Negli anni Cinquanta, grazie a Isaac Asimov, si cominciava a parlare di robot, il cui termine viene dal ceco “robota”, «lavoro faticoso», che già lo scrittore di fantascienza Karel Čapek nel 1920 usava per indicare degli automi che sostituivano gli operai nei lavori di fatica. Con Io, Robot Asimov ha portato avanti queste riflessioni, illustrandoci come l’uomo non debba sostituirsi ai robot, ma deve usarli come supporto per la vita di tutti i giorni. Questa idea si sta facendo sempre più forte, soprattutto in questi tempi in cui l’intelligenza artificiale è al centro di ogni dibattito.
Cosa succede, però, se i robot cominciano ad avere vita propria e ci viene richiesto di riconoscerli alla pari? E cosa succede se noi umani decidiamo di assimilarli in tutto e per tutto rinunciando a ogni contatto fisico umano per un mondo tecnologico e illusorio? Hanno provato a darci una risposta in merito Anthony e Joe Russo, fratelli e noti registi dell’MCU, con la loro ultima fatica, The Electric State, film più costoso mai prodotto da Netflix con 320 milioni di dollari di budget e adattamento dell’omonimo graphic novel di Simon Stålenhag, di cui è stato già adattato da Amazon Studios Tales from the Loop nel 2020.
La trama di The Electric State
Siamo in America negli anni Novanta. The Electric State affronta le vicende di Michelle Green (Millie Bobby Brown), una ragazza orfana di genitori morti in un incidente stradale in cui è stato coinvolto anche il fratello Christopher (Woody Norman). La protagonista vive con Ted (Jason Alexander), un genitore affidatario scontroso e assuefatto dal Neurocaster, dispositivo di realtà aumentata, invenzione del Sentre e del suo fondatore Ethan Skate (Stanley Tucci). L’America in cui ci troviamo, però, è molto diversa da quella reale: è un paese retrofuturistico e ucronico, ovvero una versione immaginata e alternativa che prevede un corso diverso degli eventi storici con coinvolgimento della tecnologia.
In questo film, infatti, i robot sono stati creati inizialmente da Walt Disney nel 1955 per i suoi parchi a tema e poi sono diventati sempre più spina dorsale del lavoro globale. Col passare del tempo, si sono coalizzati creando la Robot Equality Coalition capitanata dal robot Mr Peanut (Woody Harelson) per chiedere di essere riconosciuti al pari degli umani. Il governo di Bill Clinton, allora, ha ingaggiato con questi robot una guerra, la cui risoluzione è stata possibile grazie all’invenzione di Skate. Riuscendo a usare tecnologie robotiche, l’esercito americano è riuscito a sconfiggere i robot e a confinarli nella Zona I, zona d’esclusione dove i robot sono stati ghettizzati nel deserto del sudovest americano.
Leggi anche: Citadel, la Serie TV dei Fratelli Russo parte col botto
Dopo il suo successo nel conflitto, la tecnologia Neurocaster è stata commercializzata, e la sua fruizione di massa ha creato una società sempre più alienante dove gli esseri umani non hanno più un vero e proprio contatto fisico, ma cercano rifugio da eventuali nuovi disastri in una sorta di realtà aumentata che ha reso il mondo reale sempre più desolato, quasi fosse un mondo post-apocalittico dove ai robot è vietato l’accesso.
Nonostante ai robot sia vietato vivere con gli umani, Michelle trova a casa sua un robot somigliante a Kid Cosmo (Alan Tudyk), proveniente dal cartone MTV tanto amato dal fratello. Parlando con il robot, Michelle comprende come il fratello sia in realtà vivo, e assieme a lui fugge verso il sudovest americano per ricongiungersi con Christopher.
The Electric State, qualche considerazione generale
Tra una coppia di registi che con Avengers: Endgame hanno realizzato il film di maggiore incasso di sempre, l’uso massiccio di CGI e un cast stellare (oltre a Millie Bobby Brown e Stanley Tucci anche Chris Pratt, Giancarlo Esposito, Anthony Mackie, Ke Huy Quan e Brian Cox) si può pensare che The Electric State abbia avuto al suo debutto un grande consenso unanime da parte della critica.
