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Black Mirror 7, di nuovo nel vortice della tecno-follia

11 minuti di lettura

È uscita la nuova e settima stagione di Black Mirror, una delle più celebri serie Netflix ideata da Charlie Brooker. Sin dalla prima stagione la serie ha lasciato un segno indelebile nel panorama mediale contemporaneo, soprattutto per la sua capacità di rappresentare in chiave distopica il lato oscuro delle tecnologie, e di come queste dominano la nostra quotidianità.

Nel corso del tempo Black Mirror è stata una fonte di ispirazione per diverse serie che hanno trattato il tema del post-umano (per esempio The One – La coppia quasi perfetta) da più punti di vista, in un’epoca in cui le innovazioni della tecnologia hanno superato persino se stesse. Certo, ciò che vediamo su Netflix rimane nella cornice della distopia, ma fino a che punto?

Black Mirror 7, le tematiche affrontate

Come nella stagione precedente la serie mantiene la struttura antologica, e in sei nuovi episodi ritorna il senso della paranoia e dell’inquietudine nei confronti delle tecnologie in continuità con la poetica della serie, e ponendo l’attenzione ancora una volta sull’intelligenza artificiale, diventata (quasi) del tutto una presenza consueta nel nostro tempo.

In particolare i vari episodi riflettono varie sfumature legate a questo tema: Eulogy riflette sull’utilizzo dell’IA per elaborare il lutto; una tecnologia capace di garantire la sopravvivenza a un prezzo carissimo in Gente comune; un videogioco dove si possono creare forme di vita che diventano il principio unico in Come un giocattolo, nascondendo un’inquietante realtà e, infine, la possibilità di distorcere la realtà con un semplice telecomando in Bestia nera.

Oltre a ciò, nella nuova stagione di Black Mirror vediamo la continuazione della vicenda dei personaggi dell’episodio USS Callister (che forse meritava di essere separato dalla stagione), stavolta intenti a uscire dalla simulazione, e Hotel Reverie dove si pone l’attenzione sul ruolo dell’intelligenza artificiale nelle pratiche di restauro cinematografico. Mescolando passato e presente, Black Mirror volge nuovamente lo sguardo al futuro attraverso tre sentimenti su cui ruotano le stagioni: angoscia, follia, paura.

Superare la morte è possibile? Il quesito di Black Mirror 7

Una scena dall'episodio Gente Comune di Black Mirror 7

Un tema ricorrente è il rapporto tra le tecnologie e la morte, da sempre simbolo dell’angoscia esistenziale dell’uomo. Se teniamo a mente che estendono le nostre condizioni psico-fisiche, consentendoci di superare certi limiti fisiologici, esse possono fornirci delle possibilità per elaborare il lutto o, in maniera del tutto impossibile nella realtà, annullare la morte.

In particolare, nei due episodi Gente comune ed Eulogy, le storie scorrono su due assi parallele il cui punto comune è tracciato da una domanda importante: fino a che punto siamo disposti ad alienarci per i nostri affetti e rimuovere il passato?

Nel primo episodio, Mark (Chris O’Dowd) è disposto a tutto pur di provvedere alla sopravvivenza della moglie Amanda (Rashida Jones), lavorando di più e accedendo a una piattaforma per guadagnare soldi facili, arrivando a compiere gesti ai limiti del ridicolo. Nel quinto episodio, un uomo di nome Philip (Paul Giamatti) si scontra con il proprio passato rimosso solo apparentemente, poiché verrà rievocato con l’aiuto di un’intelligenza artificiale.

Black Mirror 7, Paul Giamatti in una scena della serie

Ciò che accomuna questi episodi è la profonda complessità dei comportamenti dei personaggi, incapaci di trovare delle alternative concrete. Se nel quinto episodio è possibile rievocare l’identità di una persona attraverso i ricordi, nel primo siamo davanti a una scelta estremamente paradossale: accettare la morte e andare avanti, o continuare a far vivere quella persona, riconoscendo la morte come possibilità per sfuggire da una situazione decisamente contorta.

Nessuna tecnologia, neanche la potente intelligenza artificiale, è in grado di annichilire l’ansia della morte. Per di più, Black Mirror non è molto distante da un senso di denuncia rivolto alle multinazionali e aziende biotecnologiche che convincono le persone di non poter fare a meno di certi prodotti, inducendoli a spendere di più e ad essere schiavi di un sistema non più classificabile come “turbo-capitalista”, ma sempre più orientato ad avere il controllo totale delle tecnologie per dominare il mondo e tutto ciò che concerne la nostra vita quotidiana, anche quando sta per volgere al termine.

