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L'Uomo nel Bosco

L’Uomo nel Bosco: delitto, castigo e misericordia

11 minuti di lettura

Nel bel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita. Vale per Dante, ma è valso per centinaia di altri personaggi letterari, da Cappuccetto Rosso e i suoi incontri poco raccomandabili alla follia di Orlando: il bosco è luogo di perdizione, di violenza e smarrimenti. In un cinema ricco di suggestioni e citazioni colte come quello di Alain Guiraudie i luoghi seclusi, spesso naturali e solo attraversati, non conquistati, dall’essere umano sono il centro dell’azione.

L'Uomo nel Bosco

In questo senso, il titolo italiano del suo ultimo film Miséricorde, adattato con L’Uomo nel Bosco e uscito nei cinema il 16 gennaio 2025, intuisce uno dei livelli di lettura del film: certo il senso viene completamente snaturato, ma un po’ come fu per il capolavoro di Ford Stagecoach (1939) tradotto con Ombre Rosse, il titolo italiano aggiunge senso invece di sottrarne. L’Uomo nel Bosco è stato presentato a Cannes nella selezione del 2024 e ha vinto il primo posto come miglior film della prestigiosa classifica annuale redatta dai Cahiers du Cinéma, passando però in sordina per buona parte del pubblico anche più cinefilo. Vediamo di dedicargli il tempo che merita.

L’Uomo nel Bosco e L’Uomo del Lago

L'Uomo nel Bosco

Protagonista è Jérémie, un giovane uomo che ritorna al suo villaggio natale in una sperduta regione della Francia: deve prendere parte ad un funerale, ma fin dalle prime inquadrature ci risulta chiaro che i rapporti con le altre persone presenti alla funzione non sono limpidi. Chi è Jérémie per loro? Un amico? Un parente? Parte della complessità de L’Uomo nel Bosco è proprio riuscire a districare la matassa relazionale che lega tutti i pochissimi personaggi fra loro: un prete, una madre in lutto per la morte del marito, il suo irascibile e protettivo figlio, la moglie ed il bambino di lui, un suo amico ed un paio di poliziotti.

L’uomo nel bosco del titolo è proprio Jérémie, che osserva la vita del paese nascosto dalle frasche e dalla vegetazione che lo circondano: origlia conversazioni, spia incontri, eppure persiste nel suo egoistico desiderio di rimanere ospite dei famigliari del morto anche dopo la conclusione del funerale. La primissima inquadratura racchiude tutto L’Uomo nel Bosco: da dietro il parabrezza di un’auto, i tornanti di una strada di montagna si alternano a un fitto fogliame inquietamente mosso dal vento; una leggera musica accompagna i movimenti dell’auto e l’intera atmosfera di “quiete prima della tempesta” non può che ricordare la celeberrima apertura di Shining (1980).

Tutto il film si articola in un continuo palleggio visivo fra immagini del bosco, sempre lievemente scosso dal vento, e volti dei protagonisti: noi spettatori siamo portati a scandagliare ogni fotogramma per scoprire qualcosa di nascosto fra le foglie e i tronchi di questi immensi totali, o qualcosa di altrettanto segreto fra le rughe e i dettagli dei personaggi. L’Uomo nel Bosco in questo dialoga attivamente con alcuni grandi autori del cinema classico: primo fra tutti, Rainer Werner Fassbinder coi suoi corpi intrappolati gli uni con gli altri, poi Claude Chabrol, Le Beau Serge (1958) ed Il Tagliagole (1970) in particolare son evidenti fonti d’ispirazione, ed in secondo luogo Robert Bresson e il suo modo sobrio e frugale di inquadrare volti, mani e corpi, caricandoli sempre di un qualche inspiegabile valore religioso.

Sempre di questo valore religioso è necessario parlare per capire L’Uomo nel Bosco, visto anche il suo titolo originale: uno dei precedenti lavori di Alain Guiraudie, Lo Sconosciuto del Lago (2013), è infatti il perfetto interlocutore di questo film più recente: un remoto lago diventa il luogo di ritrovo prediletto dalla comunità omosessuale, che si incontra sulle sue sponde in cerca di sesso occasionale; lì un giovane uomo riesce a conquistare il più ambito dei compagni, un aitante giovane di nome Michel, che però sembra celare oscuri doppi fini. Già in quel film, intriso di violenza ed erotismo almeno quanto L’Uomo nel Bosco, il rapporto torbido che si va a instaurare tra i due protagonisti richiama una lettura in chiave omoerotica della storia di Caino e Abele. Ambientato in un Eden senza alcuna Eva, Lo Sconosciuto del Lago ribaltava anche i rapporti di forza classici dell’originale racconto biblico, mettendo in controllo l’archetipico Abele.

L’Uomo nel Bosco ricalca appieno questa rilettura ampliandone la portata: anche qui “Abele uccide Caino” e la religione se ne fa testimone. Solo che dopo il delitto, il castigo non sembra arrivare: rimane solo una terribile misericordia.

