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Indiana Jones e il Quadrante del Destino, un addio amaro nel segno del passato

Indiana Jones e il Quadrante del Destino è un addio amaro

9 minuti di lettura

Dopo un quarto capitolo che aveva ampiamente deluso le aspettative, è arrivato in sala, il 28 Giugno, Indiana Jones e il Quadrante del Destino, film che dovrebbe chiudere una delle saghe cinematografiche più amate dal grande pubblico o, almeno, sancire il definitivo addio di Harrison Ford, pronto a svestire i panni dell’archeologo più famoso al mondo. Tanti condizionali, perché lo sappiamo fin troppo bene, soprattutto in casa Disney: la volontà è sempre quella di spremere fino all’ultima goccia ogni prodotto o franchise che si rispetti.

Infatti, il film diretto dall’ottimo James Mangold, al netto di una regia largamente convincente e di scene d’azione certamente coinvolgenti, non è la chiusura di un cerchio, perché non ha il coraggio, o più tristemente la volontà di esserlo. Eravamo pronti a salutare Indy, a farlo con un finale che rendesse omaggio al personaggio, a Harrison Ford e all’essenza della saga, ma ci siamo invece trovati di fronte un film che un finale nemmeno ce l’ha, a dirla tutta.

Indiana Jones e il Quadrante del Destino, tornano i nazisti

Harrison Ford ringiovanito digitalmente in Indiana Jones e il Quadrante del Destino

Indiana Jones e il Quadrante del Destino inizia con un flashback. Siamo nel 1944, nella Germania nazista, e Jones viene catturato dai tedeschi nel tentativo di sottrarre loro una delle tante reliquie trafugate. Dopo essere riuscito a fuggire, Indiana raggiunge il treno su cui l’esercito tedesco ha caricato appunto centinaia di manufatti. Su quel treno c’è anche l’astrofisico Jürgen Voller (Mads Mikkelsen), che ha trovato proprio una parte dell’artefatto che dà il titolo al film: il Quadrante del Destino.

Costruito da Archimede, si dice che lo straordinario marchingegno abbia la capacità di aprire varchi spazio-temporali, ma Voller sembra l’unico a credere davvero in quel potere. Jones e Shaw riusciranno ad impossessarsi del Quadrante e, dopo uno scontro con Voller, torneranno in America.

Il film torna al presente, precisamente al 13 Agosto del 1969, giorno dell’allunaggio. Indiana viene svegliato dal Magical Mystery Tour, è anziano, ovviamente è ancora un professore, ma quello è proprio il giorno in cui andrà in pensione. Mentre le persone si riversano in strada per una parata in onore degli astronauti, Jones si rifugia in un bar dove incontrerà Helena Shaw (Phoebe Waller-Bridge), la figlia dell’amico Basil, nonché sua figlioccia. Helena è una studentessa di archeologia e spiega a Indy come stia cercando di portare avanti le ricerche del padre sul Quadrante del Destino, chiedendo appunto di poter vedere quella metà che avevano recuperato anni prima. 

Si scoprirà però che anche Voller è ancora alla ricerca dell’artefatto, desideroso, insieme a un gruppo di nazisti, di sfruttare il suo potere per tornare indietro nel tempo e vincere la Seconda Guerra Mondiale. Indiana e Helena cercheranno così di recuperare l’altra metà del Quadrante prima di Voller, trovandosi invischiati in una caccia all’uomo tra Marocco e Italia.

Indiana Jones tra passato, presente e futuro

Phoebe Waller-Bridge e Harrison Ford in Indiana Jones e il Quadrante del Destino

Con Indiana Jones e il Teschio di Cristallo, Spielberg tentò un approccio al soprannaturale che poco si addiceva al franchise, ma che al tempo stesso flirtava con quelle teorie cospirazionistiche secondo cui, alcuni dei più grandi monumenti delle civiltà antiche, non possano che essere il lascito di forme di vita extraterrestri più avanzate. D’altronde la sua fascinazione per gli alieni lo aveva già portato a realizzare Incontri ravvicinati del terzo tipo, E.T. e La guerra dei mondi. C’era poi anche un cambio di rotta in ottica villain, dal momento che l’ambientazione nel 1957, in piena Guerra Fredda, lo aveva fatto propendere per la minaccia sovietica piuttosto che per quella nazista.