Paranoia e follia in Black Mirror 7

Come già detto, Black Mirror è una serie che ha lasciato un grande impatto nel circuito seriale contemporaneo e nell’immaginario popolare. La sua forza risiede nel rappresentare certe tematiche creando un pluralismo di mondi e realtà in cui l’uomo vive con tutte le sue contraddizioni, specialmente quando è totalmente ipnotizzato dalle tecnologie, come se dovesse costantemente servirle.

Una scena da Black Mirror 7

In virtù di ciò, gli episodi Bestia nera e Come un giocattolo sono una grande riprova della follia di questa serie e dell’universo simbolico al quale attinge, ripristinandone parzialmente la sua identità originaria. Nel secondo episodio, basta un telecomando incorporato in un ciondolo di Verity (Rosy McEwen) per distorcere la realtà senza che nessuno se ne accorga e dominare la mente delle persone, in particolare quella di Maria (Siena Kelly), esercitando una pratica di manipolazione estrema sul luogo di lavoro e non solo. L’incomprensione diventa paranoia, e quest’ultima sfocia in rabbia e desiderio di svelare il mistero che, però, si tramuta in una paradossale follia.

Nel quarto episodio, Cameron (Peter Capaldi) è un ex programmatore di videogiochi, che una volta arrestato, appare come un fanatico per via delle storie che lui reputa vere dietro un videogioco il cui unico scopo è di prendersi cura dei Thronglets, delle piccole creature virtuali. Avete presente The Sims? Più o meno la similitudine è quella, ma in quel tipo di simulazione della real life non si nascondono pericoli. Inizialmente sembra normale e scontato credere che Cameron sia un pazzo, se non fosse per il fatto che l’arresto è un pretesto per compiere la sua missione: riportare l’umanità alla pace.

Black Mirror ci ha abituati a uscire scioccati da episodi simili a questo, con la differenza che qui si tratta di ricalibrare il genere umano per assoggettarlo al volere di entità virtuali che esistono solo all’interno di una simulazione. E se fossimo anche noi dentro una simulazione? Se fosse possibile alterare la realtà per ricrearne una secondo i nostri desideri più remoti, avremmo l’occasione per essere migliori oppure trasformarci nella peggiore versione di noi stessi, semplicemente premendo un pulsante al momento opportuno?

Oltre la narrazione. Black Mirror è tornato alle origini?

Sono passati diversi anni da quando Black Mirror è approdata su Netflix, e nel corso del tempo l’interesse verso la serie è calato a causa di diversi motivi: il netto distacco dalla poetica principale della serie a partire dalla quinta stagione, lo svanimento dell’effetto sorpresa, la nostra ormai familiarità con le tecnologie e, infine, la credenza di non essere più in grado di spingerci oltre.

Nonostante ciò, Black Mirror non fallisce nell’intento di andare oltre la semplice narrazione distopica poiché insiste nel rappresentare con un’attenzione meticolosa un contesto sociale in continuo mutamento, in cui il dibattito sull’utilizzo dell’IA e di altre tecnologie è attivo non soltanto in contesti accademici e lavorativi, ma anche in contesti governativi.

Da questa stagione, sembrerebbe che Black Mirror abbia recuperato parzialmente le caratteristiche di un tempo, dando la possibilità di essere scoperta dalle nuove generazioni e di lasciare una serie di spunti per riflettere su degli aspetti da non sottovalutare.

In breve

Black Mirror dimostra di stare al passo con i tempi coniugando egregiamente il passato e il presente della serie, e rimettendo in discussione il nostro rapporto con i dispositivi e le nostre condizioni di vita ora che siamo dinanzi ad una tecnologia che, se prima era una novità, oggi sta assumendo sempre più una posizione rilevante all’interno della nostra società, con il rischio di sostituire le nostre capacità piuttosto che estenderle.


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Classe 2000, vivo a Milazzo e sono dottore magistrale in Scienze dello spettacolo. Ambisco a diventare giornalista specializzato in critica cinematografica. Ho anche una vita sociale quando non sono immerso nella visione di qualche film e/o nella lettura di libri.

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