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Con Persona Bergman ci sfida come esseri umani e spettatori

Una lettura di imperdibile cult

7 minuti di lettura

Persona è un film del regista svedese Ingmar Bergman uscito nel 1966. Si tratta di una delle opere cinematografiche più impregnate di sperimentalismo del regista, dove la dimensione dell’inconscio e la sua espressione artistica più tipica, ossia il surrealismo, si incontrano con una rappresentazione in bianco e nero molto forte e caratterizzante per l’opera.

Di cosa parla Persona

Persona Bergman

L’attrice Elisabeth Vogler ad un certo punto si blocca, inizia a ridere copiosamente e alla fine si chiude nel mutismo più assoluto. Un fatto che avviene così, all’improvviso, senza una vera spiegazione. Ricoverata poi in un ospedale psichiatrico viene riconosciuta sana, sia fisicamente che psicologicamente, così da far intendere chiaramente che il suo mutismo è di per sé autoindotto, e non frutto di un’afasia.

La dottoressa curante decide di affiancarle un’infermiera personale, giovane ed inesperta, con la quale l’attrice trascorre un periodo di riposo nella sua casa al mare. In questa condizione di isolamento pressoché completo si viene a creare un rapporto molto stretto tra le due donne. Infatti, Alma, l’infermiera, comincia ad aprirsi completamente alla ”silenziosa” Elisabeth.

Le racconta tutto di sé, fino ad arrivare a svelare addirittura delle vicende capitategli molto personali, come un’esperienza sessuale di gruppo e un aborto. Questa totale sincerità e dedizione quasi viscerale verso l’attrice porta Alma a rispecchiarsi, fino ad identificarsi totalmente verso di essa, arrivando così quasi a perdere la propria identità.

Una perdita dell’identità che però è condivisa, perché anche Elisabeth, nel suo silenzio perenne, in qualche modo poi la perde. Infatti nasconde anche lei un segreto pesante che poi si rivela nelle fasi finali del film: l’odio verso il figlioletto, che era stato frutto di una maternità indesiderata. Questa affinità totalizzante e unificatrice tra le due donne però ad un certo punto si spezza quando Alma scopre che Elisabeth aveva rivelato le sue confidenze in una lettera alla dottoressa. Lì inizia ad aggredirla, per poi però pentirsene e decidere di ritornare ad avere un rapporto di distacco professionale. Alla fine le due donne ritornano in città separatamente.

Perché con Persona Bergman trovò il titolo perfetto

Persona Bergman

Per fare un’analisi di questo film si potrebbe partire proprio dal titolo: Persona. Infatti deriverebbe dalla locuzione latina dramatis persona, che nell’epoca antica voleva definire la maschera indossata dall’attore. E questo certamente può essere ricollegato alla professione di Elisabeth.

Ma se si va ancora a scavare nell’etimologia della parola “persona”, ci si accorge che è formata da “per”, che indica un eccesso, e “sona”, che deriva da “sonare”, dunque “suonare”. E quindi il significato di fondo è che la maschera del teatro è colui che amplifica il suono della voce degli attori.

Quindi, se si aggiunge quest’ultimo significato a quello precedente si può dire che in ultima analisi il motivo del titolo sia l’amplificazione del conflitto interiore delle due donne.

Un conflitto che in effetti attraversa tutto il film, ma non rimane nella limitatezza della soggettività interiore solo delle due donne, ma si affaccia all’universalità del genere umano. Perché il dramma centrale ed esistenziale è quasi un dramma comune a tutta la società, dunque un dramma sociale.

La soluzione così in questo caso proposta da Bergman al dramma esistenziale è lo straniamento dal mondo, in primis quello di Elisabeth, che decide di chiudersi in una condizione di mutismo, di totale incomunicabilità, e poi lo straniamento di Alma, che esce dal proprio corpo, dalla propria vita e si appropria della vita di qualcun altro.

In tutto ciò l’interiorità dei personaggi viene denudata completamente, con degli artifici scenografici volti all’indirizzare lo spettatore sempre e solo sui personaggi e sul loro mondo interno. Artifici che poi d’altra parte sono particolarmente sperimentali e surreali, e creano spesso un dualismo ambivalente tra la nevrosi dell’afasia e messaggi quasi subliminali, che intervengono in certi punti del film come dei flash dai tratti simbolisti.

Moravia e Persona, la recensione da leggere

Persona Bergman

Anche Moravia recensì quest’opera di Bergman. Egli diede quattro chiavi di lettura. La prima è quella psicologico-realistica per cui il rapporto tra le due donne sarebbe un rapporto omosessuale non corrisposto tra la persona debole che ama e quella forte che è amata.

Poi un piano ideologico-simbolico, che corrispondente all’ottica di aperta critica moraviana verso la società occidentale, dove il singolo può fare una scelta: o recitare una parte, che però è di per sé insensata, oppure tacere come Elisabeth. Poi un piano filosofico, dove Moravia si ispira a Kierkegaard e al suo discorso sulla disperazione, sul senso di colpa e sull’angoscia esistenziale.

E infine un piano sociologico, per cui Bergman analizzerebbe la situazione della divisione della società capitalista in classi sociali, con un conseguente risultato di disprezzo.

Un’opera misteriosa, ancora oggi

Al di là di come si vuole leggere questo film dalla fisionomia oltremodo enigmatica, di certo siamo davanti ad un’opera che vale la pena di vedere.

Perché in qualche modo forse, in questa sua incomunicabilità, Bergman ci vuole trasportare all’interno del film e lasciarci lì, assieme alle due donne, a riflettere sull’esistenza. E forse in questo senso non c’è una spiegazione oggettiva e ufficiale del film perché non c’è una spiegazione oggettiva dell’esistenza.

E allora così, non si può fare altro che lasciare tutto al relativismo della propria soggettività.


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Classe 1999. Studente di Lettere all'Università degli studi di Milano. Amo la letteratura, il cinema e la scrittura, che mi dà la possibilità di esprimere i silenzi, i sentimenti. Insomma, quel profondo a cui la parola orale non può arrivare.

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