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La Cospirazione del Cairo, c’è un mondo intero là fuori

7 minuti di lettura

I luoghi di potere hanno da sempre affascinato il pubblico avido di intrighi e complotti, specialmente per quanto riguarda le istituzioni religiose: inutile dire che già moltissimi autori abbiano intuito le qualità mitopoietiche del confessionale, delle toghe e delle croci volgendo il proprio sguardo oltre i cancelli del Vaticano.

La Cospirazione del Cairo, vincitore per migliore sceneggiatura a Cannes 2022 e in sala da noi dal 6 aprile, sceglie di raccontare un mondo fino ad ora mai toccato dalle lenti di alcuna cinepresa: al-Azhar, la più grande Moschea d’Egitto ed il punto di riferimento morale dell’intera sfera islamica, casa del Grande Imam e di una delle più prestigiose università sunnite.

Università nella quale viene ammesso Adam, giovane figlio di pescatori: il suo viaggio inizia incerto ma speranzoso alla ricerca di sapere e conoscenza, ma dopo appena qualche giorno al Cairo, il Grande Imam muore per un malore, gettando nello scompiglio l’intero paese. Ed è qui che il povero ragazzo rimane invischiato in una tremenda storia di corruzione e spionaggio orchestrata dal governo Egiziano per far eleggere un nuovo Imam fantoccio che riesca una volta per tutte ad assoggettare il potere della Moschea a quello del Presidente.

La Cospirazione del Cairo, l’Egitto di Mubarak e la filmografia di Saleh

La Cospirazione del Cairo

Presidente che, è bene ricordarlo, fino a una decina di anni fa regnava sull’Egitto come un faraone: Hosni Mubarak teneva in pugno l’intero paese da vero e proprio dittatore grazie ad una legge marziale entrata in vigore nel 1981, dopo l’assassinio del precedente capo di stato. Un regno durato trent’anni a cui hanno posto fine le violente proteste che nel 2011, all’alba della Primavera Araba, ottennero le dimissioni del Presidente.

Tarik Saleh, regista egiziano che ha vissuto e tutt’ora lavora principalmente in Svezia, ha raccontato queste proteste in un suo precedente film, Omicidio al Cairo (2017), sviluppando parallelamente le vicende private di un poliziotto corrotto e il suo inconsapevole ruolo nell’alimentare il fuoco della ribellione: La Cospirazione del Cairo sembra essere la naturale continuazione di una riflessione iniziata già in quel film, lasciandosi alle spalle l’epoca di Mubarak per riflettere sul più recente colpo di stato militare che nel 2013 riportò al potere membri dell’esercito, primo fra tutti l’attuale Presidente Abdel Fattah al-Sisi.

Da un dittatore all’altro, con una breve parentesi democratica (filo-fondamentalista), nei film di Saleh l’Egitto del 2011 non sembra poi tanto diverso da quello messo in scena nella contemporaneità. Il regista non nasconde mai il ritratto di al-Sisi appeso in tutti gli uffici della polizia, anzi, lo inquadra come si inquadrerebbe una rappresentazione sacra, una figura mistica che troneggia sull’intera stanza.

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Vi è una certa solennità anche nel modo in cui gli spazi dell’università sono rappresentati, con il costante sottofondo delle preghiere cantilenanti ed il vociare di centinaia di persone, come una finestra sul passato del paese, che fuori dalle mura universitarie sembra invece essersi incredibilmente occidentalizzato: la fotografia semplice ma efficace serve a rimarcare lo splendore delle vetrine di Starbucks, McDonald e Prada nel centro del Cairo tanto quanto le cupole e le torri che sovrastano la scuola. Una dualità che attraversa l’intero La Cospirazione del Cairo e l’intero paese, nel quale il Presidente ed Allah sono contemporaneamente “in combutta” e in competizione.

Ne La Cospirazione del Cairo assistiamo a cellule fondamentaliste formarsi all’interno di al-Azhar, con l’obiettivo di “punire gli infedeli al potere che trattano i veri musulmani come terroristi“, mentre dall’altra parte abbiamo l’intero apparato della giustizia egiziana, intento a prevenire la possibile minaccia di un nuovo Imam poco in linea con la linea governativa.

In mezzo a queste tensioni si ritrova Adam che comincia a collaborare con la polizia infiltrandosi nei gruppi estremisti interni alla Moschea, eppure si trova almeno parzialmente d’accordo con ciò che questi gruppi predicano; non sa con chi confidarsi, né su cosa confidarsi, semplicemente non riesce a scegliere a quale dei due poteri assoggettarsi.

La Cospirazione del Cairo visto da un occidentale

La Cospirazione del Cairo

Come Adam, noi spettatori così lontani da questa realtà, siamo assolutamente incapaci di schierarci. La teocrazia sarebbe la rovina del paese tanto quanto lo è la brutalità con cui viene governato ora: quello che rende La Cospirazione del Cairo un film assolutamente stimolante è racchiuso proprio in questa indecisione.

In primo luogo, il continuo oscillare dei personaggi, un momento ragionevoli e quello dopo spietati, tiene sulle spine per l’intera durata: è impossibile non rimanere confusi da questo costante ribaltamento della scacchiera, tanto quanto è impossibile non sentire il bisogno di razionalizzare gli avvenimenti, di cercare di risolvere questo rompicapo morale pensando al finale anche dopo essere usciti dalla sala.

E per concludere, La Cospirazione del Cairo riesce magistralmente a scuotere la nostra misera eurocentrica visione del mondo: valori che noi diamo per scontato vengono percepiti con occhi totalmente diversi e vissuti con sensibilità a noi estranee.

Guardare un film come questo serve da palestra al confronto, proprio perché ci pone davanti a due opzioni che al posto del protagonista rifiuteremmo a priori. Eppure Tarik Saleh e la sua opera non si schierano, denunciano e poi “si ritirano in campagna”. Il film ci sgomenta con un mondo alieno, spirituale e profondo eppure violento e radicale, ci costringe a sfoderare un’immensa dose di empatia per comprendere i motivi e le azioni dei personaggi come poco cinema contemporaneo è capace di fare.

C’è un mondo intero là fuori e l’unico modo per relazionarsi con esso è fare lo sforzo di comprenderlo, prima di demonizzarlo.


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Appassionato e studioso di cinema fin dalla tenera età, combatto ogni giorno cercando di fare divulgazione cinematografica scrivendo, postando e parlando di film ad ogni occasione. Andare al cinema è un'esperienza religiosa: non solo perché credere che suoni e colori in rapida successione possano cambiare il mondo è un atto di pura fede, ma anche perché di fronte ai film siamo tutti uguali. Nel buio di una stanza di proiezione siamo solo silhouette che ridono e piangono all'unisono. E credo che questo sia bellissimo.

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