Caricato sulla piattaforma Netflix lo scorso 9 Marzo, Ultras è un film che ha fatto subito parlare di sé. Trattando di temi come il tifo ed il suo portato di violenza, ha subito scatenato reazioni divise e contrastanti, a tratti polemiche, in special modo dai mondi della tifoserie.
Francesco Lettieri, noto creatore di videoclip musicali dal grande successo, si cimenta in un’opera prima dalla materia difficile e magmatica, come il Vesuvio che fa da sfondo alle avventure dei protagonisti. Un tentativo di capire perché guardare Ultras.
«Ultras», trama
A Napoli vive Sandro (Aniello Arena), un uomo di mezza età che guida una frangia degli ultras napoletani, gli Apache. Colpito da Daspo, prova a vivere una vita normale lontano dagli stadi. L’incontro con Terry (Antonia Truppo) dovrebbe rappresentare una nuova fase. Ma è troppo importante per il suo vecchio gruppo di amici, di cui rappresenta ancora una guida spirituale. Tra i più giovani ha preso sotto affido personale il sedicenne Angelo (Ciro Nacca). Da quando ha perso suo fratello, coinvolto in uno scontro tra ultras, il ragazzo ha trovato negli Apache una seconda famiglia.
Forma e contenuto
La qualità della creazione formale di Ultras è indubbia: long take, primi piani, camera che si allontana, cambiamenti bruschi di prospettiva, figure capovolte. E poi ombre e luci diafane, che esplodono in tinte scure. In effetti non riesce mai ad emergere una tavola di colori positiva: le tinte sono sempre fredde e gelide, sempre fanno trasparire una sensazione di distanza e impossibile umanità tra i protagonisti.
Il film non parla di calcio. La materia sportiva è un semplice pretesto per raccontare le vicende personali dei tifosi. I protagonisti sono segnati da un’indubbia violenza repressa, che è spesso il frutto di situazioni personali disagevoli se non all’orlo del dramma.
Un tentativo di sintesi
Come opera prima, si deve sicuramente apprezzare lo sforzo registico di plasmare, in un’estetica notevolmente limata, la materia grezza del tifo. Tuttavia il film non è esente da alcune critiche, che si possono rintracciare, per esempio, nel rifiuto del tifo partenopeo di riconoscersi in questo prodotto.
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Non pare, a chi scrive, che l’opera voglia essere una generalizzazione di quel fenomeno, così complesso e spesso ben più virtuoso, che è il mondo ultras. Pare, piuttosto, che abbia voluto inserirsi in quel solco del gangster movie all’italiana, di matrice napoletana, il cui prodotto più riconoscibile e notevole è Gomorra (2008). Sotto questo aspetto è criticabile: non riesce a portare nessuna novità, non si distingue in maniera significativa, non mostra innovazioni di contenuto.
I due temi forti, il tifo e la violenza, si legano nel film ma non in maniera indissociabile: una possibilità di vita e di passione diversa sono possibili, nonostante la drammaticità del finale.
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