Raffaella Carrà ha incorporato in un’esistenza caleidoscopica tutte le sfumature di un’artista dello spettacolo. Lei, dal fascino felino, lo stile invidiabile e la magnetica presenza sul palcoscenico, ha incorniciato più di cinquant’anni di televisione italiana in un sorriso firmato dal sottile accento bolognese. E il recente 5 luglio ha dovuto salutare la brillante performer, venuta a mancare all’età di 78 anni per un tumore. Così le luci del palco si sono spente e un’intera nazione è entrata in lutto per ricordare la sua dama dal caschetto biondo. Eppure l’inconfondibile capigliatura della Carrà, accompagnata alle sue canzoni a ritmo di ballo, ha descritto la sua parentesi anni Settanta, a sfondo televisivo.
Tuttavia, prima che il mondo la guardasse sulla rete nazionale, Raffaella Maria Roberta Pelloni ha conquistato il cinema. Non è un caso, infatti, che il suo celebre nome d’arte, ispirato al pittore metafisico Carlo Carrà, sia stato inventato dal regista Dante Guardamagna. Era l’inizio degli anni Sessanta e, da quel momento, una giovane e promettente attrice, impreziosita da una chioma bruna e da uno sguardo dolce, ha calcato le scene di grandi e piccole firme del cinema. A cominciare da Tormento del passato (1952), pellicola di Mario Bonnard in cui vediamo la piccola Raffaella Carrà, di soli nove anni, accreditata con il suo nome di battesimo. Ma questo è solo il primo passo di un lungo viaggio che vi raccontiamo in quattro film indimenticabili.
I compagni (1963) di Mario Monicelli
Nel 1959, Mario Monicelli chiude la decade con il suo capolavoro, La Grande Guerra. Un ritratto tragicomico e pregno di drammaticità costruito sulla memoria storica del Primo Conflitto Mondiale. Lì, un’Italia disfatta a Caporetto si cinge della memorabile interpretazione di Vittorio Gassman e Alberto Sordi, accanto al volto indimenticabile della Silvana Mangano di Riso Amaro (1949). E quello scorcio sulle ingiustizie, i soprusi e le violenze si rispecchia in una pellicola di culto del 1963. Si intitola I Compagni ed è uno dei primi film che mette in scena la lotta operaia, capitanata dal Professor Sinigallia.
Un sindacalista vestito della bravura di Marcello Mastroianni, pupillo di un lungometraggio che offre però un particolareggiato e corale ritratto storico e sociale. Come disse Monicelli: “Sono molto soddisfatto dell’equilibrio ottenuto. I personaggi sono tanti, alcuni hanno pochissimo spazio, eppure vengono fuori con il giusto risalto.” Tra questi affiora una giovane Raffaella Carrà nel ruolo di Bianca, di cui è celebre il fotogramma di lei abbracciata in una veste di sciarpe con lo sguardo cupo e marmoreo che sfregia la sua giovinezza. Sullo sfondo in bianco e nero di stampo neorealista, la lotta operaia dell’industria tessile torinese ritaglia una piccola, ma rilevante interpretazione della Carrà agli albori, anche se già consolidati, della sua carriera attoriale.
Il colonnello Von Ryan (1965) di Mark Robson
Nel 1965, Raffaella Carrà è nel fiore dei suoi 22 anni e fresca di una produzione più corposa rispetto alle particine fino ad allora incastonate in film autoriali o epico-mitologici. Ha l’occasione di recitare accanto a The Voice in persona, Frank Sinatra, già al culmine di quel successo musicale che la Carrà comincerà a saldare dal 1971, con il suo primo album omonimo, Raffaella. La pellicola in questione è Il Colonnello Von Ryan (1965) diretto da Mark Robson e incentrato sulla figura dell’aviatore americano Joseph Ryan, catturato dai fascisti e scambiato dagli altri prigionieri come un collaboratore nazista, tanto da affidargli il prefisso Von. E nel suo piano di salvataggio degli altri prigionieri, Von Ryan, interpretato da Sinatra, incontra sulla strada Raffaella Carrà.
