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Toilet, la dramedy claustrofobica di Gabriele Pignotta

7 minuti di lettura

Toilet, il nuovo lungometraggio di Gabriele Pignotta, è un film che si serve unicamente dell’espressività visiva e interpretativa per raccontare una storia che si staglia, statica, sullo schermo. A partire dal suo protagonista: un bagno che è uno spazio e un personaggio, il riflesso e il rovescio dell’unico attore che vediamo in campo, metafora pluri-ramificata di rimandi simbolici. Il punto più basso della vita di un uomo che ha sacrificato se stesso a un lavoro ossessivo, l’arena aspra di un percorso introspettivo, lo specchio amorfo di una parabola personale in rotta di collisione e in svolta di crescita.

Disponibile su Sky dal 5 febbraio, il one man show di Gabriele Pignotta – interprete, regista e scrittore della trasposizione cinematografica dell’omonimo spettacolo teatrale – è un racconto di formazione che usa il viaggio e lo ribalta, risolvendo la maturazione interiore all’infuori del movimento on the road e all’interno dell’angoscia claustrofobica di una pausa forzata, vivificata dall’unità di tempo e di luogo che ospita il film.

Toilet: un viaggio statico nell’interiorità

toilet gabriele pignotta

Roma, sei del mattino. Flavio Bretagna (Gabriele Pignotta) si mette in viaggio per concludere un accordo che risolleverà le sorti della sua azienda. Le chiamate imperversano: ex-moglie, segretaria, soci, clienti e dipendenti si accavallano nello scambio fluviale di telefonate che l’uomo riceve nel tragitto, distraendolo al punto da farlo deviare a una stazione di servizio abbandonata, dove si recherà in quel bagno che fortuitamente lo intrappolerà.

Dimenticatosi sbadatamente della strada percorsa, impossibilitato a geolocalizzarsi per l’assenza di rete, Flavio sarà costretto ad arrendersi alla sua paralisi topografica in un presente che, intorno, continuerà ad avanzare a capogiro.

I punti di forza di Toilet in un unico personaggio

toilet gabriele pignotta

Toilet è un film tenuto in piedi dall’interpretazione del suo protagonista, dalla presenza scenica di una performance che con le giuste cadenze tiene alto il coinvolgimento di chi guarda. L’ambiente è scarno, il margine di manovra degli accadimenti tra gli sketch, ridotto all’osso ma misurato negli equilibri, è disinvolto nel bilanciare la narrativa e consente alla storia di spostarsi in avanti.

Assistiamo all’evoluzione esistenziale di un personaggio imprigionato nella sua stessa quotidianità, sullo schermo – non a caso – recluso in uno spazio, vinto da un fluire di priorità, solo lavorative, che gli hanno impedito di vivere la pienezza dei rapporti interpersonali, primo fra tutti quello con la figlia. A caldeggiare la scelta stilistica di rappresentare simbolicamente e metaforicamente i suoi temi, ogni relazione umana in Toilet è filtrata da un apparato, distanziata da quel telefono che sarà il tramite attraverso cui ricostruire la mappa di nemesi e affetti, tutta in fuoricampo, che orienta la vita di Flavio.

Non vedremo mai nessun altro interprete, pur riconoscendo nelle voci off di Vanessa Incontrada, Francesco Pannofino (René Ferretti in Boris), Pasquale Petrolo (Lillo) e Vanina Marini un accompagnamento emotivo al cammino del protagonista. Un incedere fatto di tentativi e sforzi di uscire e concludere la trattativa, imprevisti, gag, momenti comici e spunti riflessivi, tutti vertiginosamente inseriti in un itinerario che dal giorno alla sera lo porterà a mettere in discussione ogni ruolo ricoperto: come padre, uomo, marito, amante e lavoratore.

Saranno una strada sbagliata e una staticità forzata a costringere Flavio a fare i conti con sé stesso, dando avvio a quel moto sensibile e conflittuale che, alla fine, lo porterà sulla retta via, ritrovando a ritroso il senso della sua esistenza.

Toilet: una storia leggera confezionata abilmente

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La dramedy che Pignotta mette in scena con Toilet è frutto della mano di un mestierante, accortamente manovrata da archi e picchi che sanno prendere dal teatro il necessario per trasformarlo in cinema, pur inciampando in discontinui sbalzi di ritmo.

L’intervento sul ruolo e sull’interpretazione è nevralgico nel continuo saltare dentro e fuori dal personaggio: Gabriele è riproduzione del sé attore in questo adattamento filmico del suo spettacolo, Flavio è sintesi di ciò che dovrebbe essere e tradimento continuo di ciò che realmente è.

L’interscambio tra identità e maschera è stratificato, il lavoro sui livelli di rappresentazione edificato con abilità. Alla resa enunciativa concorre l’iconologia di scritte e grafiche che adornano e riecheggiano la narrazione, arricchendola formalmente: dai titoli di testa, variati sul tema del simbologia dei bagni pubblici, alle frasi che imbrattano la scenografia, espedienti essenziali per il ritrovamento del protagonista.

Pose, manierismi, voce ed enfasi di Pignotta collaborano al rendimento modulare di un film che sa esprimersi molto bene, riuscendo a mascherare una retorica un po’ spoglia di messaggi ed intenzioni.
Il merito di Toilet sta nella capacità del suo regista di farcela piacere ugualmente, nascondendo una storia comune dentro a un impianto espressivo rinvigorente e facendo scorrere la sua durata tra sorrisi e leggerezza, permettendo anche a noi, a conti fatti, di goderci il tempo sospeso di una pausa rigenerante.


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Laureata in Cinema e Comunicazione. Perennemente sedotta dalla necessità di espressione, comprensione e divulgazione di ogni forma comunicativa. Della realtà mi piace conoscere la mente, il modo in cui osserva e racconta le sue relazioni umane. Del cinema mi piace l’ascolto della sua sincerità, riflesso enfatico di tutte le menti che lo creano. Di entrambi coltivo l’empatia, la lente con cui vivere e crescere nelle sensibilità ed esperienze degli altri

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