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«Homemade»: su Netflix i cortometraggi d’autore ai tempi del lockdown

10 minuti di lettura

Una serie composta da diciassette cortometraggi, con una durata dai cinque ai dieci minuti ciascuno, firmati da registi e attori di tutto il mondo. È questo il nuovo progetto di Netflix, frutto di mesi di liberazione creativa contro la chiusura domestica del lockdown. Si intitola Homemade, letteralmente “fatto in casa”, ed è disponibile sulla piattaforma dal 30 giugno.
La sua è una realizzazione internazionale sia nella regia che nella produzione, poiché unisce la casa di produzione italiana The Apartment e quella cilena Fabula.

Ogni short movie racconta una delle infinite sfumature di una quotidianità abitudinaria vissuta tra le mura domestiche. Ciò che sembra ordinario diventa straordinario. Lo si legge sui volti dei protagonisti, molto spesso figli e coniugi dei registi. Lo si assapora da una ripresa quasi amatoriale, realizzata molto spesso con gli smartphone. Ogni azione appare così familiare e complice e interessa lo spettatore, perché lui stesso ha vissuto le stesse esperienze non molto tempo fa.

A casa con la famiglia

Homemade
Espacios, Natalia Beristáin, Mexico City

Una costante di Homemade è la presenza familiare. Sia nel backstage che in primo piano sullo schermo. Gli indiscussi protagonisti sono i bambini, che liberano la loro creatività come attori amatoriali. Così Mayroun, figlia del regista libanese Khaled Mouzanar e della moglie, l’attrice Nadine Labaki, buca lo schermo con una performance improvvisata nello studio del papà. La stessa magia da one child show si ritrova nel corto della regista messicana Natalia Beristáin, che mette sotto i riflettori la figlia di cinque anni Juanita.

Da questi cortometraggi emerge con chiarezza un messaggio di speranza per le nuove generazioni. Soprattutto per i più piccoli, che si sono confrontati con una realtà non a pieno conosciuta e compresa. Per loro è stato fondamentale l’appoggio genitoriale e la stimolazione creativa.
Così è stato anche per gli adolescenti, più consapevoli, ma alle prese con le amicizie lontane, le lezioni telematiche e quella sensazione di tempo perso per sempre. Tali emozioni traspaiono sul volto di Buzz, che con il suo drone colora il corto di Ladj Ly, o nella protagonista irlandese del progetto di David Mackenzie.

La solitudine del numero uno

Homemade
Ride It Out, Ana Lily Amirpour, Los Angeles

C’è anche chi, però, ha dovuto vivere l’emergenza sanitaria in totale solitudine. Unico abitante di una casa vuota, trainato dalla monotonia della routine quotidiana e impaurito da ciò che non conosce. Tale isolamento involontario è rappresentato in Homemade attraverso la figura adulta. Uomini soli, come il regista tedesco Sebastian Schipper, unico autore e attore di un leitmotiv di azioni giornaliere domestiche. Ciò che traspare è la noia in cerca di evasione, tanto che il regista immagina, a un certo punto, che tre sue personalità condividano l’appartamento.

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La solitudine è però incanalata in una forma poetica, performativa. Come nel corto di Maggie Gyllenhaal, sullo sfondo forestale alla Into the Wild. O nella scelta di Kristen Stewart, dama grigia insonne dietro una finestra che nasconde Los Angeles. Quella stessa città, tratteggiata sui colori della street art, è protagonista della giornata in bicicletta di una ragazza misteriosa. È la regista Ana Lily Amirpour, che si muove libera tra le strade deserte.
La potenza performativa femminile si esplica poi nel musical di Sebastian Lelio e nella poesia dialogata di Naomi Kawase.

«Homemade» ricorda chi non c’è più

Homemade
The Lucky Ones, Rachel Morrison, Los Angeles

Un pensiero va anche a coloro che hanno perso la vita durante la pandemia e ai loro cari lontani. Così il tema della morte riecheggia tra le righe e la presenza genitoriale diventa fondamentale. La regista Rachel Morrison dialoga in voice over con il figlio Wiley. Gli parla della speranza, della fortuna di non essere malato e lo rassicura dicendo che le sue due mamme stanno bene. Questo è il commovente pretesto di Rachel per ricordare la sua di mamma, morta di cancro quando lei era piccola. Ma non è l’unica a cercare il ricordo della figura materna in un momento così delicato.

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La regista britannica di origini indiane Gurinder Chadha ricorda ai figli l’importanza di dedicare una preghiera a coloro che non ci sono più. E tra le sue parole traspare il volto della madre, morta poco prima del lockdown. In lei c’è il conforto di averle dato l’ultimo saluto, al contrario della distanza che separa Johnny Ma, regista cino-canadese, e sua madre. Lui è partito per il Sudamerica per stare con la nuova compagna e i figli di lei e la madre non gli ha più parlato. Tra di loro un addio mai dato, prima che il mondo si fermasse dividendoli e offrendogli incerte speranze sul futuro.

A patti con il distanziamento sociale

Homemade
Last Call, Pablo Larraín, Santiago

Il distanziamento sociale come misura precauzionale ha richiesto una comunicazione telematica. La maggior parte delle persone, compresi gli anziani, meno propensi, si è dovuta destreggiare con i new media. Smartphone, PC e Tablet, a sostegno di messaggi e video-chiamate, hanno arricchito e definito la routine di ognuno. Per questo rappresentano un imprescindibile materiale narrativo per Homemade, usato dai registi in chiave ironica.

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Così il cileno Pablo Larraín offre allo spettatore un dialogo commovente, comico, ironico e anche erotico tra un anziano in una casa di riposo e una vecchia fiamma di cui è ancora innamorato. La sorpresa finale la lasciamo alla visione del corto, ma la serietà del tema portante riguarda la paura di morire da soli, senza accanto la persona amata o i propri cari a sostegno. Invece, la regista zambiana Rungano Nyoni ironizza su una coppia che si lascia durante il lockdown. L’evoluzione del loro rapporto si esprime, così, tra i messaggi delle chat sul telefono.  

«Homemade» è anche mistery-pop

Ogni cortometraggio ha una precisa sfumatura che lo connota. C’è chi sceglie l’espediente comico, chi quello drammatico, chi ancora non può non commuovere lo spettatore. E poi c’è Paolo Sorrentino. La sua brillante vena pop a sfondo attuale dona colore alla narrazione. Il regista sceglie come protagoniste due statuine, una del Papa e una della Regina Elisabetta e immagina che, a seguito della chiusura delle frontiere, i due debbano convivere in Vaticano.

«Io e te siamo solamente dei simboli, per questo non sappiamo fare nulla»

Un omaggio a The New Pope tra l’ironia dei dialoghi e l’immancabile richiamo alla danza.
Ma dalla Roma di Sorrentino si passa a Springs (New York) di Antonio Campos dove, sulle coste dell’Atlantico, due donne trovano un uomo dall’identità sconosciuta. Un richiamo a Lo straniero che viene dal mare, ma con un tocco mistery che lascia lo spettatore con molte domande. Così come l’uomo di oggi, fresco di un’esperienza globale traumatica, ma dubbioso sulle evoluzioni del futuro.

L’unica cosa certa è la piacevolezza che la visione di questi diciassette corti può donare, come ricordo consapevole dei mesi passati.


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Classe 1996, laureata in Comunicazione e con un Master in Arti del Racconto.
Tra la passione per le serie tv e l'idolatria per Tarantino, mi lascio ispirare dalle storie.
Sogno di poterle scrivere o editare, ma nel frattempo rimango con i piedi a terra, sui miei immancabili tacchi.

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