A distanza di 5 anni dal successo de L’uomo invisibile, Leigh Whannell torna dietro la macchina da presa con Wolf Man. Prodotto dalla Blumhouse e disponibile nelle sale italiane dal 16 gennaio 2025, il film ha per protagonisti Christopher Abbott, Julia Garner, Matilda Firth e Sam Jaeger. Reboot di The Wolf Man (1941), l’ultimo lungometraggio del regista australiano è però a tutti gli effetti una reinterpretazione della più classica delle storie, che ciclicamente viene riproposta agli spettatori in una nuova veste, quella appunto che ruota attorno all’affascinante figura del lupo mannaro.
All’interno di un intreccio piuttosto lineare, di quel canovaccio che abbiamo imparato a conoscere, Whannell inserisce una storia familiare che sposta il punto di vista della narrazione, rendendo il film, quantomeno idealmente, una delle rivisitazioni più interessanti che si siano viste sul grande schermo. Idealmente, perché in realtà Wolf Man non riesce a mantenere la promessa fatta allo spettatore, incastrandosi in una ripetitività piuttosto evidente e in quei cliché del cinema orrorifico che vanificano, almeno in parte, un’idea che avrebbe meritato un altro epilogo.
Wolf Man: il mostro per raccontare l’uomo
Blake vive a San Francisco con la moglie Charlotte e la figlia Ginger, che ama più di ogni altra cosa al mondo, prendendosene cura amorevolmente, come suo padre, un uomo autoritario, non ha mai fatto con lui. Il matrimonio sembra tuttavia in un momento non particolarmente felice, e quando Blake riceve la conferma della morte del padre, scomparso ormai da anni, decide di passare del tempo insieme alla famiglia nella casa in cui ha trascorso la sua infanzia, tra le montagne dell’Oregon.
Da questo momento in poi Wolf Man ricorda in un certo senso A Classic Horror Story, perché Whannell ci mostra un viaggio verso un luogo che emana una certa ostilità, in cui il folklore sembra far parte indissolubilmente della quotidianità. Poi improvvisamente un incidente, l’incontro con una creatura che diventa metafora di quel mostro che Blake si porta dentro, che si annida dentro di lui nonostante tenti di respingerlo. E infine il rifugio all’interno della casa del padre, la classica casa nel bosco, che lo ricongiunge con un passato che non è mai riuscito a lasciarsi veramente alle spalle.
In questo senso Wolf Man poteva realmente essere – e in un certo senso lo è comunque – un’interessante rilettura della storia, perché fortemente attuale e carica di una tensione emotiva e di un sentimentalismo che avrebbero potuto – e dovuto – regalare al film una sensibilità più spiccata per quanto riguarda le dinamiche familiari, che restano invece piuttosto superficiali. Whannel si serve dell’horror e della mostruosità per raccontare in realtà qualcosa di estremamente umano, tuttavia, quando l’umanità abbandona il protagonista, Wolf Man non riesce, nella sua componente puramente orrorifica, a essere altrettanto efficace.
Un’oscura eredità
Nella sua indiscutibile attualità, la narrazione di Wolf Man ruota evidentemente intorno al tema dell’eredità, intesa soprattutto come l’inevitabile influenza di un genitore sul proprio figlio, e quindi parallelamente su quello della genitorialità. È proprio attraverso il rapporto di Blake con il padre che Whannell inserisce il proprio film all’interno di un quadro simbolico in cui questa oscurità latente coincide proprio con i traumi di un’infanzia che ha lasciato delle ferite aperte nell’animo del protagonista.
L’amore di Blake per sua figlia Ginger fa infatti da contraltare all’assenza di affetto che ha segnato in modo indelebile il suo percorso come uomo e come genitore, ed è proprio questo desiderio di allontanarsi dalla figura paterna, di essere un uomo e un padre migliore, a rendere ancora più dolorosa la sua trasformazione.
Wolf Man trova la propria dimensione migliore all’interno di una prima metà in cui lo spettatore assiste a quello che potremmo definire un lungo addio. Il dolore e la disperazione negli occhi di Blake mentre abbandona lentamente il suo corpo, l’oscurità che inizia a impossessarsi di lui, il pensiero che non potrà più proteggere sua figlia come le ha sempre promesso, tutto contribuisce a una drammaticità che avvolge la famiglia in un lutto soffocato dal terrore.
Nonostante un lavoro eccellente per quanto riguarda il sonoro, capace di mantenere alta la tensione disturbando quasi la percezione dello spettatore e restituendogli le sensazioni del protagonista, quando Wolf Man esce allo scoperto, mostrando il suo aspetto puramente horror, le dinamiche iniziano a farsi decisamente ripetitive. Tralasciando uno sperimentalismo visivo comunque interessante, Whannell non riesce a imboccare la giusta strada per portare a compimento quelle premesse così ben orchestrate, perdendosi tra i sentieri di quell’oscura foresta, in un canovaccio che gira a vuoto per tornare al punto di partenza.
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