Una volta che un regista vince il Premio Oscar, la curiosità attorno ai suoi prossimi progetti si fa sempre più alta, soprattutto per capire se la persona in questione riesce a reggere il peso del premio oppure no. Alle volte i progetti futuri ci sorprendono non poco: Christopher Nolan, per esempio, sta girando una sua versione dell’Odissea, mentre il fresco vincitore Sean Baker ha in mente di realizzare un Blu-Ray per raccogliere e curare cinque film di Ornella Muti, i cui personaggi da lei interpretati hanno in parte ispirato Anora.
Poi arriva Bong Joon-ho, regista sudcoreano vincitore dell’Oscar come miglior regista per Parasite ormai cinque anni fa, che torna non soltanto con un film completamente in lingua inglese, ma anche fantascientifico dopo The Host, Snowpiercer e Okja. Lo stile del regista sudcoreano lo consociamo tutti: black humour, commistione di generi, dramma e commedia, ma anche uso di elementi perturbanti, stessi ingredienti che contraddistinguono anche la sua ultima fatica Mickey 17.
La trama di Mickey 17
Presentato all’ultima edizione della Berlinale, Mickey 17 è ambientato in un ipotetico 2054. Protagonista di questa nuova fatica di Bong Joon-ho è Mickey Barnes (Robert Pattinson), che assieme all’amico Timo (Steven Yeun) decide di arruolarsi come colonizzatore del pianeta Niflheim seguendo la missione di Kenneth Marshall (Mark Ruffalo), fallito uomo politico che si è reinventato predicatore e missionario. Mickey e Timo si arruolano, però, per sfuggire all’usuraio Darius Blank dopo il fallimento del loro progetto di negozio di soli macarones.
Se da un lato Timo viene preso come pilota di shuttle, Mickey viene invece assunto come “sacrificabile“, ovvero persona da sfruttare per esplorare il pianeta Niflheim e che, una volta morto, rinasce a nuova vita attraverso una stampante 3D e con il backup della memoria. Mickey, che rinasce diciassette volte, viene usato come cavia da laboratorio: gli scienziati lo mandano nello spazio per testare la resistenza degli umani al clima, ma allo stesso tempo testano dei nuovi vaccini su di lui per non parlare di cibi sintetici che deve assaggiare e che gli suscitano reazioni allergiche molto forti.
Tutto, però, si complica quando, a seguito di una missione, è dichiarato morto e di conseguenza la sua diciottesima copia viene stampata. Tornato alla navicella, Mickey si ritrova di fronte al suo clone, ma essendo i cosiddetti “multipli” vietati e condannati all’eliminazione da Marshall, i due Mickey cercano di uccidersi a vicenda per salvare la propria pelle. In tutto questo, Mickey 17 prova a raccontarci le assurdità di una spedizione di colonizzazione che avrà dei risvolti assurdi e tragici allo stesso tempo.
Mickey 17, il film di un regista che vuole divertirsi senza pensare alla critica
Come anticipato, attorno alla nuova fatica di Bong Joon-ho c’è stata tanta trepidante attesa. Il problema, però, è che Mickey 17 non ha incontrato il consenso unanime della critica. Il sito Rotten Tomatoes, ad esempio, lo valuta con un rating che ruota attorno al 77%, e alcuni critici parlano di come questo film non sia graffiante e profondo come lo è stato Parasite. Oltre a questo, al botteghino il film non ha avuto successo, al punto che non è riuscito ancora a raggiungere il break-even point, ovvero il momento in cui i ricavi e il costo totale della produzione del film raggiungono il punto di equilibrio.
Per spezzare una lancia a favore di Mickey 17, che pare stia vivendo la stessa sorte di Megalopolis di Francis Ford Coppola, ma con più fortuna di critica, il film non soltanto gode di un ottimo cast con un Robert Pattinson che interpreta se stesso in due ruoli differenti – Park Chan-wook, regista di Oldboy, pensa che Pattinson debba vincere un Oscar sia come miglior attore protagonista che miglior attore non protagonista – e un Mark Ruffalo che dopo Poor Things ci regala un’altra memorabile prestazione, ma sa anche intrattenere trattando temi ancora molto attuali.
