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42TFF foto con Giulio Base e Angelina Jolie

Torino Film Festival 2024, quand’è che il cinema è diventato una passerella?

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8 minuti di lettura

Come di consueto, anche nell’anno appena passato siamo andati al Torino Film Festival, arrivato alla sua 42esima edizione. Questo nonostante la direzione rinnovata da Giulio Base che ha fatto sollevare non poche critiche, l’impostazione esplicitamente glamour del festival contro quella di cinema di ricerca degli anni precedenti, e, non meno rilevante, la squadra giovanissima di selezionatori (noi avevamo intervistato Martina Barone).

Sono ormai passati quasi due mesi dalla fine del Torino Film Festival, eppure non possiamo smettere di pensarci. Per la programmazione? Un film in particolare? No, soltanto un’intervista uscita su La Stampa a festival concluso del direttore Giulio Base, e in particolare un passaggio che ha fatto il giro dei social.

Le dichiarazione del direttore Giulio Base e i dati del 42TFF

42tff direttore Giulio Base
Il direttore del 42TFF Giulio Base

Offro una riflessione – dice Base a La Stampa – mentre fare un programma è relativamente facile (chiunque può farlo, contano i gusti personali ma in pratica non c’è che da scegliere tra i film iscritti) per fare arrivare le “stelle” ci vogliono capacità, contatti, costanza, attitudine, conoscenze e savoir faire: non è da tutti insomma.

Su questa singola dichiarazione si è scatenato il putiferio, specie tra gli addetti ai lavori. Per far capire anche a chi bazzica poco il mondo dei festival cinematografici la “provocazione” lanciata da Giulio Base al lavoro del programmer, bisogna partire dai numeri dell’edizione 42 del festival, che di fatto segnalano una crescita rispetto agli anni scorsi.

Uno degli obiettivi della nuova direzione era infatti quello di portare un maggiore numero di spettatori nelle sale, considerando anche lo scarso successo delle precedenti edizioni. Chi ha partecipato a entrambe le annate – il prima e dopo, insomma – non ha potuto far meno di notare la difficoltà con cui si riusciva a trovare posto in sala, persino nelle proiezioni mattutine e pomeridiane. L’organizzazione ha dichiarato una percentuale di riempimento che è passata dal 53% della 41esima edizione al 70% della 42esima. Sono diminuiti i titoli, certo (da 202 a 121), così come le masterclass e gli eventi fuori biglietteria – questi ultimi, del tutto assenti – ma resta il fatto che si sia registrato un aumento delle presenze significativo (da 35.000 nel 2023 a 36.700 nel 2024).

Un lavoro che continua anche sui social, cassa di risonanza che ha portato oltre 1 milione di persone (+57,4% rispetto alla 41esima edizione), 2,3 milioni di visualizzazioni, 76.900 interazioni e un successo trainato perlopiù da Instagram, dove l’engagement cresce del 29%, le condivisioni dell’83% e le stories contano 906.000 impression.

Anche dal punto di vista della stampa, il Torino Film Festival del 2024 ha goduto di un posto in prima linea: sono stati scritti e pubblicati moltissimi articoli, un buon 60% in più rispetto alla passata edizione, e rilasciati 2.039 accrediti (l’anno precedente erano 1.998).

Insomma, una veste nuova che ha rivitalizzato quello che era un festival spesso criticato per la sua poca attrattività, in una Torino che, dopo Venezia, è chiamata a rappresentare la settima arte in Italia.

Sì, ma i film?

42tff una riflessione sui film
Immagine tratta dal film Linda e il pollo in programmazione al 41TFF

Cosa resta al di là dei numeri, del glamour, delle star e dei tappeti rossi? C’è tutta una zona grigia che spesso viene poco considerata. E proprio qui torniamo a quella fantomatica dichiarazione: «Fare un programma è relativamente facile (chiunque può farlo, contano i gusti personali ma in pratica non c’è che da scegliere tra i film iscritti)».

Uno dei motivi, se non il principale, per cui noi di NPC Magazine abbiamo deciso, a suo tempo, di partecipare al Torino Film Festival, era la sua selezione sperimentale, indipendente e in grado di portare avanti diverse riflessioni sul cinema contemporaneo.

Nell’edizione 41 abbiamo visto in anteprima Linda e il pollo di Chiara Malta e Sébastien Laudenbach, Il mio amico robot di Pablo Berger, Le ravissement – Rapita di Iris Kaltenbäck, Vincent deve morire di Stéphan Castang, Do not expect too much from the end of the world di Radu Jude, Yannick di Quentin Dupieux, Il cielo brucia di Christian Petzold (uno dei film dell’anno secondo noi); ma anche produzioni mai effettivamente distribuite come: Birth/Rebirth di Laura Moss, body horror che riflette sul tema della morte, Pelikan Blue di László Csáki, una storia vera sulla libertà di viaggiare, il nuovo Takeshi Kitano con Kubi. E poi ancora: cortometraggi generati integralmente in intelligenza artificiale, documentari di tutti i tipi, una retrospettiva sul nuovo cinema argentino.

Ce n’era insomma per tutti i gusti, a dimostrazione che non servono grandi nomi e grandi stelle per fare un festival, ma semplicemente grande (e piccolo) cinema. Davvero era necessario stravolgere quanto già fatto? Rivoluzionare la rete di conoscenze, di registi, autori, produttori e distributori che orbitavano intorno a Torino, e che una volta all’anno portavano quel cinema nuovo e sperimentale altrimenti irraggiungibile in Italia?

Noi una riflessione l’abbiamo fatta (da umili giovani e ancora fin troppo acerbi in questo mestiere). Serve forse guardare un attimo indietro e pensare al cinema per quello che è, e no, non sembra per niente un lavoro “relativamente facile”.

In un altro articolo uscito su La Stampa, e ricondiviso da Giulio Base sui social, lui stesso afferma che: «Il cinema non può essere come il ristorante che piace solo a te e dove non va nessuno» (ma non contavano i gusti personali?) «Il cinema è di tutti. È cultura. Quella nicchia meravigliosa che è sempre stato il TFF ha avuto bisogno di un prestigio internazionale senza togliere nulla ai contenuti. Però bisogna farli conoscere. E ci siamo riusciti. Cannes, Venezia, Berlino, Torino. Nessun festival dice voglio bei film e le star stiano a casa. È un’ipocrisia». Messaggio ricevuto.


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Studente alla Statale di Milano ma cresciuto e formato a Lecco. Il suo luogo preferito è il Monte Resegone anche se non ci è mai andato. Ama i luoghi freddi e odia quelli caldi, ama però le persone calde e odia quelle fredde. Ripete almeno due volte al giorno "questo *inserire film* è la morte del cinema". Studia comunicazione ma in fondo sa che era meglio ingegneria.

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