Dio non è morto, è complice

L'Uomo nel Bosco

Ai fini della riflessione, sarà ora necessario affrontare alcuni dei passaggi di trama più significativi de L’Uomo nel Bosco, e per questo si invita chi non l’avesse ancora fatto a vedere il film e poi continuare questa lettura.

Jérémie, nel bosco, uccide l’aggressivo “fratello d’infanzia” spaccandogli la testa con una pietra: da lui era stato accusato di essere rimasto ospite della madre vedova per volerla sedurre, in pratica per aver cercato -e ottenuto- le attenzioni della divinità della casa; testimone del delitto è il prete del villaggio, che però invece di punire Jérémie lo intrappola in una relazione omosessuale fatta di ricatti e perdoni “davanti agli occhi del Signore.” Ne L’Uomo del Bosco vi sono almeno tre livelli tematici: quello del sesso come forza primordiale ed inarrestabile, quello dell’ipocrisia morale e quello della morte religiosa.

Al centro di tutto sta la promiscuità del protagonista, che fino all’ultima inquadratura sembra potenzialmente disposto a fare sesso con tutti gli altri personaggi; solo a noi spettatori è rivelato il motivo per cui egli aveva interesse a rimanere ospite della famiglia anche dopo il funerale e riguarda molto da vicino proprio l’irrefrenabile attrazione che provava e continua a provare per il defunto. Il titolo L’Uomo nel Bosco, in questo caso assume anche una valenza voyeuristica: Jérémie spia chiunque ed è costantemente spiato a sua volta; persino nella colluttazione che risulterà nell’omicidio dell’amico/fratello i loro gemiti e le loro movenze hanno un chiaro sfondo omoerotico.

Dopo aver consumato il delitto, inizia per il protagonista de L’Uomo nel Bosco il difficile gioco della verità e della moralità: faticosamente mentire e lentamente venire eroso dal senso di colpa e dallo sforzo della menzogna o costituirsi e farla finita subito? Improvvisatosi novello Raskol’nikov, l’uomo nel bosco continua a battere i sentieri fra gli alberi smuovendo il fogliame, raccogliendo i funghi cresciuti nel punto in cui ha seppellito il cadavere, mentendo e inventando nuove versioni continuamente, tutto mentre la sua coscienza lo espone a terribili incubi, incresciose paranoie e strani guizzi ora di arte oratoria, ora di incapacità a esprimersi chiaramente.

Sul punto di essere incastrato prima, e su quello di farla finita con la propria coscienza poi, Jérémie viene “salvato” dal parroco: salvato dall’incriminarsi, dal suicidarsi e anche dalla dannazione eterna. In cambio di un malato rapporto sessuale, Dio non si rende giudice e nega il naturale castigo successivo al delitto. Ne L’Uomo del Bosco, la misericordia divina non esiste, non perché Dio sia morto, ma perché anch’egli è complice dei nostri crimini. La misericordia e il perdono sono collettivi e ci riguardano tutti: “ogni giorno bambini muoiono e persone vivono per strada eppure tutti noi andiamo avanti e ci assolviamo” predica il prete a Jérémie. Che differenza c’è fra gli assassini materiali e chi si gira dall’altra parte? Come scriveva Jorge Luis Borges nella sua rivisitazione di Caino e Abele Leggenda, tratto da Elogio dell’Ombra:

Abele e Caino s’incontrarono dopo la morte di Abele. Camminavano nel deserto e si riconobbero da lontano, perché erano ambedue molto alti. I fratelli sedettero in terra, accesero un fuoco e mangiarono. Tacevano, come fa la gente stanca quando declina il giorno. Nel cielo spuntava qualche stella, che non aveva ancora ricevuto il suo nome. Alla luce delle fiamme Caino notò sulla fronte di Abele il segno della pietra e, lasciando cadere il pane che stava per portare alla bocca, chiese che gli fosse perdonato il suo delitto.
Abele rispose:
– Tu mi hai ucciso, o io ho ucciso te? Non ricordo più; stiamo qui insieme come prima.
– Ora so che mi hai perdonato davvero, – disse Caino – perché dimenticare è perdonare. Anch’io cercherò di scordare.
Abele disse lentamente:
– È così. Finché dura il rimorso dura la colpa.


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Appassionato e studioso di cinema fin dalla tenera età, combatto ogni giorno cercando di fare divulgazione cinematografica scrivendo, postando e parlando di film ad ogni occasione. Andare al cinema è un'esperienza religiosa: non solo perché credere che suoni e colori in rapida successione possano cambiare il mondo è un atto di pura fede, ma anche perché di fronte ai film siamo tutti uguali. Nel buio di una stanza di proiezione siamo solo silhouette che ridono e piangono all'unisono. E credo che questo sia bellissimo.

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