Doveva uscire il 31 dicembre 2020, e invece, i Manetti Bros., hanno dovuto aspettare un intero anno. Primo adattamento della trilogia di Diabolik, celebre fumetto nero creato da Angela e Luciana Giussani.
Il cinema simpatico e indipendente dei fratelli Manetti incontra un personaggio di cult italiano. Un film di genere, un film italiano, un film d’artigianato, in sala dal 16 dicembre.
Dal Diabolik di Bava in poi
Di Bava abbiamo ripreso, se non il basso costo degli effetti speciali, ma il fatto di fare effetti fisici, senza usare il computer. E siamo partiti dal suo costume, una calzamaglia al cinema può sembrare molto ridicola.
Marco Manetti
Dopo il film cult di Bava del 1968, i Manetti Bros. ci riprovano; ma più fedeli e più consapevoli dell’adattamento “libero” baviano. E al posto del trio Law, Mell e Piccoli, troviamo Luca Marinelli, Miriam Leone e Valerio Mastandrea.
Diabolik si concentra sugli avvenimenti del terzo albo della serie originale L’arresto di Diabolik. Il momento cioè in cui Diabolik (Luca Marinelli) ed Eva Kant (Miriam Leone) si incontrano. Ci troviamo a Clerville, sono gli anni Sessanta e Diabolik riesce a scappare ancora una volta dall’inseguimento della polizia. Incontra la Kant per rubarle un gioiello prezioso ma rimane folgorato dal suo fascino.
È una storia d’amore. Nello stesso tempo Ginkgo (Valerio Mastandrea), l’ispettore di polizia, seguirà le sue tracce. Il Diabolik dei Manetti è cattivo, non è un eroe. È un Diabolik silenzioso e cupo. Un Batman partenopeo, ma senza morale. Un uomo intelligente e freddo che però ha bisogno di una donna come la Kant per non finire nei guai.
Diabolik e gli anni Sessanta
I Manetti non hanno mai nascosto il fatto che si divertono a fare i film, e che forse credono proprio che sia la cosa più importante del lavoro del regista. Così nei loro film traspare sempre questo prendersi poco sul serio, questo modo giocoso di intendere il cinema.
Qui i Manetti fanno giocare Marinelli, fanno giocare la Leone in tutta la sua sensualità e fanno giocare Mastandrea, il paladino della morale. Giocano a ricostruire gli interni borghesi degli anni Sessanta, che ricordano quelli di Argento o di Antonioni, giocano con la fotografia retrò e il gusto per il teatrale; ma giocano anche con un fumetto che aveva tanto a che fare con la realtà sociale di un epoca. Era il periodo del Boom economico e del primo lusso, dell’uscita dalla guerra. L’immaginario culturale delle rapine nasceva in quegli anni assieme alla paura di perdere quei beni che fino a poco prima erano solo sogni per la maggioranza degli italiani.
È un film che, scoperchiando un po’ di polvere, ci fa ripensare al nostro passato: al modo composto con cui veniva costruito un delinquente e alla figura della donna in rapida emancipazione e qui, aiutante e angelo, dell’anti-eroe Diabolik.
Un cinema d’artigianato
I Manetti vengono dai video musicali, dal cinema indipendente e dalla televisione. Sono amanti di Carpenter e Hitchcock. Un po’ per scelta e un po’ per circostanza si ritrovano oggi ad essere gli alfieri del Low Budget, nel senso nobile del termine. E se dopo “Ammore e Malavita” hanno potuto ottenere una grossa produzione per girare finalmente il loro sogno nel cassetto, lo spirito indipendente rimane ugualmente in Diabolik.
Gli esterni di Milano e Bologna diventano Clerville, Manuel Agnelli diventa la voce della colonna sonora, gli oggetti d’epoca dei simulacri del nostro passato. Quanto è bello vedere il nord Italia rappresentato nei suoi paesaggi, nelle sue strade (magnifico l’inseguimento iniziale tra le strade di Bologna).
Parte dello spirito indipendente dei Manetti tende a trasformare il reale, piuttosto che reinventarlo o scimmiottare un cinema nordamericano. Se mai i Manetti scimmiottano un cinema retrò, il cinema di serie B di un tempo (le sequenze della rapina finale in split-screen), un cinema che usa gli zoom e che non si interessa dell’estetica.
Un cinema d’artigiano e narrativo, come lo era il nostro cinema nascosto di un tempo (Bava, Brass, Fulci). Una boccata d’aria fresca per i nostri schermi e un rilancio, ancora un volta, della cinematografia di genere.
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