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Venezia 81 – Familia, una riflessione sulla violenza nascosta

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9 minuti di lettura

Familia, del regista italiano Francesco Constabile, è uscito in sala il 2 ottobre 2024 dopo essere stato presentato all’81esimo Festival del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti. La storia (tratto dall’autobiografia Non sarà sempre così) segue la famiglia Celeste, nel particolare Gigi, il figlio più piccolo (interpretato da Francesco Gheghi, vincitore del premio Orizzonti per il miglior attore). Attraverso lo sguardo di Gigi, sia da bambino che da adulto, esploriamo le dinamiche della violenza che attraversano la nostra società, manifestandosi sia nelle relazioni sociali che in quelle più intime, come in ambito familiare.

Familia, un racconto di violenza quotidiana

Il film inizia con un flashback che diventa ricorrente all’interno del film: un litigio tra Licia, madre di Gigi, e suo padre Franco. Il bambino è nascosto in una stanza con il fratello maggiore, Alessandro, che gli copre le orecchie. Ma ai rumori che provengono dalla porta chiusa, dove le ombre dei genitori creano un grottesco teatrino, è impossibile fuggire. La narrazione procede: vediamo che Franco è assente da tempo, lasciando una famiglia che porta ancora le ferite del passato. Seguiamo la vita di Gigi ventenne, dove madre e fratello lo osservano con impotenza mentre lui è coinvolto in circoli neo-fascisti.

Franco (Francesco di Leva) e Licia (Barbara Ronchi) in una scena del film Familia. La relazione tra i due è caratterizzata dall'abusività

L’evento scatenante di Familia è il ritorno di Franco. In punta di piedi, l’ex carcerato rientra nella calma quotidianità dei tre, seminando ancora una volta il caos e, soprattutto, facendo riaffiorare la violenza che da tempo non si era più manifestata in quella casa. Gigi, temendo un ritorno alla dimensione di impotenza in cui lui e suo fratello vivevano da piccoli, si confronterà con la possibilità di compiere l’atto patricida. Questo ciclo di violenza rappresenta un peso che si accumula e si trasmette, condannando ogni nuova generazione a ripetere gli errori e le sofferenze del passato. È un ciclo continuo che, senza un intervento, continua a nutrirsi di sé stesso, senza via d’uscita.

La violenza attraverso le generazioni, un difficile fardello da lasciare indietro

La violenza generazionale è il tema principale di Familia. La narrazione filmica ci espone a degli eventi che danno la possibilità a Gigi di cambiare, a non perseverare in questa violenza marcia. All’inizio di Familia, durante una riunione dei neo-fascisti, davanti a Gigi si presenta una prova: gli viene dato in mano un coltello e l’ordine di colpire. Dopo un attimo di esitazione, Gigi affonda la lama nel ragazzo di fronte a lui, e con quel gesto il suo mondo sembra sgretolarsi. Nonostante in seguito, quando ne parla alla sua ragazza, sembra pentirsi per un istante, noi spettatori intuiamo che il seme della violenza ha messo radici.

Protagonista del film, Gigi (Francesco Gheghi) che interagisce con il capo del gruppo neo-fascista di cui fa parte

Il rapporto tra Gigi e Giulia, la ragazza di lui, ci riporta direttamente a quello tra Franco e Licia. Giulia è costantemente declassata, in quanto donna non ha diritto a un’opinione (quando i ragazzi parlano al tavolo di “cose importanti”, lei e le altre ragazze devono allontanarsi), ma in Gigi sembra trovare un animo sensibile rispetto al resto del gruppo neo-fascista. Tuttavia il ragazzo la tratta in maniera brutale più volte, echeggiando il teatrino delle silhouette nere che aveva luogo a casa sua (una violenza realistica, ben lontana da quella coreografata di C’è Ancora Domani). Lo spettatore attende costantemente un arco di redenzione da parte di Gigi, e nonostante i tentativi del regista non arriva mai.