Ciò a cui bisogna pensare è che Mickey 17 è il film di un regista che non solo vuole aprirsi a un pubblico più ampio, ma artisticamente parlando vuole divertirsi. Al regista sudcoreano sembra, dopotutto, non interessare il fatto di perdere e deludere gli spettatori, e non ha dunque timore a spaziare fra i generi, come per esempio con il film d’animazione ambientato nei fondali marini a cui prenderà parte niente poco di meno che Werner Herzog, oppure il film horror che girerà con John Carpenter che ha recentemente accettato di comporne la colonna sonora.
Da Mickey 7 a Mickey 17
Quello di Mickey 17, in realtà, non è un soggetto originale, in quanto non è altro che un adattamento di Mickey 7, romanzo fantascientifico di Edward Ashton. I due prodotti, però, sono totalmente diversi: Mickey 7 è più improntato sulla semplice fantascienza e il personaggio di Mickey – meno ingenuo e fanciullesco rispetto all’adattamento cinematografico – è quello su cui si focalizza di più l’attenzione; Mickey 17 non solo dà spazio anche a personaggi secondari che assumono una loro precisa identità, ma assume anche una sfaccettatura più comica, grottesca fondendo comicità, politica, temi sociali e fantascienza, spesso sfociando in una distopia che sa forse di già visto, ma nel suo complesso risulta molto godibile.
Questo cambio di tono, più assurdo e grottesco rispetto al romanzo di Ashton, è evidente anche nel cambio del titolo. Se nel romanzo di Ashton il protagonista muore solo sette volte, qui, invece, muore diciassette volte. Bong Joon-ho ha dichiarato in varie interviste di aver scelto di far morire Mickey Barnes diciassette volte perché il 17 è l’età di passaggio all’età adulta, un limbo dove l’innocenza dell’adolescenza lascia spazio alla difficoltà dell’essere adulti. Il Mickey 7 di Ashton qui si sdoppia in Mickey 17 e Mickey 18, quest’ultimo più aggressivo e cinico, ma che aiuterà la sua controparte ingenua a crescere e ad aprire gli occhi sulle bugie di Kenneth Marshall.
Il fatto che Mickey muoia diciassette volte allude all’assurdità che pervade le vicende raccontate da Bong Joon-ho in questo film. Il film, infatti, passa in rassegna velocemente e in modo sbrigativo alle morti di Mickey, quasi a sottolineare la disumanità dello sfruttamento di persone come Mickey, gente che non ha nulla da perdere in quanto ha perso tutto, e pertanto sacrificabili per raggiungere i propri obiettivi.
Mickey 17, la figura di Kenneth Marshall e le fragilità del maschio bianco e imperialista
Nel tono usato, Mickey 17 ricorda molto Okja, con il quale non solo ha in comune l’elemento fantascientifico e weird, ma anche il tono ironico con cui dei temi importanti sono trattati. Se in Okja, per esempio, abbiamo un gruppo terroristico comico come il Fronte di Liberazione Animale che chiede sempre scusa alle persone a cui fa del male e quasi gli chiede il permesso di farlo, in Mickey 17, ad esempio, abbiamo non soltanto un protagonista che muore e rinasce eccessivamente, ma anche un personaggio, come Kenneth Marshall, su cui il regista sfoga tutta la sua ironia.
Marshall, splendidamente interpretato da Mark Ruffalo, tanto ricorda politici e tecnocrati che attualmente governano la nostra realtà, sebbene Bong Joon-ho abbia dichiarato di non ispirarsi a nessun personaggio politico in particolare. Marshall, fallito come senatore e come politico, fa proselitismo con la promessa di fondare una nuova colonia nello spazio, dove mira a diffondere la razza umana il più possibile perfetta, puntando molto sulla spettacolarità dei suoi annunci.
Quanto è perfetta, però, questa razza umana che Marshall vuole promulgare? Bong Joon-ho fa presto a svelarcelo, mostrandoci come a suggerirgli le cose da dirgli sia la moglie Ylfa (Toni Collette), ma anche il fatto che balbetti e alle volte esprima concetti inesistenti e dunque insensati. Oltre a questo, Kenneth Marshall mostra le molte fragilità del maschio bianco, relative soprattutto alla questione del sesso: se da un lato vuole che i nuovi coloni si riproducano fra loro facendo sesso, lui, invece, si mostra quasi incapace in merito, dimostrando come la sua relazione con Ylfa sia solo di mera facciata.
