Era il 25 maggio 2012 quando Moonrise Kingdom – una fuga d’amore debuttò sugli schermi americani. Settima fatica di Wes Anderson, uno dei più estrosi registi contemporanei, il film ricevette l’entusiasta approvazione di pubblico e critica – motivo per cui riuscì a resistere alla concorrenza di uno dei più grandi blockbuster della storia, The Avengers, che uscì lo stesso giorno. E dunque, a dieci anni dall’uscita di Moonrise Kingdom, non ci resta che celebrarlo con una re-visione.
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Se accettiamo la lezione di autorialità di André Bazin, secondo cui un regista doveva sapere imprimere la propria visione del mondo a ogni sua pellicola, allora è innegabile che con Wes Anderson siamo di fronte a un vero e proprio auteur. I suoi film si riconoscono alla prima occhiata, forse perché c’è qualcosa che scorre al loro interno e li marchia in superficie, un principio vitale che s’impone sia a livello contenutistico, sia visivo. Cerchiamo dunque di individuare il quid andersoniano riguardando una piccola grande perla intitolata Moonrise Kingdom.
La trama di Moonrise Kingdom
Sam (Jared Gilman) e Suzy (Kara Hayward) sono due dodicenni ansiosi di vivere un’avventura. Dopo essersi conosciuti a una recita scolastica ed essersi presi una cotta l’uno per l’altra, progettano in gran segreto una fuga romantica per l’estate.
Lui, boyscout provetto, diserta il campo con grande stupore dei suoi compagni; lei fa le valigie e scappa di casa all’insaputa dei genitori. La polizia viene allertata, e tutti si mettono alla ricerca dei fuggitivi, che da giorni ormai esplorano il territorio e dormono in tenda.
I due alla fine scoprono una spiaggia non segnata sulle mappe e fanno di essa il loro regno – il Moonrise Kingdom del titolo. Nonostante la disapprovazione degli adulti, Sam e Suzy vivono la loro storia d’amore sino in fondo, dimostrando a tutti che il loro è un sentimento sincero.
Da dove arriva il film di Anderson: fonti, riferimenti e alcune suggestioni
Per sondare le gioie e i dolori dell’amore adolescenziale – obiettivo principale del regista – la trama prende spunto da una serie di pellicole del passato. Secondo Anderson e il co-sceneggiatore Roman Coppola, fonti fondamentali sono stati Come sposare la compagna di banco e farla in barba alla maestra, Una piccola storia d’amore e I 400 colpi.
Il primo, film britannico del 1971 meglio conosciuto col nome più conciso di Melody, narra le vicende di due giovani innamorati che decidono di sposarsi, nonostante il parere contrario dei genitori.
Il secondo, uscito nel 1979, racconta anch’esso della relazione di due adolescenti e il loro sogno di recarsi insieme a Venezia, per suggellare il loro amore con un bacio sotto il Ponte dei Sospiri. Anche qua, l’ostilità dei genitori è un ostacolo che la coppia deve superare.
I 400 colpi, infine, è la famosa storia di Antoine Doinel, dodicenne parigino che scappa di casa per ribellarsi ai genitori e ai maestri – alter ego dello stesso Truffaut. Ma è stata anche l’adolescenza dello stesso Anderson a ispirare alcuni particolari di Moonrise Kingdom, come la sua esperienza da Scout e la recita di Noye’s Fludde, rivisitazione dell’Arca di Noè pensata per i bambini.
Personaggi come poesia
I personaggi si incastrano perfettamente nel canone andersoniano, con le loro eccentricità e bizzarrie, i loro traumi irrisolti e l’umorismo irriverente e asciutto.
I due protagonisti ci vengono presentati per dettagli e ognuno di loro porta un oggetto distintivo: Sam il cappello in pelliccia di procione, Suzy il suo binocolo. Vale la pena soffermarsi per un istante sull’importanza simbolica di questo oggetto. Suzy rivela che il binocolo è come un potere magico, perché le permette di percepire ciò che è lontano come se fosse vicino.
Lei è, come noi spettatori, un’osservatrice. Le piace spiare le persone, talvolta cogliendole anche nei loro momenti più privati (è lei, infatti, a scoprire che la madre tradisce il padre con il poliziotto). Sulla scia del Jeff di James Stewart de La finestra sul cortile, Suzy è osservata – dal pubblico – e insieme osservatrice degli eventi del film.
Un’altra dinamica interessante è quella che vede l’inversione dei ruoli tra bambini e adulti. Difatti, mentre vediamo i più piccoli giocare a carte puntando soldi, fumare la pipa e sposarsi, i grandi sembrano regredire. Se Suzy e Sam muovono i primi passi nel territorio della sessualità, i genitori di lei, Laura e Walt, dormono in letti separati. Se Sam sa cavarsela nella natura e autosostentarsi, il capo scout Ward fatica a mantenere l’ordine nel suo accampamento. Se Sam promette di dedicare il suo amore soltanto a Suzy, il capitano Sharp – che diverrà il suo padre adottivo – vive da solo in una roulotte. Gli adulti di Moonrise Kingdom vorrebbero ritornare ai tempi in cui non avevano responsabilità, e l’unico modo che hanno per sfuggire alle pressioni della vita quotidiana è di comportarsi come bambini.
Cosa rende Moonrise Kingdom un film di Wes Anderson
Lo stile andersoniano è riconoscibile anche, e soprattutto, dalla mise en scène, con le inquadrature simmetriche, i colori ad alta saturazione, la disposizione meticolosa degli oggetti in ogni scena e le scenografie teatrali. Moonrise Kingdom in questo non fa eccezione.
È come se lo squilibrio mentale ed emozionale dei personaggi venisse compensato dal rigore geometrico delle inquadrature, dalla scelta del giallo e del blu come tonalità portanti, dalla fabbricazione a mano di oggetti scenici quali mappe, libri e quadri ad acquerello. Il mondo di questo film è vivo e pulsante perché ricco di dettagli, che gli donano autenticità.
Ma la macchina da presa non si posa meramente su un trespolo per inquadrare. Le piace muoversi sulla linearità di carrelli, avanzando, indietreggiando o spostandosi di lato; si concede panoramiche, zoom, split screen; si avvale, infine, del supporto di un narratore omodiegetico per condurci nella storia. Esemplificativa è l’apertura della pellicola: un carrello corre lateralmente, fermandosi per presentarci i personaggi. Uno zoom all’indietro dal viso di Suzy ci mostra la sua casa sulla scogliera – scenografia volutamente antinaturalistica, che anzi ostenta la sua artificiosità. Il carrello prosegue poi sulla sua traiettoria, finché Suzy non riceve una lettera di Sam e, rompendo la quarta parete, ci lancia uno sguardo d’intesa. Il motore si è scaldato, e il film è pronto a partire.
All’uscita di Moonrise Kingdom, il critico Richard Propes lo aveva definito “una storia realistica ambientata in un mondo irrealistico”. Non c’è modo più accurato, crediamo, di qualificare questo film che, accanto alla scrupolosità tecnica, ha saputo accompagnare una delicatezza e una sincerità di sentimenti che pochi possono raggiungere.
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