È capitato a tutti, almeno una volta nella vita, di entrare nella casa abbandonata dell’infanzia, o in quella in cui si è cresciuti da giovani. Oppure, insomma, una casa protagonista della nostra adolescenza, con quelle caratteristiche quattro mura riconoscibili solo a noi, quell’armadio che ci ha visto crescere e cambiare veste (non solo letteralmente).
Ad aver aperto l’anta dei ricordi è responsabile Roberta Torre (Mare Nero, Riccardo va all’inferno), classe 1962, regista di Le Favolose, film a metà tra il documentario e la fiction, in uscita nelle sale come evento il 5-6-7 settembre 2022 e diretto come se fosse un’opera prima sperimentale (nel senso buono del termine).
La trama de Le Favolose
Film d’apertura delle Notti Veneziane alle Giornate degli Autori di Venezia79, prodotto da Stemal Entertainment, Faber Produzioni con Rai Cinema, e in sala grazie a Europictures, Le Favolose mette alla prova sette amiche transgender di mezza età (Mizia Ciulini, Nicole De Leo, Antonia Iaia, Massimina Lizzeri, Porpora Marcasciano, Sofia Mehiel, Sandeh Veet) arrivate oggi a fare i conti con un passato difficile, luttuoso, disastrato. Al centro della loro attenzione: una villa nella periferia di Milano, un abito da sera verde, e una di loro, Antonia, che purtroppo è passata a miglior vita senza avere avuto degna sepoltura.
Date le premesse de Le Favolose, pare quasi scontato uscire dalla sala e sentirsi colpevoli. Il film di Roberta Torre, una storia completamente trans, calca la mano esattamente nel punto passionale, tabù (purtroppo) per eccellenza della questione, attuando un’autentica azione di pasoliniana memoria. È la stessa Torre che, non a caso, parlando de Le Favolose dichiara:
questo film è un contributo alla ricerca della libertà, un inno a chi fa della propria vita un percorso libero, con forza coraggio lacrime, gioia, nonostante tutto.
Le Favolose: cinema come critica politica
La Torre rende il cinema una macchina d’informazione politica. Alla triste storia di Antonia, l’amica deceduta e sepolta secondo la volontà della famiglia con abiti maschili, pre-transizione quindi, si uniscono le storie tragiche delle altre, costrette in gioventù alla prostituzione (chi per necessità, chi per volontà). Vicende impossibili da immaginare per la loro efferatezza, ma concretamente reali nel loro essere qui e ora, come parti integranti della nostra società. In fondo, il cinema è imprimere la nuda e cruda realtà su un nastro incancellabile. Sì, anche nell’era del digitale.
Perse nei ricordi, perse nel presente – per fortuna, più felice – le amiche rimembrano il passato, un protagonista attivo nella pellicola. Esso emerge prepotente ogni qualvolta la Torre sceglie di passare alle riprese in super8 (che sono tante), accompagnate da una colonna sonora nostalgica (Tommaso Maresco, Leonardo Rosi alla composizione). La crudezza delle scene è così solo evocata, lascia spazio a molta immaginazione però sempre accompagnata dal saggio – seppur istintivo – movimento della macchina a mano. Vengono preferiti gli angoli ai campi totali, le mensole impolverate ai primi piani: Roberta Torre è una cinefila pura, la quale spesso e volentieri preferisce distrarsi sui dettagli della casa e delle ragazze, piuttosto che (come d’altronde dovrebbero farlo tutti) sulla loro fisicità.
La natura di fondo de Le Favolose
In questo gioco meta-cinematografico e meta-narrativo, fatto di interviste dirette e stralci di vite quotidiane, ritorniamo al punto iniziale. La casa è un attivatore di coscienza che plasma la realtà, la distorce a cose a noi impossibili da vedere – che però sono visibili alle sette amiche – proprio come una piccola videocamera amatoriale, che cattura, annota, lascia il segno delle vacanze e dell’infanzia che fu.
Per le persone trans esiste un prima e un dopo nella vita. E di sicuro ciò vale anche per molte persone binarie. Ma se alle prime interessa solo il dopo (senza abbandonare il prima), ciò sembra ancora un’ottusa mancanza di senso per i secondi. Le Favolose aprono gli occhi e la mente proprio a coloro che, nell’ignoranza materiale di vedere solo il corpo fisico e non la persona, scambiano erroneamente il prima e il dopo con una malattia mentale.
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