Con Indiana Jones e il Quadrante del Destino Mangold torna invece al passato, letteralmente, cercando anche di omaggiare i primi tre capitoli della saga. Passato, che è ovviamente il fulcro intorno al quale si sviluppa la narrazione del film; da una parte perché è ciò a cui ambiscono i nazisti, grazie al potere del Quadrante, dall’altra perché è ciò che rappresenta Indiana Jones. In un mondo che corre imperterrito verso il futuro, lui ha dedicato tutta la propria vita al passato, ha sempre cercato sottoterra tesori inestimabili, e non comprende quindi le ambizioni di chi, al contrario, volge lo sguardo verso il cielo

È questo probabilmente l’unico aspetto veramente splendido di Indiana Jones e il Quadrante del Destino, l’unico perfettamente riuscito. Questo contrasto tra passato e futuro è evidente anche nella dicotomia tra Indiana e Helena, due cercatori di tesori con ambizioni completamente diverse. Lui, appunto, il passato della saga. Lei, molto probabilmente, il futuro. D’altronde tutto fa presagire un prosieguo con Phoebe Waller-Bridge protagonista – a proposito di spremere i franchise fino all’ultima goccia. Il passaggio di consegne però non avviene, così come l’addio a Indiana Jones, che pur dovrebbe essere scontato (e magari anche doveroso) vista l’età di Harrison Ford. 

Indiana Jones e il Quadrante del Destino, cara vecchia polvere

Harrison Ford in Indiana Jones e il Quadrante del Destino di James Mangold

Come già specificato, quindi, dal punto di vista dell’azione e della regia Indiana Jones e il Quadrante del Destino riesce ad essere assolutamente coinvolgente. Tutta la prima parte ambientata nella Germania nazista è veramente un grande esempio di cinema d’avventura. Addirittura la versione digitalmente ringiovanita di Indiana Jones è anche piuttosto convincente, nonostante mantenga un’inevitabile patinatura da videogioco. Questo perché quella è la dimensione ideale di Indiana Jones, è ciò che siamo abituati a vedere fin da I predatori dell’Arca Perduta

Certo, una volta tornati al presente, il contrasto tra vecchio e nuovo, tra passato e futuro è appunto l’aspetto che più affascina del film, ma al tempo stesso le avventure di Indy diventano fin troppo urbane, e quella polvere che caratterizzava i capitoli precedenti viene spazzata via. Poche ragnatele, pochi segni del tempo, e la sensazione di un’atmosfera sempre troppo artefatta. 

Indiana Jones e il Quadrante del Destino poteva essere migliore del suo predecessore – non ce ne voglia il buon Spielberg, ma non era impresa così complicata – e in fondo probabilmente lo è. Quello che rimane, però, assolutamente inconcepibile e imperdonabile è proprio l’ultimo atto. Inconcepibile perché in realtà non esiste a tutti gli effetti un finale, e in un film la cui essenza è esattamente quella di fare da chiusura a una saga che ha fatto la storia del cinema, il finale non può che essere il momento cruciale. A questo si aggiunge il fatto che è imperdonabile, per il pubblico soprattutto, non riuscire a trovare il coraggio di scrivere la parola fine, nonostante un Harrison Ford ormai ottantenne.

Mettiamo da parte il Quadrante e concentriamoci sul Destino. Il nostro è stato quello di salutare Indiana Jones nella più completa indifferenza. Rimanere lì, immobili sulle poltroncine della sala, senza capire se si è assistito a un Addio o soltanto a un Arrivederci


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Sono Filippo, ho 22 anni e la mia passione per il cinema inizia in tenera età, quando divorando le videocassette de Il Re Leone, Jurassic Park e Spider-Man 2, ho compreso quanto quelle immagini che scorrevano sullo schermo, sapessero scaldarmi il cuore, donandomi, in termini di emozioni, qualcosa che pensavo fosse irraggiungibile. Si dice che le prime volte siano indimenticabili. La mia al Festival di Venezia lo è stata sicuramente, perché è da quel momento che, finalmente, mi sento vivo.

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