Arriva al cinema, dal 17 marzo, la nuova commedia Corro da te, con Pierfrancesco Favino e Miriam Leone. Il film diretto da Riccardo Milani racconta la storia di un seduttore compulsivo assuefatto dal culto della perfezione che finge una disabilità per vincere una scommessa e andare a letto con una ragazza paraplegica.
Raccontare l’alterità con la comicità
Riccardo Milani torna al cinema con il suo nuovo film Corro da te, una commedia sferzante che attinge direttamente dal francese Tout le monde debout – Tutti in piedi di Franck Dubosc, ma a cui aggiunge le ironiche bassezze della classe media italiana, quelle del “mo non se po più dì niente”, a cui si potrebbe rispondere un “no, non se po più fa, e forse è mejo così”.
E sono molte le risate che in sala sono divampate all’ascolto di questa frase, perché sì, capita ancora di non riuscire a carpire il modo esatto di esprimersi, le parole esatte da scegliere in presenza di tutto quello che discosta dalle nostre ignoranti convinzioni.
Milani non è uno sprovveduto, sa a quale spettatore si sta rivolgendo e le risate riesce davvero a tirarle fuori. Ce lo aveva già dimostrato con il duplice successo di Come un gatto in tangenziale altro esempio notevole di come la comicità possa plasmarsi anche da quel bisogno di aggrapparsi al consenso popolare.
D’altra parte Milani ci prende un pò in giro, perché in Corro da te pur provando a non prendere il tema della disabilità come sacrosanta condizione su cui non si possa fare ironia, utilizza il personaggio di Gianni per mettere a nudo quella profonda ignoranza di chi sferra fiero il falso ipercorrettismo, di chi non capisce e non ci prova nemmeno a farlo. E forse ne resta vittima anche lui?
La disabilità in Corro da te finisce per diventare feticcio
In Corro da te Pierfrancesco Favino è Gianni, un quarantanovenne (e lo specifica sempre quell’anno che lo divide dai cinquanta) orgogliosamente scapolo, inverosimilmente distante da ogni tipo di morale buonista, sessista, maschilista e se crediamo che questo già basti a delineare l’eccentricità comportamentale di un personaggio tanto infame, ci stiamo sbagliando. Il peggio arriva quando è disposto a fingersi invalido per incastrare Chiara (Miriam Leone) la vera disabile (si fa per dire) di questa storia.
Il montaggio frenetico della sequenza iniziale di Corro da te ci introduce nella routine da seduttore di questo narcisista incallito: da incallito inseminatore seriale, salta da una donna all’altra alternando i momenti di riposo cardiaco (nel finale abbiamo creduto il peggio) con reunion maschili per sbandierare le conquiste sessuali ottenute al fine di riconfermare lo status di virilità. Soddisfatto delle sue eroiche imprese decide di alzare l’asticella e scommette con i suoi fedeli compagni di complicità performativa maschile, di riuscire ad andare a letto con ciò che discosta totalmente dal suo ideale sessuale, il corpo non conforme e inedito.
Seguendo questa linea in Corro da te l’alterità diventa l’innesco della pulsione sessuale del protagonista, assumendo la funzione di oggetto sessuale innalzato a feticcio. È dunque questo bisogno di esplorazione e conquista del corpo imperfetto a spingere Gianni ad avvicinarsi alla ragazza disabile, proprio lui che è un’estimatore della perfezione.
La disabilità come cura dell’iper-virilismo
Gianni, bramoso di portare a casa l’ennesimo gol, finge di essere disabile con la sua nuova e giovanissima vicina, convinto che facendo leva sulla pietà della ragazza riuscirà a far breccia tra le sue cosce. Ma il piano cambia direzione perché la giovane è interessata a lui solo in virtù del fatto che possa andar bene per sua sorella Chiara, costretta davvero ad una vita in carrozzina. Un pensiero poco complesso quello della giovane “tra disabili se capiscono”.
Di conseguenza la narrazione di Corro da te si piega alle retoriche discorsive della compassione: cercare un compagno a Chiara, che in quanto disabile, ha bisogno di qualcuno che le porti lo strumento per il raggiungimento della felicità di coppia. Da questo primo incontro al buio si accendono i riflettori sulla traiettoria romantica che diventa il traino portante su cui si basa l’intera narrazione.
Chiara porta la luce nell’universo di machismo in cui sguazza Gianni, riuscendo giorno dopo giorno a disintegrare le convinzioni di un uomo tanto povero di tutto. Una Chiara salvatrice che in quanto disabile diventa la corsia preferenziale per il passaggio salvifico dell’uomo macho. Chiara diventa così lo strumento per portare avanti quel tipo di narrazione che insiste sullo statuto auratico dell’eroina che continua a condurre la sua vita indipendentemente dalla tragicità degli eventi.
Un’esaltazione che precisa, con certezza e senza dubbi, le straordinarie capacità di una donna che prima di tutto viene guardata come disabile e poi con pietismo in quanto è considerata come la fonte d’ispirazione per la guarigione spirituale del protagonista.
