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Lovely Boy: l’immaginario trap in un racconto di formazione

Dal 4 ottobre su Sky

6 minuti di lettura

Dal 4 ottobre l’universo Sky accoglie la nuova pellicola di Francesco Lettieri, Lovely Boy. Presentato a Venezia 78 nella rassegna delle Giornate Degli Autori, il film firmato Sky Original si intesse dell’ammaliante estetica di Lettieri dipinta sulla brillante performance di uno dei volti attoriali più in vista del panorama contemporaneo. Andrea Carpenzano, già protagonista ne Il Campione, accanto a Stefano Accorsi, e dell’esordio alla regia dei Fratelli D’Innocenzo, La Terra Dell’Abbastanza, veste alla perfezione il disincanto e la sensibilità di un giovane musicista tossicodipendente.

Il suo mondo è quello della trap, realtà musicale che sta famelicamente cannibalizzando la musica italiana con un’identità precisa. Così il protagonista, Nick, in arte Lovely Boy, com’è impresso con l’inchiostro sul suo volto, coniuga la cornice estetica del trapper Gallagher all’irriverenza pop di Sfera Ebbasta, mostro sacro del DNA trap, come ha dichiarato lo stesso Carpenzano. Ne deriva un personaggio complesso e caleidoscopico che affascina e seduce su un tracciato di vita che sfrutta il dolore per trovare la propria identità.

Paint It, Pink

Lovely Boy

Se i Rolling Stones dipingevano di nero, Lovely Boy si firma con il rosa. Sin da subito, ciò che tiene incollato lo spettatore allo schermo, è la sua ipnotica figura. Dal compianto rapper statunitense Lil Peep, al carisma magnetico di Machine Gun Kelly, Nick scegli una chioma rosa e un labirinto di tatuaggi sul corpo. Nel lusso notturno di Roma, si nutre della propria musica incarnando una precisa attitudine performativa. Quella che appartiene all’universo trap italiano, dai FSK Satellite, che compaiono anche in Lovely Boy, a Chiello, Taxi B e Sapo Bully. La trap si respira in un’atmosfera immersiva, ma non è la protagonista del film, quanto uno sfondo artistico e sociale.

Lovely Boy gioca infatti su due piani paralleli per raccontare la parabola autodistruttiva e poi rigenerativa di Nick. Con un montaggio alternato tra passato e presente, Lettieri mostra i due mondi che incorniciano l’evoluzione del protagonista, dalla patinata dimensione del palcoscenico, incastonata in contratti ed etichette, alla silenziosa riflessione della disintossicazione, in una comunità tra le montagne dove si abbraccia un più evidente confronto generazionale.

Lovely Boy è l’intersezione di due mondi

La realtà duale di Lovely Boy si manifesta in un incontro di percezioni ed esperienze di vita. Se nella cricca dei suoi soci Nick si disperde in una percezione allucinata di ciò che ha sempre masticato come suo stile di vita, in comunità la sua personalità si rapporta alle singole identità dei pazienti. Al centro di disintossicazione tutti sono più grandi rispetto a Nick, figli della voragine distruttiva dell’eroina negli anni Ottanta, raccontata anche nel documentario Netflix SanPa: Luci e Tenebre di San Patrignano. Emerge quindi lo spettro di una storia che oltrepassa i Millennials e la Generazione Z. Una realtà duramente impressa nella memoria storica e culturale, ma lontana da Nick.

O almeno così pensa il protagonista di Lovely Boy, finché non trova un mentore, interpretato da Daniele Del Plavignano. Per la prima volta Nick intesse un rapporto costruito sulla reciproca silente intesa, con un’esperienza passata comune che trascende due diversi periodi storici. Da un lato c’è l’eterna dipendenza di chi ha esperito l’eroina in vena, quelli che gli Offlaga Disco Pax cantano come “passati dalle Marlboro all’eroina, alla faccia delle droghe leggere”. Una venalità demoniaca perenne, che Nick non comprende, pur nella sua assunzione poliedrica di droghe diverse. La vera comprensione riposa nel dialogo umano, nella profondità che sobbarca la superficialità dell’apparenza.

Francesco Lettieri tra musica ed estetica

Ed è per questo che forse Lovely Boy assume la veste più intima per il regista Francesco Lettieri, da sempre artefice di una cura estetica molto precisa. Lo vediamo nel suo primo lungometraggio per Netflix, Ultras, e nei videoclip musicali che ha confezionato con delicatezza artistica negli anni, soprattutto per Liberato. C’è quindi un profondo legame che unisce nelle sue opere arte e musica, anche se in questo caso si compie un passo in più. Lo sfondo musicale resta importante, ma diventa espressione simbolica di un immaginario attitudinale.

Il suo tormentato coming of age si allaccia dunque alla trap per la schiettezza e l’immediatezza nel raccontare la contemporaneità. Affida la sua storia a una cerchia di volti chiaramente portavoci di un’identità estetica e generazionale, ma i riflettori, sfacciati illuminatori dell’anima, invadono il volto di un ragazzo. L’interpretazione di Carpenzano eccelle dunque nel mostrarsi senza filtri emotivi, nell’immergersi in una condizione di incessante abbandono esistenziale per poi riemergere, tra le fragilità di un uomo.


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Classe 1996, laureata in Comunicazione e con un Master in Arti del Racconto.
Tra la passione per le serie tv e l'idolatria per Tarantino, mi lascio ispirare dalle storie.
Sogno di poterle scrivere o editare, ma nel frattempo rimango con i piedi a terra, sui miei immancabili tacchi.

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