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la macchina infernale copertina

La macchina infernale, niente di nuovo sul fronte thriller

9 minuti di lettura

L’opzione fraintendimento, per La macchina infernale di Andrew Hunt, è dietro l’angolo. Sgombriamo il campo: no, il film, uscito nel 2022 e disponibile su Sky, Paramount+ e NOW, non è trasposizione dell’omonima opera di King, ma gli echi al re del terrore li fa ugualmente risuonare squillanti.
A partire dal suo protagonista: scrittore, misantropo, nevrotico e vittima di un cortocircuito tra autore, personaggio e maniacale conflitto mentale con un fanatico ammiratore della sua opera. Quel manoscritto che dà il titolo al film e che è stato pretesto emulativo per una strage compiuta venticinque anni prima da un ragazzino di 17 anni.

Il thriller psicologico di Hunt è incastonato su coordinate di genere ben riconoscibili, dense di intrigo ma precariamente appoggiate su una struttura narrativa che più vuole abbellirsi di ermetismo e più si debilita di organicità. “La giusta combinazione di parole fa fare a un uomo qualsiasi cosa”, ma se è la misura a mancare l’enigma non può che continuare ad ingarbugliarsi su se stesso, infarcendosi di cerebralità e autocompiacendosi dei suoi grovigli. Sulla superficie de La macchina infernale tutto fila (semi)liscio, ma non ci avevano invitati a scavare più a fondo?

La macchina infernale tra le regole del genere

guy pearce ne la macchina infernale

Bruce Cogburn (Guy Pearce) è un ex narratore di successo, autore di un bestseller che ne ha segnato il destino, nelle migliori e peggiori sorti. Dalla strage scolastica che l’ha trasformato in uomo solitario e paranoico fino al recente stalker su cui si apre il presente del film. Un aspirante scrittore, tanto appassionato quanto ossessivo, tampina l’uomo di lettere d’ammirazione e insistenti chiamate e richieste di consigli sul libro che si accinge a scrivere: una particolare narrazione che sembra insinuarsi nelle pieghe della vita di Bruce e riallacciarsi inquietantemente ai fatti accaduti venticinque anni prima.

Il primo atto de La macchina infernale è un incedere cadenzato di situazioni che ritornano su loro stesse, puntellate da una suspense che si carica di sospetto a mano a mano che l’ostinazione del suddetto William Dukent sferza verso piste narrative sempre più tensive. La desolazione paesaggistica di una desertica California del Sud collima con l’isolamento di un protagonitsta sradicato da qualsiasi relazione sociale. Fino a questo punto la regia sa come muoversi abilmente, destreggiandosi bene nel suggerimento dei propri topoi, giocando sul bilanciamento dei tempi e delle attese e guarnendo il regime visivo di suggestioni che qualsiasi spettatore, conscio delle regole del genere, sa di non potersi lasciar sfuggire.

L’incastro narrativo de La macchina infernale

la macchina infernale guy pearce

Poi Hunt accelera improvvisamente, immergendo il suo thriller in una schizofrenia di spunti che non sanno trovare i meritati scioglimenti. A sovrabbondare è la moltiplicazione dei piani di racconto, dove le temporalità e gli ordini di realtà si confondono, seminando simbolismi che si squagliano in una superficialità risolutiva o in un’inadempienza narrativa. Cambiano le coordinate, si intravedono persone ed inizia ad innescarsi un dubbio interpretativo, che dagli indizi nascosti nel manoscritto de La macchina infernale prende vita e negli stessi si disperde.

Se c’è un aspetto su cui il film fa all in, quello è la sua dichiarata – e rimarcata – struttura metanarrativa. La sceneggiatura parte, affonda e ritorna continuamente sulle allusioni concettuali ai precetti del buon scrivere, incanalati nel testo filmico dal motivo reiterato di un professore che suggerisce ai suoi alunni gli elementi indispensabili per scrivere una buona storia.

Su quegli stessi elementi La macchina infernale edifica i suoi inganni, imbastendo una psicosi che trae nutrimento dal parallelismo tra realtà e rappresentazione, incuneata sempre più contortamente tra forma scritta, letta e mostrata. Così il racconto si attorciglia in una matriosca di piani narrativi, e se da un lato appare chiaro che il senso vada cercato nelle intersecazioni degli stessi, dall’altro l’idea di fondo non basta a salvarne la riuscita finale.

Una questione di parole

la macchina infernale

Se l’aspirazione de La macchina Infernale è vestirsi di una complessità trascinante, a disinnescarne il coinvolgimento è la sua ridondanza esplicativa. L’interpretazione spettatoriale annaspa ossimorica tra un disegno di trama che si attorciglia nei suoi misteri e un ammiccamento puntuale agli strumenti che potrebbero servire per sbrogliarne i nodi più arruffati.

Con un uso scaltro di flashbacks e backstories, La macchina infernale confonde, fonde e chiarifica i background di riferimento di tutti i personaggi in gioco. Sceglie di farlo accentrando la sua ambiguità sulla professionalizzazione del Bruce-scrittore e divertendosi a scivolare tra la sua autorialità come genesi di un racconto e la sua passività come pedina di un gioco più grande. E se in chiusura va a segno per effetto sorpresa, nel percorso si indebolisce nel tentativo di spiegare, troppo spesso, ciò che sarebbe bastato persuasivamente mostrare.

La macchina infernale è una questione di scrittura e di controllo, di successione fisica di azioni, reazioni e manovrazioni delle persone e dei ruoli che prendono parte alla generazione di una storia. Su questo il film non lascia dubbi, svenando la fruizione in una martellante ripetizione di indicazioni accurate su dove dirigersi. Contenutisticamente, questo schema troverà il suo bilanciamento in una chiusura interessante, che saprà sciogliere le fila di qualche indizio seminato sul cammino, rabbonito da un arco esistenziale portato a compimento. Formalmente, Hunt bucherà il plot in più punti, accompagnando eccessivamente lo spettatore su alcune strade e abbandonandolo nel buio interpretativo di tutte quelle lasciate incompiute.

Parole, se non sai come usarle, di sicuro useranno te”. Il monito recitato dal film è un occhiolino allo spettatore, ma Hunt sembra cadere nelle sua stessa trappola, scegliendo di verbalizzare gli ingranaggi più suggestivi e finendo per perdere comunque l’orientamento. Il risultato è una sensazione finale di parzialità, che fa de La macchina infernale un film pieno di buone intenzioni ma poco graffiante quando dovrebbe. Nulla di troppo compromettente; nel complesso la storia gira, con un buon rivestimento tecnico e un ritmo che sa sincronizzarsi con i suoi saliscendi emotivi.

L’umanità del suo protagonista diventa centro abrasivo del racconto, ciondolando al tempo dei tic e degli isterismi di un Guy Pearce convincente e carismatico nel trascinare la narrazione. La sua traiettoria è una parabola formativa a scatti collerici, finalizzata a un epilogo appagante e a suo modo sorprendente per un’opera che non aggiunge nulla di nuovo al filone di appartenenza ma sa posizionarsi comodamente al suo interno.


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Laureata in Cinema e Comunicazione. Perennemente sedotta dalla necessità di espressione, comprensione e divulgazione di ogni forma comunicativa. Della realtà mi piace conoscere la mente, il modo in cui osserva e racconta le sue relazioni umane. Del cinema mi piace l’ascolto della sua sincerità, riflesso enfatico di tutte le menti che lo creano. Di entrambi coltivo l’empatia, la lente con cui vivere e crescere nelle sensibilità ed esperienze degli altri

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