Lei interpreta Gabriella, amante di un gerarca nazista, che incontra un tragico destino proprio davanti agli occhi di Von Ryan. E se nel film i due personaggi non erano legati sentimentalmente, Sinatra amava chiamare la Carrà sul set come Signora Von Ryan. Celebre è poi l’aneddoto per cui il maturo cantante avrebbe regalato all’attrice una collana di perle, da lei accettata solo su spinta della sua manager. E poi quella proposta di matrimonio, perduta tra verità e leggenda in una nebulosa narrazione romanzata degli eventi. Anche per questa prima cornice di musica, amore e cinema questa è una delle sue parti più conosciute.
Professione Bigamo (1969) di Franz Antel
Gradualmente, il volto attoriale di Raffaella Carrà si allontana dalla dolcezza giovanile per assumere un ritratto più maturo e consapevole come donna. Come poi dimostrerà la sua carriera musicale e televisiva, l’attrice prosegue sulla linea del profilo internazionale, firmando come co-protagonista il film del 1966 Rose Rosse Per Angelica. Sotto la guida del regista piemontese Steno e con un cast italo-francese, la Carrà avanza poi verso la successiva pellicola, Professione Bigamo (1969). In questo caso la regia è dell’austriaco Franz Antel e Raffaella si affianca sullo schermo a Lando Buzzanca nelle vesti di Teresa.
Lei è la moglie italiana del bigamo Vittorio Coppa, che nasconde una seconda famiglia a Monaco, con l’altra moglie, Ingrid. E ci sembra di rivedere Giovanni Storti ne La banda dei Babbi Natale, in corsa tra una parte e l’altra del confine, finché non si invaghisce della poliziotta Angela Finocchiaro. Anche in questo caso spunta la sorpresa quando Teresa e Ingrid, decise a confrontarsi con la verità in un’aula di Tribunale, scoprono l’esistenza di una terza donna. Ecco quindi che la Carrà passa dal dramma alla commedia, tenendo alto il profilo con eccezionale scioltezza e quel taglio sbarazzino che rivoluziona e modernizza la sua immagine. Sarà lei infatti a prendere l’iniziativa e mettere il marito alla sbarra per la sua infedeltà.
Il caso Venere privata (1970) di Yves Boisset
E l’intreccio di seduzione e mistero si affaccia alla produzione italo-francese di una delle ultime apparizioni della Carrà sul grande schermo. Qui la storia si tinge di giallo nella trasposizione del romanzo Il caso “Venere Privata” di Giorgio Scerbanenco, maestro italiano del genere. Così la classica Milano fa da sfondo all’omicidio di un’affascinante commessa, Alberta Radelli, interpretata dalla Carrà, vittima dell’amore verso un uomo sbagliato. La sua figura conserva una raffinatezza innata che incontra la sensualità femminile, ponendo le basi per il simbolismo di una libertà amorosa di cui la Carrà si è resa paladina.
In questo modo il cinema accompagna la maturazione professionale ed emotiva della sua interprete, consegnandola a una nuova dimensione performativa. Disinibita, battagliera, intraprendente e libera, la Carrà ha ridefinito il ruolo della donna anche attraverso il cinema, connotando la sua maschera attoriale di mille e più sfumature. E laddove i suoi ruoli l’hanno incastonata in precise definizioni sociale, come la moglie e l’amante, Raffaella Carrà ha dimostrato, non solo sullo schermo, ma in tutta la sua brillante carriera, di saper sprigionare magia e valore in ogni occasione.
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Scusa, mancano due parole sul ruolo di Ines o Iris..nn ricordo bene..la Raffa 17enne, in ‘l’ultima notte del ’43’, capolavoro di Florestano Vancini girato a Ferrara.