In realtà, siti autorevoli come Rotten Tomatoes hanno raccolto pareri abbastanza negativi, incentrati soprattutto sul fatto che a una spesa così grossa da parte di Netflix corrisponda un film dalla trama debole che non sfrutta a dovere le risorse impiegate. Oltre a ciò, molte opinioni negative provengono da un zoccolo duro di fan del fumetto che non hanno tanto apprezzato lo stravolgimento della fonte originale di Stålenhag.
Ma è veramente un flop oppure qualcosa di questo film si può salvare? Sebbene a livello di fotografia e scenografia sia un pacchetto ben confezionato, a livello di trama The Electric State non va molto in profondità sul rapporto fra tecnologia e umanità, trattando certe tematiche in modo superficiale. Oltre a questo, dai fratelli Russo ci si aspettava qualche momento di azione più movimentato, ma anche l’azione è ridotta a poche scene che non hanno nulla delle scene mozzafiato che i due fratelli registi hanno saputo regalarci con i loro film della MCU.
Un confronto fra la graphic novel e il film
Come già citato, The Electric State è l’omonimo adattamento della graphic novel del 2018 dello svedese Simon Stålenhag. La graphic novel è composta da tavole in cui prevalgono le immagini e il cui tratto ricorda molto quello dei dipinti di Edward Hopper, a cui Stålenhag si ispira per rimarcare ancora di più la solitudine a cui gli umani sono condannati in un mondo ipertecnologico e alienante, soprattutto a causa dell’invenzione della realtà aumentata che comporta la riduzione del mondo reale a mera landa desolata dove l’uomo si sente ancora più solo.
Leggi anche: Il Robot Selvaggio, una favola universale che scalda il cuore
Il problema, forse, dei fratelli Russo e che ha causato le critiche negative – alle volte un po’ eccessive, dopotutto si tratta di un prodotto di consumo che si lascia guardare – sta principalmente nella difficoltà di riuscire a conciliare questo aspetto meditativo all’azione. I fratelli Russo hanno infatti voluto creare una storia nuova liberamente ispirata al romanzo grafico, in quanto pensavano, come hanno dichiarato al New York Comic Con 2024, di poter rendere più chiara la storia narrata dalla fonte originale:
Abbiamo semplicemente guardato le immagini e la storia che emerge dalla graphic novel. È molto poco chiara. È difficile da capire se non a tratti. Si può dire che c’è un mondo ben più grande dietro a quello che lui [Stålenhag] lascia immaginare mentre lo racconta nella graphic novel
Quello che, quindi, i fratelli Russo hanno voluto fare è rendere movimentata una storia basata tutta sulla riflessione e l’osservazione delle immagini e hanno voluto dare un contesto ben definito alla loro versione di The Electric State, rendendo ancora più chiaro il legame fra l’America, la società di consumo (basti pensare alla presenza di MTV e di Walt Disney, per esempio) e le nuove tecnologie e l’alienazione che esse comportano.
L’America retrofuturista di The Electric State
Immaginando un’America indietro nel tempo dove la tecnologia ha avuto il sopravvento, i fratelli Russo hanno ipotizzato possibili conseguenze della società dei consumi. Uno scenario retrofuturista dove tutte le invenzioni tecnologiche di cui ora facciamo esperienza – dall’IA alla realtà aumentata – sono state inventate negli anni Novanta anziché dagli anni Dieci del Duemila e le grandi aziende di big tech hanno avuto, anche allora, uno spropositato potere mediatico.
