Dalton Trumbo è noto per aver agito forse la più eccitante, politicamente eversiva e avvincente vicenda cinematografica occidentale. Trumbo viene dipinto nel film di Jay Roach del 2016 come un uomo distinto, di una magnanimità non comune, ma anche di una sagacia e di una eloquenza punzecchiante diretta e ragionata. Fumatore accanito, medio bevitore, e un talento per lo screenwriting. Avete presente quando si dice di una persona che è nata per fare un certo mestiere? Quando si parla di sceneggiature cinematografiche, quella persona è Dalton Trumbo. Ai nostri giorni abbiamo un esempio simile: Charlie Kaufman. Le affinità tra i due screenwriters sono abbastanza evidenti. La prima e più evidente è il talento innato per lo screenwriting, la seconda e altrettanto palese, il loro rapporto, diverso ma egualmente controverso, con Hollywood. Kaufman viene emarginato dai registi e dai produttori; Trumbo fini, come è noto, nella Hollywood Ten, la lista nera più famosa del mondo del cinema.
Dalton Trumbo, l’intreccio tra ciò che è vero e ciò che appare
Come è ormai noto (ufficialmente dal 2011), Dalton Trumbo è lo sceneggiatore premio Oscar del film Vacanze Romane (1953). Questa, che è solo una constatazione e una informazione per appassionati di cinema o, al più, di cultura generale, ha una storia dietro. La storia ha un significato politico e sociale ben preciso: Non sempre nel mondo umano la verità emerge fragorosamente sotto gli occhi di tutti. Più spesso è la verità latente che si manifesta sotto mentite spoglie, che, pur sempre verità di contenuto, non è però ciò che brilla come evidenza.
Un velo di insaputo caratterizza ogni verità, anche quando sembra che non c’è niente da sapere oltre a quel che già si sa ed è noto a tutti. Nel caso specifico della vicenda del film Vacanze Romane e degli altri cult sceneggiati da Trumbo, la verità è celata dalle stesse istituzioni che la mostrano al pubblico: la sceneggiatura del film, prodotto e trasmesso nei cinema e premiato con un Oscar, non ha portato per diverso tempo il nome di chi l’ha realizzata.
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In questo caso, l’apparenza copre la verità mentre la mostra nel suo contenuto. Sembra un gioco teorico di un filosofo, ma è ciò che è successo a Dalton Trumbo, che ha seguito la premiazione dei film che ha sceneggiato, consegnata ad un altro sceneggiatore (suo amico), dal divano di casa propria insieme alla sua famiglia. La verità vissuta nel piccolo, saputa da pochi amici e familiari, che non hanno bisogno di nascondersela per farla apparire.
La ragione dello pseudonimo
Il problema fu politico. Trumbo fu licenziato e gli fu impedito di lavorare firmando i suoi lavori perché membro del partito comunista in una America a cavallo tra gli anni ’40 e ’50 del Novecento, in piena Guerra Fredda. Trumbo fu una vittima della ben nota politica della fobia dello spionaggio e dei nemici intestini filosovietici (si veda in merito, il fenomeno noto come maccartismo o “Red Scare”) che come una febbre divampò in quegli anni contagiando gran parte della popolazione americana.
Lo sceneggiatore, tanto semplice quanto a suo modo eccentrico, dagli anfratti della apparentemente ininfluente industria cinematografica, fu un eccelso testimone della futile e ingiustificata ipocondria politica della classe dirigente statunitense di quegli anni.
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Dalton Trumbo non è stato né un martire, né un santo, ma un uomo che non aveva remore a rischiare tutto per una giusta causa, tipica forma mentis dei vecchi comunisti. Era, però, anche un uomo scaltro, disposto a svolgere il proprio lavoro a qualsiasi condizione e a qualsiasi livello qualitativo. Amava ciò che faceva, e gli riusciva bene. A causa dei problemi politici e giudiziari in cui incorse, per diversi anni è stato costretto a scrivere sceneggiature nascondendosi dietro pseudonimi o intestando consensualmente ad altri il suo lavoro, a mo’ di “presta nome artistico”. L’aspetto interessante e curioso è che le sue sceneggiature vincevano l’Academy Award, ma a lui ciò che interessava era riuscire a far sì che «gli sceneggiatori non scritturabili, venivano di fatto scritturati».
Cosa sarebbe successo se Trumbo non avesse agito così? Se non avesse reagito ai tentativi di estromissione e di isolamento dei suoi “nemici” (l’affermata e potente giornalista repubblicana Hedda Hopper, la HUAC – Commissione per le attività antiamericane)? Nessuno avrebbe mai visto film quali Spartacus, Exodus o Vacanze Romane.
Dalton Trumpo nel film: la verità e il suo apparire
il biopic di Jay Roach, tratto allibro-intervista del 1977 scritto da Bruce Alexander Cook, dal dichiarato intento di ricostruire la vera storia di Dalton Trumbo, non fa fruire lo spettatore solo della personalità loquace, ma istrionica dello sceneggiatore, della sua vita privata, aspetti che, per come ci vengono consegnati dal film, rendono lo sceneggiatore simile, per tempra caratteriale e abitudini poco salubri, a quel Churchill che abbiamo rivisto di recente ne L’ora più buia.
Trumbo, invece, offre anche un istruttivo quadro dei meccanismi dell’industria cinematografica americana, senza troppo cavillare. Ma, soprattutto, mostra uno spaccato della storia americana dal punto osservativo non solo di un uomo noto, ma sopratutto della vicenda che ha segnato la sua vita professionale e personale, restituendo in modo modesto ma chiaro, un affresco dei difetti intrinseci della politica universale.
Il comportamento di Trumbo fu tale da far sopravvivere la verità, non solo dei sui prodotti artistici, ma anche la verità pratica del suo agire secondo come stavano le cose realmente per lui, una verità che, in tutta la sua portata straordinaria del premiato talento artistico (ufficialmente solo a distanza di anni), non salva le apparenze, e anche per questo, forse, è stata vincente e incontrastabile nel suo, conclusivo, apparire.
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