prove che Makiko sia responsabile del devastante incendio che tempo prima aveva distrutto la sua casa e la sua famiglia.

La casa che brucia è un mix di buoni spunti ed esasperazioni

La casa che brucia 1

L’idea di base de La casa che brucia non si può certo definire originale, ma nemmeno la si può accantonare come noiosa. Al contrario, la vecchia solfa dell’infiltrato di negativo ha solo il suo essere vecchia, per il resto vanta una serie di ottimi esempi non limitati all’ambito cinematografico: la figura della talpa che colleziona informazioni necessarie a ricostruire un coloratissimo puzzle si presta infatti a essere contornata da una gran varietà di sviluppi e motivazioni. Proprio questo rende La casa che brucia accattivante in partenza, il sapere di cosa si tratta ma non del tutto.

La trama della serie è scorrevole e intrigante, quanto basta per permettere alla serie di lasciarsi guardare fino alla fine e non per mancanza di alternative ma per genuina curiosità. I colpi di scena non mancano così come gli spunti di riflessione e i personaggi sono costruiti coerentemente, tanto da permettere al pubblico di simpatizzare con loro e volerli scoprire. La casa che brucia ha molto, sulla carta, di cui vantarsi: il problema è che queste stesse qualità tendono a sbiadire se dall’analisi del copione si passa alla visione vera e propria.

La casa che brucia 4

Prima pecca de La casa che brucia, oltrepassate le discutibili transizioni, è la colonna sonora confusa e incoerente che alterna toni giocosi e guizzi di dramma e che spaventosamente spesso oscilla tra le atmosfere da videogioco e cartoni animati. Nulla togliere a certe pietre miliari di gioventù (giapponesi nella stragrande maggioranza) né a quei manga eterni capolavori, ma certe scelte non sono il massimo se associate a una serie thriller di cui il manga già esiste e a cui dovrebbe solo ispirarsi.

Ebbene la musica passa in secondo piano in nome della soggettività della percezione, se si fa caso alle performance attoriali della serie. Tra sogghigni degni di un genio del male di Disney Channel e sfoghi rabbiosi che provocano risate invece che ansia, è difficile decidere cosa disturbi di più; a esagerare sono anche i veterani dello schermo, il che ancor meno si riesce a digerire non potendosi appellare all’effetto dell’inesperienza. A pensarci bene forse il peggio sono i tuoni, quelli che come nei film di Bollywood anni ’90 durante gli scontri aumentano di fragore e cessano di esistere non appena si placano gli animi.

La casa che brucia, il cringe che ha un suo perché

La casa che brucia 2

Nonostante una serie non sia interamente da buttare, spesso le pecche di realizzazione sono talmente palesi da impedire che si possa apprezzare al cento per cento. Nel caso de La casa che brucia, l’impressione è che la ricerca della tensione sia andata decisamente oltre il consentito e sfociata in inutili fronzoli ornamentali, causa la mancanza di fiducia in un copione non perfetto ma con tutte le carte in regola per riuscire a farsi valere (come dimostra la tendenza dello spettatore a chiudere un occhio).

Ammesso e non concesso che il motivo di tanto chiasso fosse il desiderio di rimanere fedeli al manga, non si poteva ignorare la consapevolezza di stare lavorando a un prodotto del tutto diverso. E non si dica che sfociare nel cringe è tipico della cinematografia giapponese, perché negli anni abbiamo raccolto abbondanti prove di come questa idea popolare non corrisponda al vero: La casa che brucia è solo una serie con molto da dare, che ha finito per inciampare nei suoi stessi piedi senza che nessuno stesse lì a darle la spinta.


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Classe 1996, dottoranda in Ingegneria Industriale all’Università di Napoli Federico II, il cinema è la mia grande passione da quando ho memoria. Nerd dichiarata, accanita lettrice di classici, sogno di mettere anche la mia formazione scientifica al servizio della Settima Arte. Film preferito? Il Signore degli Anelli.

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