Potrebbe essere peggio, potrebbe piovere.
Ormai è un modo di dire comune, che in questo ottobre piovoso calza a pennello.
È solo la prima di una lunga lista di battute brillanti e altamente citabili che Frankenstein Junior ci ha regalato mezzo secolo fa: festeggiamo oggi una perla della comicità firmata dal genio di Mel Brooks, che fa ancora scuola su come mettere in scena una parodia.
Frankenstein Junior, ribaltare il genere
La storia di Frankenstein, al pari di altri colossi della letteratura come Dracula e Pinocchio, è un classico senza tempo ed è stata proposta sul grande schermo attraverso innumerevoli versioni. Come trasporla, allora, in modo che già nel 1974 non risultasse già vista? Reinventandola.
L’idea venne originariamente proprio dal protagonista Gene Wilder, fresco del successo di Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso* *ma non avete mai osato chiedere (1972), e trovò realizzazione nelle mani di un signore della comicità come Mel Brooks, che aveva diretto Wilder in Mezzogiorno e mezzo di fuoco e diventerà suo fedelissimo partner lavorativo.
Il racconto si trasforma quindi in una commedia nera sul nipote di Victor von Frankestein: Frederick (Wilder), anch’egli uomo di scienza, fa di tutto per distanziarsi dal lavoro di suo nonno, incluso cambiare la pronuncia del proprio cognome, finché l’eredità del barone non bussa alla porta. Così, per soddisfare le ultime volontà del defunto Victor, Frederick torna al castello dove tutto ebbe inizio, dove non sa resistere alla tentazione di ritentare gli esperimenti del nonno – da Frederick stesso considerati folli – al grido di SI-PUÒ-FARE!, circondato da personaggi iconici come il mitico aiutante Igor (Marty Feldman) e la tetra governante Frau Blucher (nitrito).
L’intento parodistico si manifesta anche nel bianco e nero in cui il film è girato e nelle scenografie retrò, per richiamare volontariamente le atmosfere delle pellicole classiche sull’opera di Mary Shelley, in particolare il Frankenstein di James Whale del 1931 (del quale furono sfruttate le attrezzature originali): una scelta che catapulta lo spettatore direttamente negli anni Trenta, rendendo ancora più efficace l’umorismo surreale di Brooks.
La commedia A.B. Norme di Frankenstein Junior
Il genio di Frankenstein Junior non è solo nelle premesse, ma anche e soprattutto nella sua scrittura. Tutti gli elementi originariamente dedicati a spaventare vengono ribaltati e calati in situazioni assurde: l’aiutante gobbo all’apparenza inquietante ma fifone e imbranato, il rocambolesco furto del cadavere con ispezione della polizia, e ovviamente la Creatura stessa. La creazione di Frederick diventa il fulcro di momenti tanto paradossali quanto comici, dal sedativo, al numero musicale, fino all’incontro con l’eremita: un azzeccatissimo e ben mascherato cameo di Gene Hackman, volenteroso di cimentarsi in una parte comica dopo tanti ruoli drammatici.
Rileggere in chiave umoristica l’opera originale non vuol dire però snaturarla né ridicolizzarla, e infatti anche Frankenstein Junior tiene a cuore i temi cardine di partenza, come la sofferenza del “mostro” subìta per mano della folla spaventata, o il legame tra creatura e creatore. Quando infatti Frederick rischia la vita per donare parte del proprio cervello alla Creatura, ci si concede anche un meritato lieto fine: l’ex Mostro, ora intelligente, ringrazia commosso suo “padre” per avergli donato la vita e trova anche la felicità accasandosi proprio con la di lui ex fidanzata Elizabeth, mentre Frederick con l’assistente Inga.
I dialoghi di Frankenstein Junior sono rapidi scambi di battute pungenti ed esilaranti, molte delle quali a sfondo sessuale, rese ancora più divertenti proprio dal contesto apparentemente solenne e gotico, ma senza mai scadere nel demenziale. Ecco perciò Elizabeth invaghirsi della Creatura per il suo enorme Schwanzstucker, che lo stesso scienziato otterrà involontariamente nello scambio finale.
Un plauso va anche all’edizione italiana per la traduzione esemplare di giochi di parole di difficile adattamento, come Werewolf? There wolf, there castle! che diventa Lupo ululà e castello ululì! (fun fact: l’ululato del lupo è di Mel Brooks stesso).
Gli occhi (e malocchi) di Frankenstein Junior
Tutto questo è reso possibile da un cast eccezionale in ogni ruolo. Gene Wilder è perfetto nell’interpretare lo stralunato scienziato sempre in bilico tra rigore scientifico ed esaurimento nervoso, ed esprime il meglio del suo talento comico quando in coppia con Marty Feldman: l’aiutante è il vero mattatore del film, grazie alla sua inconfondibile mimica facciale che incornicia le migliori gag affidate a lui. Lo stesso Peter Boyle (la Creatura), pur non parlando per quasi tutto il film, riesce a scatenare risate solamente con grugniti ed espressioni, mentre non da meno sono i due principali personaggi femminili, Inga (Teri Garr), l’assistente un po’ svampita, e soprattutto Frau Blucher (Cloris Leachman), che terrorizza i cavalli al solo pronunciarne il nome.
È facile per una commedia accusare il peso del tempo e risultare vecchia, specialmente in periodi di forti cambiamenti sociali come quello che stiamo vivendo. Ebbene, a cinquant’anni di distanza, Frankenstein Junior non ha perso un grammo della sua brillantezza, facendo ridere di gusto ancora come la prima volta con un’ironia sagace, arguta ed anarchica: il merito va a Brooks e Wilder per non aver avuto paura di rovesciare gli archetipi di un intero genere, coinvolgendo (letteralmente) mostri sacri della storia del cinema, per porli al servizio della risata.
Igor: Doctor Frankenstein?
Frederick: Frankenstin…
I: Vuol prendermi in giro?
F: No, si pronuncia Frankenstin…
I: Allora dice anche Frederaick.
F: No, Frederick!
I: Be’, perché non è Frederaick Frankestin?
F: Non lo è… È Frederick Frankestin.
I: Capisco.
Fr: Tu devi essere Igor.
I: No, si pronuncia Aigor.
F: Ma mi hanno detto che era Igor!
I: Be’, avevano torto, non le pare?
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