La violenza istituzionale, dalla famiglia allo Stato

Per il filosofo Hegel, la famiglia è l’unità alla base della società e, in seguito, dello Stato. In Familia, Constabile riprende questo concetto, mostrando come l’esempio sbagliato di Franco influisca sulla vita dei due fratelli Celeste. Mentre Alessandro trova la sua via, Gigi si sente perso e si rifugia in ogni soluzione che riesce a trovare, per quanto precaria. La violenza ha formato Gigi, spingendolo a cercarne altra: mentre Alessandro trova un suo equilibrio risultando un membro produttivo della società, Gigi si affilia con gruppi sociali che non seminano altro che distruzione.

Una delle scene più drammatiche del film, i piccoli Gigi e Alessandro Celeste vengono portati via dai servizi sociali

Familia, dunque, non è un film unicamente sulla violenza domestica: la riflessione del regista risulta particolarmente attuale in un periodo storico in cui gli atti di violenza quotidiana sono sempre più diffusi, fino a diventare una realtà istituzionalizzata. Constabile mostra un film in cui non solo la violenza è normalizzata, ma, soprattutto, può venire dal basso tanto quanto dall’alto. Le istituzioni hanno deluso la famiglia Celeste, sia quando i servizi sociali hanno sottratto i bambini sia quando Franco è uscito di prigione prima del suo tempo. Recuperando il pensiero Hegeliano dunque, non sono gli individui a formare lo Stato, ma viceversa. Il caso di Gigi Celeste è un caso in cui lo Stato ha fallito.

Un punto di partenza per continuare a riflettere

Il finale di Familia sembra annullare lo sforzo narrativo portato avanti fino a quel momento. Gigi cede alla violenza. Ma viene perdonato perchè frutto di un mondo marcio. Giulia sigilla il tutto dicendo “Io ti aspetto” riferendosi a quando uscirà di prigione, relegando ancora una volta la figura femminile in uno spazio di inferiorità. Quando a fine film escono sullo schermo delle scritte riferite al vero Gigi Celeste, che ha scontato la sua pena e che “Vuole diventare padre” un brivido attraversa la schiena. Familia, alla fine, tradisce la narrativa che ha sostenuto fino a quel momento e banalizza il figlio sano del patriarcato come un mostro malato che non può cambiare.

L’approccio al trauma generazionale, che trascende la sfera familiare per toccare l’Italia intera, si rivela purtroppo fallimentare. I neo-fascisti che osserviamo in questo contesto rappresentano per Gigi un mezzo per scoprire una nuova verità (che però ignorerà nelle sue azioni future), ossia che la violenza è una malattia che corrompe la mente. La loro presenza vuole essere una critica all’Italia di oggi, in cui queste realtà sono ben presenti e ignorate dallo Stato (basti guardare l’inchiesta di Fanpage) ma manca la stessa forza visiva e cinematografica che è presente, ad esempio, in M – Il figlio del secolo.

Gigi abbraccia la madre Licia, consapevole che Franco ha ripreso ad essere violento nei suoi confronti

Il tentativo di Francesco Constabile è sicuramente nobile, e abbiamo bisogno di più narrative in Italia che non banalizzino la violenza come un semplice spettacolo per il pubblico. È un peccato che Familia si tradisca sul finale, riducendo un messaggio complesso che il regista ha portato avanti anche in altre opere a una semplice addizione e sottrazione. Il film insiste sul fatto che la malvagità non è una predisposizione naturale, ma piuttosto il prodotto delle circostanze. Dunque il finale, tra l’altro eccessivamente drammatizzato, risulta pericoloso per il significato che lascia, ignorando la complessità insita nella condizione umana, che riflette la “banalità del male.”


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Dalla prima cassetta di Spielberg che vidi a casa di nonna, capii che il cinema sarebbe stata una presenza costante nella mia vita.
Una sala in cui i sogni diventano realtà attraverso scie di luce e colori è magia pura, possibilmente da godere in compagnia.
"Il cinema è una macchina che genera empatia", a calarmi nei panni degli altri io passo le mie giornate.

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