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Zero, pregi e difetti della nuova serie italiana Netflix

5 minuti di lettura

Il 21 aprile è uscita su Netflix la prima stagione di Zero, nuova serie italiana prodotta da Fabula Pictures e Red Joint Film e basata liberamente sul romanzo Non ho mai avuto la mia età di Antonio Dikele Distefano. Lo show è un caso unico in Italia poiché rappresenta una Milano che non siamo abituati a vedere, quella di periferia, e conta un cast composto prevalentemente da attori neri di seconda generazione.

Scopriamo allora i punti di forza e quelli di debolezza di una delle serie più chiacchierate del momento.

Di cosa parla Zero

Zero

Omar (Giuseppe Dave Seke) è un giovane ragazzo che abita nella periferia di Milano con suo padre, Thierno (Alex Van Damme), e sua sorella, Awa (Virginia Diop) ed è stato separato dalla madre da bambino. Il suo sogno è quello di trasferirsi in Belgio e diventare un fumettista di successo; per questo motivo, cerca di mettere da parte dei soldi lavorando come fattorino. Quando scopre, per puro caso, di avere il potere di diventare invisibile, la sua vita cambia per sempre.

Assieme a Sharif (Haroun Fall), Sara (Daniela Scattolin), Momo (Richard Dylan Magon) e Inno (Madior Fall), che lo aiutano a controllare i suoi poteri, Omar tenta di salvare il Barrio, quartiere in cui vive, dalla gentrificazione. Il ragazzo inoltre si innamora di Anna (Beatrice Grannò), con la quale intraprende una relazione fatta di alti e bassi.

Mai più invisibili

Zero

L’invisibilità a cui si fa riferimento in Zero è quella della cosiddetta seconda generazione, costituita dai figli delle persone immigrate nati in Italia o arrivati nel Paese durante l’infanzia o l’adolescenza che lottano per vedere riconosciuta la loro cittadinanza italiana. Le persone nere sono invisibili anche nei prodotti cinematografici e seriali italiani: le stesse Daniela Scattolin e Virginia Diop hanno ammesso di aver avuto non poche difficoltà nel mondo della recitazione in quanto non bianche. Zero rompe con questa tradizione discriminatoria e porta queste persone e le loro problematiche sullo schermo.

C’è una forte disuguaglianza tra chi è nero e vive in periferia e chi è bianco e benestante e la serie la mostra soprattutto per mezzo dei conflitti tra Omar e Anna. La ragazza, appartenente alla seconda categoria, fatica a comprendere i problemi del compagno e anzi, pensa che azioni eticamente discutibili o addirittura criminali possano essere giustificabili in nome degli affari. Lui, invece, è molto legato al suo quartiere e sente addosso il peso di una società che non lo prende in considerazione e tratta chi è come lui in maniera ingiusta.

Un’occasione sprecata?

Zero

Purtroppo il potenziale innovativo di Zero non è valorizzato dalla sceneggiatura, che presenta incongruenze, dinamiche stereotipate e dialoghi irrealistici che non si confanno alla giovane età dei protagonisti e penalizzano delle interpretazioni già di per sé deboli. La durata risicatissima delle puntate, che a volte tocca a stento i 20 minuti, favorisce il binge watching ma impedisce un approfondimento adeguato delle tematiche trattate, raschiandone solo la superficie. La fotografia curata rende la serie piacevole alla visione, ma non è abbastanza per nasconderne i numerosi limiti.

Seppur interessante, la colonna sonora non si sposa molto bene con la storia. Alla fine del primo episodio, ad esempio, è presente un brano di Marracash il cui testo e beat sono in netto contrasto con la carica drammatica della sequenza mostrata. Tra gli artisti e le artiste che compaiono nel corso delle otto puntate, ricordiamo anche FKA twigs, Madame, Mahmood (che ha composto Zero appositamente per la serie), Lous and the Yakuza ed Emis Killa.

Il futuro di Zero

Zero si posiziona sullo stesso livello di altre serie italiane teen uscite su Netflix (Baby, per esempio), che seppur suggestive sul piano estetico non brillano in termini di scrittura e recitazione. Non è ancora arrivata la conferma ufficiale per una seconda stagione, ma qualora dovesse andare in porto c’è molto da migliorare. L’impressione, al momento, è quella di aver visto un lungo episodio pilota che ha gettato tanti (forse troppi) semi per gli sviluppi futuri.

A prescindere da ogni discorso qualitativo, comunque, Zero ha fatto da apripista per una maggiore rappresentazione delle persone nere italiane e per questo merita l’attenzione che sta ricevendo.


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Classe 1999, pugliese fuorisede a Bologna per studiare al DAMS. Cose che amo: l’estetica neon di Refn, la discografia di Britney Spears e i dipinti di Munch. Cose che odio: il fatto che ci siano ancora persone nel mondo che non hanno visto Mean Girls.

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