È in concorso per il Leone d’Oro nell’80ma edizione della Mostra The Killer, il lungometraggio diretto da David Fincher basato sull’omonima graphic novel scritta da Alexis Nolent (aka Matz) e illustrata da Luc Jacamon. Rigoroso ed elegante nello script quanto nell’estetica – merito senza dubbio del fortunato sodalizio con Erik Messerschmidt, Premio Oscar per la fotografia di Mank (David Fincher, 2020) -, The Killer racconta la storia di un assassino di professione che dopo un incidente deve affrontare i propri datori di lavoro in una caccia all’uomo internazionale e si ritrova fare i conti con se stesso.
The Killer – che ha riunito Fincher con lo sceneggiatore Andrew Kevin Walker, suo co-writer ai tempi del thriller cult Se7en (1995) – arriva su Netflix dal 10 novembre.
Michael Fassbender è l’assassino in The Killer di David Fincher
Il Killer (Michael Fassbender) esegue omicidi su richiesta senza farsi troppe domande. Gioca d’anticipo, non improvvisa. Sa esattamente come controllare il proprio battito cardiaco prima di premere il grilletto, conosce le variazioni di traiettoria che può causare il vetro spesso di una finestra e non dimentica di sostituire targhe e passaporti quando viaggia lungo i confini internazionali. È invisibile, non fa rumore, non lascia tracce. Finché fallisce il primo bersaglio e uccide una donna innocente, mal capitata tra il suo proiettile e il bersaglio mancato. I vertici non la prendono bene, e aggrediscono – quasi mortalmente – la sua compagna. È l’inizio di una serie di omicidi che porteranno il Killer a sfidare i propri limiti.
Attenersi al piano, giocare d’anticipo, non improvvisare
“Non sono niente di speciale. Sono solo distaccato” – dice in apertura l’assassino in The Killer. È questa la forza del personaggio: l’apatia.
Michael Fassbender incarna perfettamente la complessità del suo protagonista nel soliloquio confessionale ingaggiato con il pubblico: l’assassino parla, pianifica la prossima mossa, si mantiene in equilibrio rivolgendosi direttamente allo spettatore, partecipante attivo in sequenze studiate al millimetro che ricordano per alcuni versi il mondo video-ludico. Il killer non ha un nome, non rivolge parola a nessuno e quando lo fa è perché sa che chi ha di fronte non avrà occasione di riportarlo.
“Non ho niente di speciale” – dice, eppure non somiglia a nessuno degli assassini nella tradizione di genere: conosciamo i suoi pensieri più profondi, le paure che soffoca, ne riconosciamo l’umanità anche nei gesti che sfuggono al suo controllo. “Attieniti al piano, gioca d’anticipo, non improvvisare. Non fidarti di nessuno, nessuna empatia“, ripete ossessivamente come un mantra. È un assassino che vive negli aeroporti e in b&b di fortuna, anonimo, senza segni particolari, apparentemente non violento eppure spietato quando l’impersonalità del suo lavoro si abbatte violenta nella sua intimità.
In The Killer, David Fincher taglia il materiale narrativo originale, fornito dalla graphic novel, per favorire una sceneggiatura più semplice e lineare: una storia violenta di vendetta in cui emerge il contrasto paradossale tra il pensiero interno del protagonista e le azioni che egli si trova a compiere concretamente. Essenziale e sapientemente minimalista, dunque, l’interpretazione di Fassbender, che a differenza dalla fisicità tipica dell’action si mantiene minuzioso e millimetrico in ogni inquadratura: un assassino che non si sforza di esserlo.
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