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Immagine tratta da Non dirmi che hai paura, primo piano di Samia.

Non dirmi che hai paura, morire inseguendo un sogno

6 minuti di lettura

Presentato in Concorso al Tribeca Film Festival 2024 e alla 22esima edizione di Alice nella Città alla Festa del Cinema di Roma, Non dirmi che hai paura, diretto dall’attrice, sceneggiatrice e regista tedesca-turca Yasemin Şamdereli, è disponibile nelle sale italiane dal 5 dicembre 2024. Adattamento dell’omonimo romanzo di Giuseppe Catozzella, finalista al Premio Strega, e ispirato alla vera storia di Samia Yusuf Omar, Non dirmi che hai paura è un ritratto commovente di una ragazza che, senza alcuna retorica, potremmo definire una moderna eroina, per il coraggio con cui ha rincorso i propri sogni, affrontando la tragica realtà in cui era immersa.

A metà tra favola e tragedia, l’adattamento di Yasemin Şamdereli ricorda in parte Io Capitano di Matteo Garrone, non soltanto perché – evidentemente – entrambi i film raccontano quello che Catozzella definisce “il Viaggio”, ma proprio per questo dualismo tra speranza e disperazione. Ma, se la visione fiabesca di Garrone e la sua ricerca della bellezza insita nella tragicità rendevano Io Capitano un film capace di servirsi delle immagini come specchio della speranza, troppo spesso Non dirmi che hai paura rischia di edulcorare la drammaticità e la forza dirompente della disobbedienza politica di Samia (llham Mohamed Osman). 

Non dirmi che hai paura, la storia di Samia

Samia (llham Mohamed Osman) nel film Non dirmi che hai paura.

Samia è una bambina somala che vive a Mogadiscio insieme alla famiglia. Nata durante la guerra civile e costretta a vivere sotto l’egida del fanatismo religioso, sogna di diventare la donna più veloce del mondo e corre tra i vicoli della città insieme all’amico fraterno Alì, inseguendo un futuro migliore. Pronta a tutto per realizzare il proprio sogno, Samia è più forte di ogni difficoltà, di ogni sguardo accusatorio, e a soli 17 anni riesce a qualificarsi alle Olimpiadi di Pechino. Arriva ultima, ma non è importante, perché più di ogni altra cosa vuole dimostrare la propria dignità.

Non dirmi che hai paura sovrappone la storia di Samia a quella del suo Paese. La sua resistenza diventa metafora di quella di un intero popolo martoriato. Il suo desiderio di libertà la innalza a simbolo per le donne musulmane di tutto il mondo. Samia è l’incarnazione della speranza, ma è lei stessa a comprendere l’impossibilità di proseguire la sua vita in Somalia. Un tragico lutto e una dolorosa delusione la convincono infatti a compiere quel Viaggio che potrebbe permetterle di continuare a inseguire il proprio sogno, partecipando alle Olimpiadi di Londra

Samia è morta il 2 aprile 2012 nel Mar Mediterraneo e quella commovente inquadratura finale di Yasemin Şamdereli, così intensa rispetto all’immagine con cui si chiude il romanzo, ci racconta un orrore che deve essere fermato.

Non dirmi che hai paura, la corsa come sogno di liberazione

Un'immagine di Non dirmi che hai paura di Yasemin Şamdereli

Correre equivale spesso a soddisfare un proprio desiderio di libertà. Soprattutto nel cinema, gli esempi sono molti. Basti pensare alla corsa sul ponte dei tre protagonisti in Jules e Jim, o a quella verso il mare di Antoine nella straordinaria sequenza finale de I 400 Colpi. La corsa è un sinonimo di liberazione e lo è evidentemente anche per Samia. Nel romanzo di Giuseppe Catozzella, questo simbolismo è nettamente più accentuato rispetto al film di Yasemin Şamdereli, che, come abbiamo sottolineato precedentemente, non sempre riesce a ritrarre un’istantanea di quello che è invece il ruolo totalizzante che ricopre la corsa nella vita della ragazza.

Certo, era comprensibilmente complicato trasporre sul grande schermo un romanzo che, grazie anche a una scrittura in prima persona, riesce a scavare così nel profondo tra i sentimenti di Samia. Però, in Non dirmi che hai paura tutto è fin troppo edulcorato, dalle immagini alla componente drammatica insita nella storia.

Yasemin Şamdereli rimane per lunghi tratti nel limbo tra favola e tragedia, tra il mondo interiore di Samia, fatto di sogni e speranze, e quello in cui vive realmente, dove l’integralismo islamico soffoca qualsiasi possibilità di rivendicare la propria dignità. Non dirmi che hai paura non ha propriamente quella visione fiabesca di Io Capitano, ma è una frase in particolare, che il padre di Samia rivolge alla figlia, a ricordarcela: A volte i sogni sono tutto quello che abbiamo. E, se è così, dobbiamo essere pronti a morire per inseguirli. Come gli eroi e le eroine. Come Samia.


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Sono Filippo, ho 22 anni e la mia passione per il cinema inizia in tenera età, quando divorando le videocassette de Il Re Leone, Jurassic Park e Spider-Man 2, ho compreso quanto quelle immagini che scorrevano sullo schermo, sapessero scaldarmi il cuore, donandomi, in termini di emozioni, qualcosa che pensavo fosse irraggiungibile. Si dice che le prime volte siano indimenticabili. La mia al Festival di Venezia lo è stata sicuramente, perché è da quel momento che, finalmente, mi sento vivo.

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