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I predatori di Pietro Castellitto, il film del momento

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Dopo il successo a Venezia 77, come miglior sceneggiatura coronata dal Premio Orizzonti, I Predatori, esordio vincente di Pietro Castellitto, approda al cinema. Occupa il grande schermo dal 22 ottobre, così prossimo al nuovo DPCM che prevede la chiusura delle sale da non accorgersene. Tuttavia il film di Castellitto figlio, prodotto da Fandango e Rai Cinema è già un successo, e forse potrà rifarsi nei canali VOD. Uno specchio deformante, ma non troppo, della tragicomica follia ordinaria.

Chi sono I predatori?

La tomba di Nietzsche e una bomba. È questo il collante che spinge Federico Pavone (Pietro Castellitto), un giovane assistente di un celebre antropologo (Nando Paone) a rivolgersi al proprietario fascistoide di un negozio di armi. Così la passione per il filosofo tedesco diventa un’ossessione. E, se a Federico, per il suo temperamento instabile, è impedito di riesumare la salma di Nietzsche insieme agli altri assistenti, allora non lo potrà fare nessuno.

Fa ridere, perché è tutto vero

Ma a questa storia se ne aggiungono altre, che convergono in un’unica dimensione ciclica. Così Pierpaolo Pavone (Massimo Popolizio) è il padre di Federico e primario dell’Ospedale. Salva la madre del fascistoide, dapprima truffata da un venditore di orologi (Vinicio Marchioni), che poi diventa il nuovo compagno della fidanzata (Anita Caprioli) del collega primario di Pierpaolo, con cui quest’ultimo tradiva la moglie. Questa (Manuela Mandracchia) è una regista rodata, autrice del film che vediamo in sala, prima che un conclusivo spezzone finale e i titoli di coda ci riportino alla realtà.

L’assurdo incorniciato da reale

L’eterno ritorno di Nietzsche riposa sulla ciclicità della storia, dove tutti i tasselli inevitabilmente si incastrano. Così i predatori inseguono la loro vittima finché non diventa un appetitoso pasto. È venale sopravvivenza nella giungla metropolitana, dove un piccolo evento può innescare una cornice assurda, ma probabile di situazioni. Tutti cercano di affrontarle come possono, ma l’istinto animale soggiace a un’umanità complessa e tormentata, che li fa agire in maniera deviata.

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I personaggi assumono quindi una maschera tragicomica, che nasconde le più diverse sfaccettature umane. In una stessa dimensione di agio economico convivono il grezzo e il radical chic, ma la loro insoddisfazione comune li porta a cercare famelicamente sempre qualcosa in più. Non ci sono appagamento e soddisfazione per il predatore nell’ordinario. Questo cerca il conflitto, l’inevitabile disastro che però, se contestualizzato tra le tarantelle quotidiane, diventa comico. Fa ridere, perché è tutto vero.

Una storia che ingabbia (brillantemente) la spettatore

I predatori

A un regista al suo esordio è concesso di tutto. E Pietro Castellitto accoglie la proposta con una regia brillante e originale, infiorettata da una scrittura vincente. Così lo spettatore, seduto davanti a uno schermo, viene intrappolato sin dall’inizio in un loop ciclico da cui non può evadere. Semplicemente perché la storia cerca uno sguardo vorace e attento, come quello dei predatori del film. In ogni momento aspettiamo il colpo di scena che ci condurrà alla fase successiva di questa caccia all’assurdo. Ed è così bello vedere il sorriso ambiguo di Vinicio Marchioni che apre e chiude il film.

I predatori

Così come il breve piano sequenza di apertura, che gradualmente introduce i primi personaggi e ritorna alla fine, tra tutti i protagonisti amati fino a quel sorriso deviato del venditore di orologi. Proprio quella felicità deformata e indecifrabile ci appartiene e ci rende vicini a un film che ha saputo brillantemente interpretare la commedia italiana nella sua forma più autoriale e contemporanea. Dalla tragedia fiabesca di Favolacce dei fratelli D’Innocenzo, Castellitto approda alla commedia dell’assurdo. E ritorna anche qui eternamente quella risata, piena e ambigua dei personaggi che ci fa chiedere, con un sorriso, di chi stiamo ridendo.


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Classe 1996, laureata in Comunicazione e con un Master in Arti del Racconto.
Tra la passione per le serie tv e l'idolatria per Tarantino, mi lascio ispirare dalle storie.
Sogno di poterle scrivere o editare, ma nel frattempo rimango con i piedi a terra, sui miei immancabili tacchi.