Love Death and Robots 4 copertina

Love Death and Robots Vol. 4: una stagione che poteva dare di più

6 minuti di lettura

È uscito Love Death and Robots Vol. 4, serie d’animazione antologica rigorosamente vietata ai minori di diciotto anni creata da Tim Miller, regista di blockbuster di ampio successo come Deadpool, e prodotta da David Fincher, cineasta hollywoodiano più volte candidato all’Oscar che ora, con Netflix, pare abbia trovato grande libertà creativa.

Anche se in questo volume il tono dominante è quello del grottesco e della commedia, i dieci cortometraggi che lo vanno a comporre seguono la formula adottata nei capitoli precedenti: diverse tipologie di animazione (pittorica, 3D e anche stop motion) ed episodi autoconclusivi diretti da autori provenienti da varie parti del mondo.
Eppure, nonostante le buone premesse e il modello consolidato, Love Death and Robots Vol. 4 ha diverse falle e noi ammiratori, dobbiamo ammetterlo, ci aspettavamo molto di più.

Love Death and Robots, cronaca di una serie altalenante

Love Death and Robots 4

Potremmo definire Love Death and Robots come una delle serie più altalenanti mai realizzate: dopo la prima meravigliosa stagione, ce n’è stata una seconda decisamente inferiore (che tuttavia contiene qualche gioiello) passando poi a una terza in cui, in alcuni episodi sublimi, si ritrovava la cattiveria, l’estro creativo e la scorrettezza che ha dato al primo volume il sapore di un capolavoro. Ora però l’altalena è tornata in basso, consegnandoci nuovi episodi insipidi e privi di slancio. Cosa manca, quindi, a Love Death and Robots Vol. 4?

L’effetto sorpresa, senza dubbio. Se all’inizio della serie rimanevamo estasiati dalla qualità grafica e dalle tecniche d’animazione all’avanguardia che facevano risplendere ogni episodio, ora il nostro occhio si è abituato all’abbagliante potenza visiva che irrora Love Death and Robots e vuole concentrarsi su altro, cioè sulla concretezza e la profondità delle storie narrate in ogni episodio.

Nelle stagioni precedenti si andavano ad analizzare temi come la violenza, la sessualità e il paranormale all’interno dell’enorme ventaglio del genere fantascientifico e le sue relative declinazioni. A Love Death and Robots Vol. 4, però, sembra mancare la voglia di stupire e soprattutto di riflettere sulla scrittura, che in ogni microstoria pare essere zoppicante, nonostante la collaborazione alla sceneggiatura di scrittori rinomati come John Scalzi.

Certo, non mancano le risate genuine che scuotono lo spettatore in puntate come L’altra cosa grande – una delle più notevoli – che narra la storia di un gatto con manie di grandezza tali da fargli progettare di conquistare il mondo sottomettendo gli esseri umani. Oppure Il complotto dei dispositivi intelligenti, episodio nel quale gli elettrodomestici riescono a elaborare simpatiche teorie nei confronti dell’esistenza e del consumismo.

In Love Death and Robots Vol. 4 non mancano nemmeno le parti vecchio stile, come in Così Zeke ha scoperto la religione e in 400 Boys, che fanno della spettacolarità violenta la loro cifra stilistica. Ma, anche qui, nonostante la grandiosità degli effetti e dell’azione che accompagna ogni scena, le idee alla base sembrano essere fuori fuoco, facendo perdere l’efficacia drammaturgica all’intero episodio.

Love Death and Robots Vol. 4: tutto da buttare, quindi?

Una scena di Love Death and Robots 4

Assolutamente no. Love Death and Robots merita sempre la visione, anche quando i nuovi capitoli sembrano vacillare nell’ispirazione. Rimaniamo comunque davanti a un prodotto eccellente nel panorama variegato dello streaming contemporaneo. La serie antologica di Fincher e Miller ha dimostrato a un pubblico generalista e a digiuno di un certo tipo di cinematografia non solo che l’animazione può avere contenuti estremi e per adulti, ma anche che è un’arte dove si intersecano varie tecniche ed è presente una poetica autoriale che supera il perimetro del puro e semplice intrattenimento.

Certo, il pubblico asiatico (in particolare quello giapponese) è abituato a opere dirette da maestri come Hayao Miyazaki o Satoshi Kon, autori che fortunatamente hanno superato i confini asiatici sbarcando e conquistando quelli occidentali. Il nostro pubblico, invece, a parte una schiera di cultori, non ha ancora compreso e apprezzato il mondo dell’animazione per adulti; non ha probabilmente conosciuto film come L’organo genocida di Shuko Murase o Ninja Scroll di Yoshijaki Kawajiri, solo per citarne un paio.

Ecco perché Love Death and Robots rappresenta uno spartiacque, un veicolo potentissimo per sondare e apprezzare le nuove possibilità del linguaggio audiovisivo e scoprire un nuovo, affascinantissimo mondo animato.

Articolo di Jacopo Zonca


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