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Not Out film corea

Not Out, baseball e turbe giovanili nell’esordio di Jung-gon Lee

Un film che sul baseball che parla di errori e scelte

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5 minuti di lettura

Il baseball è un gioco anticlimatico, lento nelle sue gestualità e sacro nei suoi rituali. La pazienza e la razionalità sono più importanti del sapere correre o del battere più lontano possibile e durante una partita può anche non succedere mai niente, ma arriva sempre un momento in cui è cruciale prendere la decisione giusta, una frazione di secondo così emotivo e decisivo in cui tutto può cambiare o essere ribaltato. Il baseball, con i suoi concetti e peculiarità, è la perfetta metafora della vita e delle sue attese, dei suoi infiniti rischi e del senso interminabile di incertezza. In oriente è da sempre uno degli sport più praticati e visti, soprattutto in Giappone, Cina e Corea del Sud, ed è entrato fortemente nella cultura popolare e nel mondo cinematografico, dai primi film del regista Nouvelle Vague taiwanese fino al giorno d’oggi dove continua ad essere protagonista in moltissimi film. Il regista sudcoreano Jung-gon Lee nel suo esordio cinematografico Not Outuscito nel 2021 e arrivato in Europa grazie al Florence Korea Film Fest, ha costruito proprio una storia dove il baseball è protagonista e lo utilizza come chiave di volta per far emergere problematiche giovanili e le crepe sociali in una Seul contemporanea.

Una storia invisibile

Not Out film

Shin Gwang Ho è una promessa del baseball, uno dei migliori giocatori del suo liceo, ma i problemi economici della sua famiglia lo costringono a lavorare illegalmente la notte per mantenersi da solo. Il suo sogno – la sua speranza per una vita migliore – è essere selezionato già nella lega professionista senza dover fare il college, ma quando arriva il momento del draft non viene selezionato. Il ragazzo si perde nella disperazione, il baseball è l’unica cosa che sa fare e che vuole fare, alla domanda “Perché giochi a baseball?” Non riesce neanche a rispondere talmente è qualcosa di viscerale dentro di sé e la concreta possibilità di non poter più giocare lo distrugge.

L’ultima possibilità rimane l’università, ma il padre con il suo piccolo ristorante indebitato non può aiutarlo e quindi inizia a intensificare il lavoro notturno, tra vendita e fabbricazione di benzina contraffatta e tentativi di rapine per racimolare i soldi necessari a tenere accesa la sua volontà, fino a quando però il suo piano sfuggirà dal suo volere e tutto si complicherà, rischiando di porre fine alle sue speranze.

Not Out, ai confini della società

Not Out Baseball

Not Out è un film di errori, determinazione e relazioni. Jung-gon Lee costruisce un protagonista molto chiuso e lo pone ai confini della società, ha sempre il broncio e parla con un tono triste e lamentoso, non ha amicizie ed è solo contro un sistema che tende continuamente ad escluderlo per la sua situazione economica e sociale. Emerge così la necessità di una determinata parte di società invisibile di emergere, di autodeterminarsi, di uscire da una situazione stagnante e sofferente, un bisogno necessario che però spinge all’errore, a scendere a patti con qualsiasi cosa pur di non essere dimenticato, pur di non finire in un angolino mentre gli altri proseguono senza intoppi. 

Not Out è un film fatto di viaggi notturni in motorino senza il casco, di birre scolate sulle rive del fiume, di silenzi interminabili che sfociano in urla tanto desiderate, di scontri tra generazioni e status sociali talmente lontani da non incrociarsi mai. E il baseball è ciò che amalgama tutto alla perfezione, perché not out significa non eliminato, significa essere salvo, quando l’arbitro allarga le braccia e ti permette di restare in base con ancora la possibilità di portare un punto a casa base, significa essere dentro l’uragano del grande diamante all’interno di un’incertezza lenta e piena di adrenalina, di un presente palpabile e di un futuro incomprensibile, essere non eliminato significa essere ancora in vita.


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Il cinema e la letteratura sono gli unici fili su cui riesco a stare in equilibrio. I film di Malick, Wong Kar Wai, Jia Zhangke e Tarkovskij mi hanno lasciato dentro qualcosa che difficilmente riesco ad esprimere, Lost è la serie che mi ha cambiato la vita, il cinema orientale mi ha aperto gli occhi e mostrato l’esistenza di altre prospettive con cui interpretare la realtà. David Foster Wallace, Eco, Zafón, Cortázar e Dostoevskij mi hanno fatto capire come la scrittura sia il perfetto strumento per raccontare e trasmettere ciò che si ha dentro.

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