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Borgman, il cult impenetrabile di Alex van Warmerdam

10 minuti di lettura

Cosa accadrebbe se l’affascinante cripticità antiborghese di Teorema di Pier Paolo Pasolini, la dimensione spietatamente thriller di Parasite di Bong Joon-ho, l’amaro e violento dispiegarsi di Funny Games di Michael Haneke e la fredda, precisa paradossalità di un qualunque lavoro di Yorgos Lanthimos si fondessero? La risposta non va immaginata: esiste già, risale al 2013 e si chiama Borgman.

Scritto, diretto e interpretato da Alex van Warmerdam (il cui The Northerners fu candidato alla nomination nella categoria Miglior film in lingua straniera agli Oscar del 1993), Borgman ha destato scalpore a Cannes. Si è vociferato fosse il preferito di Nicole Kidman, membro della giuria di quell’anno presieduta da Steven Spielberg, e ha più in generale messo positivamente d’accordo il pubblico e la critica. È stato un passo importante per il cinema dei Paesi Bassi, che ha dimostrato di non avere nulla da invidiare agli autori di molti altri Stati europei già ampiamente conosciuti dentro e fuori i circuiti festivalieri.

Su NPC Watch, la piattaforma streaming curata dalla redazione di NPC Magazine (qui se volete capire meglio di cosa si tratta), è possibile acquistare o noleggiare, singolarmente o in pacchetti più ampi, Borgman e altri sei film di Alex van Warmerdam all’interno di una retrospettiva dedicata al regista olandese. Voi godreste di un ottimo film, noi del vostro supporto!

Borgman, o l’imprevedibile sovversione parassitaria

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Camiel viene fuori dalla sua tana nel bosco in una delle prime scene del film (da Active Context)

Decifrare Borgman è un’impresa ardua. Van Warmerdam non è uno a cui piace adagiarsi su modelli narrativi comuni e qui rifugge da ogni previsione, inscenando situazioni che rovesciano le aspettative e dissolvono l’eventuale messaggio che si potrebbe ricavare dal film.

Peter Verstraten, docente di cinema e letteratura presso l’Università di Leiden, nel suo articolo per Sense of Cinema ha ben messo in evidenza come Borgman presenti, sì, degli elementi che suggeriscono una certa direzione narrativa (cita il conflitto di classe, nello specifico), ma allo stesso tempo anche dei personaggi le cui intenzioni tendono a essere sfumate e logicamente irraggiungibili. Ci torneremo: ora partiamo dal principio.

La pellicola si apre con tre uomini armati, sul cui conto non sappiamo quasi nulla, che setacciano un bosco in cerca di qualcosa. O di qualcuno, dovremmo dire: Camiel Borgman (Jan Bijvoet), infatti, vive proprio lì, sottoterra, con alcuni suoi compagni (uno dei quali impersonato da van Warmerdam). Non sappiamo il perché e non lo sapremo mai, come non vedremo più il trio iniziale dopo che le loro prede riescono a fuggire dai proiettili. Arrivato in città, Camiel bussa a molte porte per chiedere il permesso di fare una doccia, finché non si imbatte nel fascinoso appartamento in cui abitano Richard (Jeroen Perceval) e Marina (Hadewych Minis), coppia borghese con tre figli accuditi da una tata, Stine (Sara Hjort Ditlevsen).

Infastidito dalle parole dell’uomo, Richard lo aggredisce fisicamente e gli intima di andarsene. Marina, dispiaciuta per l’accaduto ma anche in qualche modo affascinata da Camiel, decide di accudirlo segretamente nella casetta in giardino. Quello che doveva essere l’aiuto di una notte diventa una permanenza prolungata: Borgman taglia barba e capelli, rendendosi irriconoscibile agli occhi di Richard, e sostituisce il giardiniere, che uccide brutalmente assieme ai suoi compagni. Ed è qui che iniziano i funny game: dai bambini alla tata, fatta eccezione solo per Richard, l’intera famiglia viene praticamente stregata da Camiel e i suoi collaboratori. Il gruppo isola i borghesi, li mette uno contro l’altro, commette crimini brutali, in un sovvertimento ricco di imprevisti che spiazza minuto dopo minuto.

