Il 5 giugno 1993 usciva in Giappone Sonatine, una delle opere più importanti della filmografia di Takeshi Kitano e della cinematografia giapponese post anni ‘90. Presentato alla 46ª edizione del Festival di Cannes nella categoria Un Certain Regard, il film spiazzò il pubblico del suo Paese come altri film di Beat Takeshi, popolarmente riconosciuto in patria più come un personaggio televisivo comico che come un autore di film d’essai. Con Sonatine Kitano sorprese il mondo intero grazie al suo talento e alla sua poetica personalissima, anticonformista e nostalgicamente romantica.
Chi è Takeshi Kitano?
Attore, regista, sceneggiatore, montatore – ma anche comico, conduttore televisivo e radiofonico, scrittore, pittore e autore di videogiochi – Takeshi Kitano è un artista completo, irriverente, in grado di firmare prodotti demenziali (il celebre Takeshi’s Castle) e capolavori cinematografici esistenziali.
Nel 1983 recita per Nagisa Ōshima in Merry Christmas Mr. Lawrence, al fianco di David Bowie, Tom Conti e Ryūichi Sakamoto. Nel 1989 gira il suo esordio Violent Cop, un noir incentrato sull’enfatizzazione della violenza commessa da un antieroe poliziotto; nel 1990 Boiling Point, un film yakuza non convenzionale caratterizzato da una particolare ironia fisica tra il demenziale e il bambinesco; infine, nel 1991, gira Il silenzio sul mare, il primo film nel quale non figura anche come interprete. In quest’ultimo sembra che Kitano si sottragga dalla scena per rendere il film più sensibile, come se la sua maschera comica potesse invalidare la dolcezza di un’opera così diversa da quel che aveva fatto fino a quel momento.
Un film quasi completamente muto, e un titolo italiano che sembra descrivere gran parte della sua filmografia. I silenzi e il mare saranno fondamentali nei film a venire, così come l’ironia e l’anticonformismo visti in Boiling Point, e l’esaltazione della violenza presente in Violent Cop. A questi si aggiunge l’inizio di una collaborazione mitologica con il compositore Joe Hisaishi. Questi elementi caratteristici si uniranno alla perfezione nel suo primo vero e proprio capolavoro: Sonatine.
La decostruzione del genere yakuza
Chiunque guardi un film di Kitano sa che si sta approcciando a un film diverso da qualsiasi cosa abbia già visto. Basti vedere la prima immagine del film (poi divenuta locandina principale): un pesce trafitto da un arpione, sullo sfondo un cielo rosso sangue. L’immagine si sgretola, così come il titolo a cui vengono sottratte le lettere a poco a poco.
Beat Takeshi è uno di quegli autori in grado di creare opere autentiche grazie anche alla sua grande capacità nel far coesistere perfettamente influenze cinematografiche differenti e talvolta opposte. Nei suoi film possiamo godere del rigore nella composizione delle immagini come nei film di Yasujirō Ozu, quadri resi peculiari da cornici di violenza aggressiva degna dei drughi di Stanley Kubrick; l’anarchia al montaggio di Jean-Luc Godard – simbolo di un cinema moderno – incontra gli albori della settima arte grazie alla comicità slapstick di Buster Keaton.
Tanta fisicità, poche parole. Tanto movimento cinematografico, eppure volti che restano impassibili di fronte al pericolo. Le sparatorie simbolo di tensione in qualsiasi altro film yakuza qui risultano anticlimatiche, con i corpi immobili dei personaggi coinvolti – che non cercano riparo – quasi come se non gli interessasse di sopravvivere. Kitano coglie gli stilemi classici del genere, li valorizza nella prima parte del film, per poi scomporli nell’ora seguente. Prima mostra dei personaggi violenti, senza pietà, imperturbabili; poi, una volta lontani dalla società, li fa regredire allo stato infantile.
La spiaggia al confine con la morte
In Sonatine i protagonisti vanno in contro alla morte, ne sono consapevoli. Chiunque scelga la strada della yakuza lo sa. Una volta arrivati all’Isola di Okinawa il film si trasforma e assume forme più imprevedibili e astratte. Quando per la prima volta i personaggi calpestano la sabbia sembrano tornare bambini: le loro armi diventano dei giocattoli, la violenza lascia il posto al divertimento, i proiettili cadono diventando inoffensivi.
La scena in cui i personaggi giocano a kamizumo (un gioco da tavolo che replica il sumo con delle pedine di carta) è la perfetta rappresentazione della metamorfosi del film e dell’infantilizzazione dei propri personaggi – che prima giocano e poi imitano le pedine con i propri corpi – come i bambini imitano tutto quel che vedono. La spiaggia è quindi un limbo, un luogo d’attesa dove i protagonisti con fare bambinesco tornano alle proprie origini, alla mente umana incontaminata, innocente, che trova intrattenimento nelle piccole cose.
Il mare invece, da osservare senza immergercisi, sembra rappresentare la pace eterna; un altro mondo, ultraterreno, che circonda l’isola e ingabbia i personaggi in un destino inevitabilmente già scritto. Quando la pace termina, i volti dei protagonisti sono rassegnati ma preparati, delineati dalla quieta consapevolezza che tutto sarebbe dovuto finire da un momento all’altro. Nessun dispiacere, nessuna paura, solo i volti seri e indifferenti di chi ha finito di giocare e di divertirsi, forse per sempre.
Sonatine, un’esperienza straniante e indimenticabile
Il cinema esistenziale di Takeshi Kitano a primo impatto può risultare ostico per chi non è preparato a un certo tipo di film – o semplicemente per chi si aspetta di vedere un film composto da dinamiche convenzionali.
In Sonatine l’ultraterreno prende forme fantasiosamente reali. A un tratto lo spettatore assiste a un sogno di Murakawa (il personaggio interpretato da Kitano), ma quel che accade all’interno di esso non è più assurdo di quel che accade nella storia reale. Anzi, le atmosfere dell’opera e le azioni dei suoi personaggi sono perennemente trascendentali, tanto che si ha l’impressione di essere sempre all’interno di un sogno. Questa sensazione di realtà sospesa elude lo spettatore più di un film chiaramente surreale; il risultato è un effetto straniante, ma che nel tempo, nella testa di chi guarda, si rivela indimenticabile.
Kitano ha dimostrato di essere un vero maestro del cinema metafisico, autore di film catartici con una capacità unica di passare dal concreto all’astratto senza mai depotenziare la sua poesia narrativa. Il suo è un cinema fatto di violenza e dolcezza, di sogno e quotidiano, di comicità e tristezza. Artista della composizione ma anche genio assoluto del fuoricampo, autore di immagini indimenticabili messe in scena con la perizia di chi comprende l’importanza del cinema come arte visiva, come fosse un regista del cinema muto ritrovatosi negli anni ’90.
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