Seppur la narrazione di Corro da te tenti di costruire un discorso povero di commiserazione, cercando di ammortizzare con la presenza di gag comiche, non riesce nel suo obiettivo. Prendiamo ad esempio la sequenza in cui Chiara rivela a Gianni la causa della sua condizione, la scena enfatizza la modalità drammatica con cui è diventata paraplegica.
In questo senso l’implementazione emotiva generata dalla tragicità dell’evento si lega direttamente al modello della disabilità esogena individuata da Gardou. Secondo l’antropologo infatti, la disabilità è interpretata come un drammatico incidente che ha avuto origine da un elemento esterno all’individuo, secondo questa concezione la disabilità assume il senso della maledizione. Corro da te si fa portatore dell’ennesima e ormai inopportuna scrittura del magical cripple che come spiega Sofia Righetti “è un espediente della trama utilizzato per guidare il personaggio principale verso l’illuminazione morale, intellettuale o emotiva”.
Chiara è quindi la colomba ferita che per via della sua condizione diventa, per conseguenza diretta, il mezzo per l’assoluzione di Gianni. In questo senso la disabilità diventa la fonte d’ispirazione per l’autoconservazione della moralità compromessa del maschio. Il personaggio di Chiara viene infatti sovraccaricato di competenze che la rendono l’eroina tragica della storia: Chiara sorride sempre anche quando è a conoscenza della farsa di Gianni, quindi indulgenza infinita verso l’uomo peccatore.
Pratica sport e lo fa in maniera vincente, suona il violino in un’orchestra e quindi è superlativa anche nella sua professione. L’eccesso di capacità riproposte visivamente in un vortice di ripetitività esasperante finisce per dirottare la rappresentazione della persona disabile nell’abilismo.
Abbiamo temuto il peggio (che poi alla fine si è rivelato fondato) ma c’è stato anche un istante in cui abbiamo tirato un sospiro di sollievo, un momento in cui abbiamo visto una speranza, seppur minuscola, di una riconsiderazione della rappresentazione della persona disabile.
In Corro da te tutti i personaggi del film sono convinti che Chiara sia l’unica a non aver capito le reali intenzioni e la messa in scena dello spezzacuori. Chiunque orbiti nella sfera di Gianni e Chiara sembra aver confuso la paralisi motoria della ragazza per disabilità intellettiva, convinti che alla paraplegia sia anche annessa la disfunzione cerebrale, questo non ci è dato sapere.
Quando la sorella sta per rivelare alla ragazza la natura sana di Gianni, Chiara stupisce tutti (tranne noi) ammettendo di saperlo ormai da tempo e di aver scelto di lasciare al falso disabile di mostrare il punto massimo del suo grado di bassezza. E quindi sì, quel sospiro di sollievo l’abbiamo tirato eccome, per stavolta la figura della rimbambita gliela abbiamo evitata.
L’accesso al cinema non è per tutti
Come abbiamo già detto, in fondo, Corro da te riesce a divertire, sicuramente fa sorridere il pubblico a cui il film è rivolto, quelli che non vivono le difficoltà sociali, politiche e relazionali di quell’identità che il film cerca di riprodurre senza successo. Insomma tutti felici e divertiti tranne la categoria rappresentata, esclusa anche oggi dalla possibilità di raccontare e raccontarsi senza fiocchi, senza abbellimenti, senza finzione. È quindi pressante l’urgenza di parlare di ruoli, siamo davvero certi che interpretare una condizione di disabilità possa essere interpretata da attori cosiddetti “sani”?
Nulla da togliere a Miriam Leone che seppur l’interpretazione in Corro da te sia abbastanza convincente non è stata in grado di evitare il dibattito riguardo al fatto se sia lecito e corretto affidare quei pochissimi ruoli di disabilità ad attrici e attori non disabili.
Inutile fingere ciò che è difficile da ammettere: potrebbe mai un attore disabile interpretare il ruolo di una persona abile? La risposta già la sappiamo e quindi sembrerebbe ovvio riflettere sul fatto che forse quei pochi ruoli a disposizione potrebbero e dovrebbero essere riservati a chi ha veramente delle disabilità.
Siamo sempre alla ricerca dell’attore perfetto, speriamo sempre di vedere sullo schermo prove attoriali le cui le interpretazioni possano discostarsi il meno possibile da un’idea di reale, e poi quando ce n’è la reale possibilità ci tiriamo indietro? Ad oggi, a quanto pare, ancora sì.
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Il vero, tragico, problema è un altro.
Quei deficienti fottuti degli sceneggiatori e del regista credono evidentemente che un disabile possa come nulla fosse fare l’amore senza problemi.
Non sanno, i deficienti di cui sopra, che una volta che la divina “provvidenza” si è presa i tuoi arti inferiori si è presa anche la sensibilità della parte inferiore del tuo corpo e che quindi non senti NIENTE. Ne’ le gambe, ne’ lo stimolo a farla, nè resto che ci sta intorno…
Maledetti.
Loro, e pure gli spettatori che gli danno credito.