Demoni, lotta di classe e desideri rimossi

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Una delle molteplici occasioni in cui Camiel penetra nella mente di Marina, controllandone i sogni (da TimeOut)

Nella raccolta di saggi Il cinema americano attraverso i film, Andrea Bellavita ha proposto una lettura psicoanalitica de La notte dei morti viventi di George A. Romero, sottolineando come il film possa essere visto perlopiù come una rappresentazione metaforica del ritorno del rimosso nelle vite di sconosciuti costretti a coabitare in uno spazio piccolo come quello della casa, in cui si rifugiano per sfuggire agli zombi. E se le relazioni tra i personaggi sono conflittuali è perché la casa è simbolo dell’inconscio, sconvolto dal ritorno del rimosso: in un contesto di questo tipo, non può che prevalere la deriva mentale e relazionale.

Ora prendiamo Borgman: il protagonista e i suoi collaboratori vengono fuori dal sottosuolo, quasi fossero degli zombi romeriani, e seducono i residenti della casa in quanto possibili manifestazioni dei loro desideri rimossi. Desideri che, se seguiti o esauditi, fanno tremare un contesto borghese apparentemente ordinato e in equilibrio ma ricco di frustrazione e non detto, dove il materialismo schiaccia l’emotività e un litigio può quindi risolversi con un dono di valore, mentre un turbamento emotivo deve portare alla vergogna. È emblematico che proprio Richard, che più protende alla soppressione delle emozioni, si mostri irruento e irascibile nella dimensione più ampia e condivisa della sala da pranzo o del giardino ma fragile e impaurito in quella piccola e ristretta dello sgabuzzino.

Accanto al rimosso c’è anche l’onirismo: in sequenze che richiamano visivamente L’incubo del pittore svizzero Johann Heinrich Füssli, Borgman esercita un’azione onirica su Marina, insinuandole nella mente immagini dalla forte carica violenta e orrorifica in cui l’indole aggressiva del marito esplode incontrollabilmente, sfociando nella violenza fisica. Ciò stimola, nella donna, un odio viscerale per Richard.

Come accade per Marina, la soddisfazione di questi desideri reconditi ha come risultato un cambiamento drastico dei personaggi, travolti uno per uno da uno sconvolgimento psicologico inspiegabile e inevitabile. Ma una volta che i membri del gruppo di Camiel realizzano o stuzzicano i desideri, iniziano a proibirli, gettando i residenti dell’abitazione in uno stato di profondo sconforto, disagio e perdizione e disgregandone le relazioni interpersonali.

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Uno dei sogni di Marina (da IMDb)

Prima si è parlato anche di una possibile rappresentazione della lotta di classe: in effetti, abbiamo personaggi venuti dal basso che effettuano simbolicamente una scalata sociale segnata dall’inversione delle dinamiche di potere (sarebbe incredibile se Bong Joon-ho non avesse visto questo film prima di girare Parasite: le case e varie inquadrature sono molto simili), che ha come risultato una vera e propria dissoluzione dell’ambiente borghese. I ricchi si mostrano deboli e manipolabili, succubi di Camiel e i suoi soci.

Ancora, il film può essere visto da una prospettiva religiosa: tra gli uomini che vanno a caccia di Borgman c’è un sacerdote, che vediamo nei primi secondi consacrare un’ostia. Il desiderio dei protagonisti verrebbe allora attizzato da personaggi demonici, che li tentano e spingono verso il peccato, distruggendo le loro vite. Verso la fine sono rinvenibili anche alcuni riferimenti alla Bibbia, come il (doppio) bacio di Giuda.

Eppure, sembra che nessuna tra le letture che si vuole provare a dare a Borgman sia solida fino in fondo, perché puntualmente un qualche elemento narrativo smentisce le ipotesi – basti pensare a tutte le sequenze con i tre bambini, le più assurde e paradossali. Coerentemente con questa tendenza, il finale spiazza. A primo impatto sembra dominare l’interpretazione di classe, risolta comunque in modo non scontato, ma è impossibile affermarlo con certezza. Non abbiamo nessuna vera risposta, e van Warmerdam non ha intenzione di darcene. Quello che ci ha sicuramente dato, però, è uno splendido film provocatorio.

In copertina: Camiel fa un bagno poco dopo essere stato accudito in segreto da Marina (da IMDb)


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Classe 1999, pugliese fuorisede a Bologna per studiare al DAMS. Cose che amo: l’estetica neon di Refn, la discografia di Britney Spears e i dipinti di Munch. Cose che odio: il fatto che ci siano ancora persone nel mondo che non hanno visto Mean Girls.

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