Per raccontarci meglio questo mondo ucronico, The Electric State impiega l’uso dell’elemento on the road. Il viaggio che Michelle compie alla ricerca del fratello assieme a Cosmo e ad altri personaggi come il contrabbandiere Keats (Chris Pratt), tra l’altro ex soldato dell’esercito americano nella guerra contro i robot, e il suo robot Herm (Anthony Mackie) è un viaggio innanzitutto immersivo in un mondo che può essere ancora possibile. Il mondo che vediamo è principalmente deserto, e i simboli iconici della società dei consumi come i parchi di divertimento o i diner sono ridotti a mere rovine.
Anche se i fratelli Russo non insistono molto su questo aspetto, The Electric State illustra un contesto che assomiglia molto a quello che vediamo in Fallout o Ready Player One. Ciò a cui assistiamo è una società decadente e decaduta a causa di uno sfrenato individualismo e indifferenza verso ciò che ci circonda, preferendo il paradiso artificiale del Neurocaster invece di affrontare faccia a faccia le difficoltà della vita reale e rendere migliore il posto in cui si vive collaborando attraverso un senso di comunità.
Fondamentale in quest’America retrofuturista è anche la struttura della società: c’è Sentre, l’azienda di big tech che manipola gli umani rendendoli più alienati e soli, e dall’altro lato i robot, emarginati in quanto capaci, come scriveva Asimov, di essere creature per bene, capaci di fare comunità e di aiutarsi a vicenda, cosa che gli esseri umani hanno dimenticato di fare a causa del loro essere sempre centrati su se stessi.
The Electric State, la vita vera è il contatto fra gli altri
Emblematico in questo caso è proprio il personaggio di Cosmo, che sembra aver assimilato la coscienza di Christopher, il fratello scomparso, ancora vivo, o forse no, di Michelle. Andando avanti con la storia e attraverso i flashback nel passato dei due fratelli, scopriamo come Christopher abbia sempre sognato un modo di fuggire alle proprie delusioni e di come la realtà immaginaria del cartone di Kid Cosmo lo abbia aiutato a sperare in un mondo in cui fosse possibile fuggire dalla realtà.
Se confrontiamo questi aspetti con il mondo che vediamo nella storia, ci risulta evidente che entrano in conflitto due aspetti diversi della tecnologia già espressa da Asimov: da un lato una tecnologia che deve dare supporto e conforto all’essere umano, che ha comunque bisogno di avere un contatto con la sua realtà; dall’altro, invece, una tecnologia realizzata per il solo profitto e consumo che ipnotizza le masse, le rende schiave, le priva della propria umanità per arricchire i potenti di turno che vogliono sostituirsi a divinità capaci di eliminare il male e creare la pace.
Come finirà il viaggio di Michelle? Ritroverà o meno suo fratello? Lo scoprirete guardando il film, ma ciò che cerca di inscenare The Electric State è un monito a continuare a restare umani e a non lasciarsi sopraffare dalla tecnologia, poiché separarsi dal mondo esterno attraverso la tecnologia non è la soluzione alla sofferenza. Ciò che ci può aiutare a superare le difficoltà è l’empatia verso gli altri, la creazione di un senso di comunità: solo così si può migliorare la propria società.
Giudizio finale su un film eccessivamente criticato
Non ci resta che rispondere alla seguente domanda: The Electric State è un vero e proprio flop oppure qualcosa da salvare c’è? Se da un lato alcune critiche sono giustificate, come ad esempio lo stravolgimento della fonte originale, la poca profondità, ma anche un’azione non molto spettacolare e la difficoltà nel trovare questi ultimi due aspetti, dall’altro, invece, riteniamo che The Electric State sia un film comunque godibile adatto a tutti e che abbia qualcosa da comunicare, seppur in maniera semplicistica e poco approfondita.
Quello che i fratelli Russo vogliono dirci è che essere umani non significa essere in grado soltanto di creare progresso, ma anche di far sì che quest’ultimo non ci sostituisca. Ci può aiutare, invece, a mantenere contatto con la nostra realtà e a salvaguardare il nostro senso di comunità evitando di piombare in uno sfrenato individualismo alienante che potrebbe rendere certi scenari distopici più reali di quello che possono sembrare.
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!