Approdato in Italia il 24 marzo, Disney+ conta già milioni di download, dimostrando ancora una volta la superpotenza della multinazionale dell’intrattenimento. Esplorando il ricchissimo e variegato catalogo, tra i supereroi della Marvel e la saga di Star Wars, accanto ai documentari firmati National Geographic e agli irresistibili cortometraggi, emerge una categoria intitolata “classici reinventati”.
Qui, oltre ai remake campioni di incassi come Aladdin e La Bella e la Bestia (Il re leone sarà disponibile dal 10 aprile), si trova un film distribuito esclusivamente tramite la piattaforma streaming: la versione in live action di Lilli e il vagabondo.
Lilli e il vagabondo, una bella storia già vista
Al di là che costituisca una scelta più o meno condivisibile, anche in questo caso il film, diretto da Charlie Bean, non si discosta nelle sue caratteristiche principali dall’originale animato. I protagonisti sono dunque Lilli e Biagio. Lei un cocker spaniel adottata da una felice coppia borghese, lui un meticcio randagio, affezionato esclusivamente alla propria libertà. Quello tra i due cani è quindi prima di tutto un incontro tra mondi diversi. Tale elemento appare tuttavia attenuato rispetto alla versione del 1955. In compenso, il minutaggio superiore permette di approfondire la relazione tra i due protagonisti, col risultato che la nascita del sentimento tra loro appare più naturale.
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Il film, in alcuni momenti, si mostra persino sfacciato nella volontà di creare nello spettatore il tanto osannato effetto nostalgia. Numerose sequenze, infatti, costituiscono una riproduzione identica all’originale. Questo, se per una scena iconica come quella della spaghettata al chiaro di luna era una scelta giusta, saggia e quasi obbligata, in altre occasioni può creare una certa ridondanza. Il pubblico non viene mai stupito, ma continuamente rassicurato, scena dopo scena, col risultato che la nuova versione sembra non poter dare allo spettatore nulla di nuovo e le risulta quindi impossibile elevarsi – o quanto meno distinguersi – nel confronto con il suo originale.
Un remake politicamente corretto
Alcune delle modifiche rispetto al cartone animato riguardano per lo più piccoli dettagli poco significativi; tanto piccoli che viene spontaneo chiedersene la ragione. Un esempio è il cambio di sesso di due personaggi: il vicino di casa Whisky, un esuberante terrier scozzese, diventa la chiacchierona Jackie e il figlio di Tesoro e Gianni Caro è adesso una figlia: Lulu. Su questa linea “femminista” si pone anche un leggero cambiamento nel personaggio di Lilli, qui meno ingenua e più sfacciata della sua antenata in 2D.
Tali scelte potrebbero essere dovute alla ricerca di una qualità progressista, alla quale si legherebbe un’ulteriore caratteristica del live action: il cast multietnico (che vede un cameo del riconoscibilissimo Ken Jeong). Una conformazione di questo tipo, sicuramente significativa dal punto di vista dello star system hollywoodiano, priva tuttavia di verosimiglianza storica il film. Una coppia mista come quella di Tesoro e Gianni Caro, infatti, non avrebbe potuto esistere nell’America dei primi anni del Novecento.
I limiti del live action
Per realizzare i protagonisti sono stati utilizzati dei cani veri, poi modificati digitalmente. Ciò da una parte permette di ricreare con naturalezza i movimenti e gli atteggiamenti degli animali, spesso impegnati in lunghe corse e liberatori ululati alla luna; dall’altra aumenta in chi guarda la sensazione di straniamento, inevitabile alla vista di animali assolutamente realistici che parlano ed assumono espressioni antropomorfe.
Va comunque considerato che, nel momento stesso in cui decide di guardare il live action di Lilli e il vagabondo, lo spettatore è ben consapevole di dover rinunciare a qualunque pretesa di realismo.
Lilli e il vagabondo, l’imbattibilità dei classici
Seppur evidentemente meno ambizioso degli altri remake firmati Disney, Lilli e il vagabondo assolve il compito per il quale è stato creato: intrattenere le nuove generazioni e far fare alle meno nuove un piacevole e nostalgico tuffo nel passato. Esso è dunque un film godibile, ma non memorabile, al quale non viene chiesto (né si dovrebbe chiedere) di migliorare il suo indimenticabile originale.
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