L’assurdo e il grottesco in Mickey 17
Kenneth Marshall è soltanto la punta dell’iceberg di quanto c’è di assurdo in Mickey 17. L’assurdo in Bong Joon-ho sta anche nel modo in cui questa storia fantascientifica è raccontata. Non c’è niente dell’epicità di 2001: Odissea nello spazio o di Star Trek, ad esempio, ma troviamo una critica velata allo spietato ottimismo dell’uomo verso la scienza, che invece di pensare a salvaguardare la Terra mira a conquistare il cielo mostrando, però, mancanza di conoscenza verso gli strumenti per affrontare l’ignoto.
L’epicità, inoltre, manca anche nell’avventura di Mickey Barnes, che viene visto come un misto fra un pellegrino, un colono e un picaro. Parte del film, difatti, è narrata attraverso la voce fuori campo di Mickey, quasi fosse il diario di bordo di un pellegrino, di cui, però, sappiamo che il motivo del suo viaggio è scappare dalla propria noia esistenziale. L’assurdo risalta maggiormente nelle scene d’azione, in cui i personaggi si azzuffano fra loro con della musica di sottofondo, spesso musica classica o musica leggera come accade in Parasite.
Mickey 17, critica del potere e consapevolezza ambientale
Potere, sopraffazione e consapevolezza ecologica e ambientale uniscono Mickey 17 e Okja. In entrambi i casi c’è un elemento weird che fa da motore delle vicende: il supermaiale in Okja e gli striscianti, mostri simili a grossi lombrichi che abitano Niflheim. In Okja l’attenzione è più concentrata sul rapporto con le altre specie, sulla percezione che gli umani hanno su di loro e sull’eticità nel loro rapporto e sfruttamento; in Mickey 17, invece, l’elemento weird assume connotazioni sì ecologiche, ma anche politiche.
Non è un caso, infatti, che il pianeta si chiami Niflheim, che nella mitologia norrena indicava la regione glaciale a nord dell’abisso originaro dove si credeva ci fosse la dimora ultraterrena degli esseri malvagi. Come direbbero gli antichi romani, per Kenneth Marshall e gli altri coloni del pianeta: “hic sunt leones” ossia gli striscianti sono considerati a prescindere creature malvagie proprio perché nessuno li conosce.
Sono concepiti come gli estranei che minacciano il sogno colonizzatore e vanno quindi eliminati. Il fatto, però, che questa nuova popolazione sia formata da forme aliene e mostruose intreccia il discorso imperialista con lo specismo e la consapevolezza ambientale: nel momento in cui, infatti, si sfrutta il territorio per le proprie mire espansionistiche, si minaccia la distruzione di un’ecosistema retto da forme di vita che permettono la nostra sopravvivenza.
La persona che fa da motore di queste riflessioni non è nient’altro che Mickey. Quest’ultimo sarà colui che conoscerà più da vicino gli striscianti, con i quali simpatizza in quanto viene concepito come carne da macello al loro pari. Mickey impara che sia lui che gli striscianti non sono sacrificabili, ma sono parte importante del nostro ecosistema, e devono cooperare per una migliore convivenza. Nulla, dunque, è sacrificabile, specie se l’umanità vuole continuare ad esistere, e anche la più insignificante forma di vita costituisce una risorsa importante per la nostra sussistenza.
Mickey 17, promosso o bocciato?
Sicuramente non abbiamo la profondità di Parasite, di Mother o Memorie di un assassino, tuttavia, le critiche negative verso Mickey 17 risultano infondate. Con Mickey 17, Bong Joon-ho riesce ancora una volta a unire comicità e drammaticità a elementi fantastici, politici, sociali ed ecologici.
Le vicende di Mickey Barnes e di Niflheim raccontano molto del nostro passato, del nostro presente, ma anche del futuro, mettendo in luce la follia dell’essere umano e delle sue mire espansionistiche, che spesso fanno leva sull’ignoranza e l’ingenuità delle persone per raggiungere senza scrupoli i propri scopi, anche al costo di cancellare l’identità di popoli e territori che, come noi, hanno il diritto di abitare la terra in cui sono nati e di tramandare le usanze che li hanno resi tali.
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