fbpx
Da sinistra Adriano Giannini, Pierluigi Gigante, Valentina Bellè e Marco Giallini. ACAB- La serie

ACAB – La serie, tra personalismi e dovere collettivo

8 minuti di lettura

Dopo 11 anni dalla realizzazione del film curata da Stefano Sollima (fa parte della trilogia della Roma criminale, culminata con Adagio), ACAB torna su Netflix in formato seriale prodotto dal regista romano e diretto da Michele Alhaique con protagonisti nuovi, e una narrazione che si concentra di più sul lato umano dei poliziotti. Sia la serie che il film sono un adattamento dell’omonimo romanzo di Carlo Bonini.

Una scena di ACAB - La serie su Netflix, diretta da Michele Alhaique

Nel cast figurano il personaggio di Mazinga (Marco Giallini), già presente nella pellicola di Sollima, e nuovi volti quali il caposquadra Pietro Fura (Fabrizio Nardi), Michele Nobili (Adriano Giannini), Marta Sarri (Valentina Bellè) e Salvatore Lovato (Pierluigi Gigante). Tra di loro si instaura un rapporto inizialmente contrastante, poiché mossi da idee e metodi diversi. Nel corso dei sei episodi, ACAB alterna momenti di alta tensione con altri dove viene meno in funzione di inquadrature fisse che si focalizzano sui volti dei personaggi, segnati sia dalla violenza degli scontri, sia dalle loro vicende personali.

Armonia e caos in ACAB

Una scena con due personaggi in tenuta antisommossa, in ACAB La serie, su Netflix, diretta da Michele Alhaique

ACAB inizia con la protesta del movimento No Tav in Val di Susa, storica battaglia promossa da un numeroso gruppo di cittadini contro la realizzazione di infrastrutture e trasporti ad alta velocità. Tra i poliziotti e i manifestanti c’è sempre stata un’avversità non indifferente, come dimostrano alcuni fatti storici che hanno segnato l’immaginario collettivo. Proprio su questo elemento fa leva ACAB, mostrando una serie di sfumature, senza prendere una posizione netta. La violenza non conosce limiti, soprattutto quando un collega -visto più come un fratello- viene ferito.

Inizia qui il drammatico viatico dell’unità del Reparto mobile di Roma, diviso a metà tra le idee riformiste e moderate di Nobili e quelle vecchia scuola della squadra di Mazinga, che hanno permesso di mantenere integra la loro unione basata su principi di fratellanza e solidarietà, specialmente quando bisogna fare fronte comune sui tentativi di accuse. La particolarità di ACAB – La Serie è che, seppur la narrazione si muova su più fronti, non c’è un allontanamento dal tema principale poiché coinvolge tutti i personaggi, cogliendone le fragilità che si riflettono sul proprio lavoro.

La complessità della giustizia

Qual è lo stato di salute attuale della giustizia italiana? La domanda appare lungimirante se guardiamo al contesto socio-politico odierno, costellato da continue manifestazioni represse con la violenza, esercitata proprio dai poliziotti, e da decreti legge che parrebbero minare sempre di più la libertà d’espressione. Quando le vicende di ACAB comparvero per la prima volta sotto forma di romanzo, nel 2009, aleggiava nell’aria molta preoccupazione per il senso di giustizia, il quale ha subito un drastico ridimensionamento dopo i tragici eventi del G8 di Genova nel 2001 e altri gravi fatti giudiziari che hanno sconvolto l’Italia.

Il tema dominante di questa trilogia mediale è la figura del poliziotto, spesso soggetto di etichettature che non lasciano scampo a una visione positiva. Da fascista a corrotto, da “bastardo” – come recita la lettera finale dell’acronimo ACAB – a “figlio di puttana” come dicono in coro i manifestanti. Gli uomini in divisa dovrebbero assicurare l’ordine pubblico in situazioni delicate, ma capita frequentemente che la gestione di esso precipiti e diventi puro caos, adrenalina che trova sfogo nelle manganellate.

La violenza viene mostrata attraverso una dicotomia delicata che divide il carattere duro esternato dalla semplicità con cui vengono rappresentate le manganellate, e quello più labile, situato nel profondo dell’animo dei personaggi, vicini alla crisi che provocherà in loro una presa di consapevolezza determinante, seppur la morale di fondo risieda in una forte tautologia: un reato è un reato, senza distinzioni. Dunque, il disordine diventa il motore dell’azione violenta dei celerini, fin quando alcuni avvenimenti non toccano la sfera intima dei personaggi, provocando un cambio di passo.

Uomini duri e soli in ACAB

“Ci sono uomini soli” recita una canzone dei Pooh, la quale riflette sulle fragilità del genere maschile, che troppo spesso vengono represse poiché non considerate degne di essere esternate per paura di apparire come vittime. In ACAB – La Serie, i personaggi maschili vengono rappresentati secondo lo stereotipo comune, ossia come uomini duri, uniti e virili.

Questi aggettivi vengono ulteriormente rafforzati dalla presenza di Marta, figura femminile molto importante sia per il coraggio del regista di lanciare un messaggio molto chiaro, sia ai fini della trama per dimostrare quanto sia radicata la cultura patriarcale attraverso due modalità di rappresentazione: da un lato Marta si allinea alla violenza squadrista senza far trapelare le proprie emozioni, dall’altro resta un oggetto del desiderio sessuale maschile.

Se Marta è l’elemento che rende evidente il legame fortemente controverso tra la violenza e il machismo, rappresentato anch’esso su un sottile filo del rasoio, Nobili invece dimostra di essere la perfetta unione tra audacia e debolezza, un aspetto che viene fuori nel momento in cui dovrà affrontare una crisi familiare. In ACAB viene considerato come una mina vagante, poiché cerca di provocare un mutamento relativo ai metodi di repressione con un approccio più focalizzato al capitale umano, in virtù dello scopo di mantenere l’ordine e assicurare l’equilibrio.

Dunque, ACAB pone i riflettori non solo sulle contraddizioni interne alla figura del poliziotto, svelando ciò che si cela dietro la divisa, ma anche soprattutto su quelle interne allo Stato Italiano di cui il celerino è, storicamente, la sua rappresentazione più alta quando si parla di forze dell’ordine.

Uno sguardo sull’attualità

Seppur sia evidente la visione d’insieme degli autori di questa saga, la serie propone comunque agli spettatori un terreno su cui gettare dei semi di riflessione affinché si trovi un modo per contrastare i venti di violenza. ACAB ci pone davanti a una serie di quesiti: esiste ancora la pura giustizia? Quanto è legittimo esercitare la violenza e fin quanto ci si può spingere per annientare sia un corpo, sia una mente? Dove risiede l’umanità? In un panorama mediatico segnato da guerre e scontri, urgono necessariamente delle risposte affinché la società possa progredire realmente seguendo lo spirito del bene comune, ammesso che ci sia il coraggio di cambiare.


Seguici su InstagramTik TokFacebook e Telegram per sapere sempre cosa guardare!

Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club

Classe 2000, vivo a Milazzo e sono dottore magistrale in Scienze dello spettacolo. Ambisco a diventare giornalista specializzato in critica cinematografica. Ho anche una vita sociale quando non sono immerso nella visione di qualche film e/o nella lettura di libri.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.