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Un'immagine di Diciannove, di Giovanni Tortorici: Leonardo impegnato a studiare su tomi antichi

Diciannove, l’arroganza dell’essere giovani

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10 minuti di lettura

How can a person know everything at 18 but nothing at 22?1

Recita così uno dei versi più famosi scritti dalla popstar e cantautrice statunitense Taylor Swift. Questo sentimento a metà tra la superbia, la spocchia adolescenziale e lo scontro con la realtà che arriva con la crescita e l’ingresso nel mondo degli adulti è perfettamente racchiuso sia in questo verso, sia nell’opera prima di Giovanni Tortorici, Diciannove.

Prodotto da Luca Guadagnino (Queer, Challengers, Suspiria) e presentato all’81a Mostra del cinema di Venezia, l’esordio di Tortorici è un film che non scende a compromessi con nessuno, grazie alla sua forma ardita e coraggiosa, e un approccio antinarrativo alle vicende del suo protagonista. Diciannove cerca piuttosto, grazie ad una forma ardita e anticonvenzionale, di raccontare un momento molto preciso della vita di un adolescente attingendo alla sua vita personale, e trasformando l’autobiografico in universale.

Sapere tutto a diciannove anni

L’esordio di Tortorici segue il personaggio di Leonardo (Manfredi Marini, anch’egli al suo esordio attoriale), diciannovenne palermitano che nel 2015 deve iniziare l’università. All’inizio lascia il capoluogo siculo per raggiungere la sorella maggiore a Londra per studiare economia, in seguito cambia idea e decide di iscriversi alla facoltà di Lettere a Siena, assecondando la sua passione per la letteratura trecentista e pre-novecentesca italiana. Il film si focalizza, da qui, sulla vita del giovane nel corso del suo primo anno di università, della sua crescente indolenza verso i professori e gli studenti della sua università e della scoperta della propria sessualità.

Quello proposto da Diciannove è un coming of age sui generis, in cui molte delle regole tipiche del genere vengono infrante, prima fra tutte l’avere un protagonista altamente sgradevole. Il personaggio di Leonardo, proprio come il film stesso, non scende ad alcun compromesso e si presenta sfrontatamente come una figura stoica e irrisolta, piena di idiosincrasie e a suo modo impenetrabile. Leonardo è un ragazzo appassionato di letteratura trecentesca, talmente saccente e convinto della sua conoscenza che rigetta le lezioni dei suoi professori – vecchi tromboni che adottano le interpretazioni dantesche più noiose, secondo lui – per iniziare a studiare, chiuso nella sua camera da studente fuorisede, in maniera autodidatta sui suoi testi preferiti.

Una scena di Diciannove: Leonardo, intento a leggere

In Cavalcanti e Guinizelli, Leonardo ricerca – o almeno, così dirà nel finale – la morale che il mondo contemporaneo non sa offrirgli, eppure egli si presenta costantemente come un personaggio a-morale, che opera continuamente scelte discutibili – si isola a livello sociale e personale; manifesta una sessualità morbosa, che lo porta a masturbarsi su Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini, a sviluppare un’ossessione morbosa per un ragazzo minorenne che incontra per strada, ad attuare comportamenti ai limiti della molestia in discoteca; ad ubriacarsi ogni volta che può e a non avere cura dello spazio proprio e delle sue coinquiline, lasciando sporcizia ovunque passi.

In Diciannove, Tortorici mette sé stesso (neanche troppo figurativamente) al centro della pellicola: in Leonardo è racchiuso tutto un periodo della vita del suo autore, che opera nel reame dell’autobiografia, o meglio dell’auto-fiction. In questa ricerca esplorativa della propria vita e del proprio vissuto, Tortorici riesce comunque a raccontare qualcosa di universale.

Al netto di esagerazioni e iperboli in cui il film saltuariamente si perde – elementi, questi, che probabilmente rispecchiano in maniera più evidente l’autobiografismo del suo autore, dal quale sembra non prescindere o edulcorare in nessuna maniera, come ad esempio nel finale profondamente scollegato dal resto della pellicola -, Tortorici riesce a raccogliere nel personaggio di Leonardo quella posa esistenziale, quelle sensazioni e credenze che molti giovani dell’età del protagonista sentono come proprie. È in questa resa generazionale che il film riesce a funzionare, al netto degli eccessi: l’onesta brutalità del racconto adolescenziale di Diciannove dimostra una freschezza e un’aderenza all’esperienza personale che rendono l’opera autentica e genuina nella sua grettezza.

Il linguaggio espressionista di Tortorici

L’esplorazione della vita interiore del personaggio di Leonardo nel film viene resa non soltanto dai dialoghi e dalle parole del suo personaggio, ma soprattutto dalla forma adottata della pellicola. Diciannove adotta, infatti, soluzioni estetiche molto ardite: zoom aggressivi, continue dissolvenze, scelte di movimenti di macchina e inquadrature audaci, alternanza di immagini live action e sezioni animate o disegnate, cartelli scritti che interrompono una sequenza di trip, fermo immagine continui, un cast fatto principalmente di attori e attrici non professionisti.

Una scena di Diciannove: Leonardo, assieme a sua sorella e a dei loro amici al pub a bere

In queste idiosincrasie formali si può leggere tutta la psicologia, lo scavo interiore sul protagonista: una figura idiosincratica, irrisolta, non in linea con le tendenze comuni. Ciò è reso primariamente, oltre che con la regia di Tortorici, attraverso il linguaggio del montaggio, curato da Marco Costa – braccio destro di Guadagnino. Le ardite scelte di montaggio, comprese le “sgrammaticature” rispetto alle convenzioni tradizionali, rispecchiano una precisa volontà espressionista della pellicola. Non a caso lo stesso Tortorici, nella già citata intervista per Rolling Stone, parla dell’influenza di registi “come Peckinpah, De Palma, Scorsese”2. La pellicola, in buona sostanza, riversa nella forma tutto il sentire e l’esperienza del suo protagonista, utilizzando il medium cinematografico come veicolo della stessa.

Il dialogo tra la forma di Diciannove e il suo protagonista è, dunque, totale e simbiotico: è nell’interstizio tra un coro di voci bianche e la musica di Calvin Harris e Tedua – che compongono parte della colonna sonora del film – che s’insinua Leonardo. Questo consente a Tortorici di creare un’esperienza estetica e artistica dell’uso del medium cinematografico inedita per il panorama italiano: raramente nel nostro paese si vedono prodotti – e, perdipiù, esordi – così freschi a livello di linguaggio, di tematiche e di punti di vista.

La sintesi di innovazione contenutistica, tematica ed estetica di Diciannove è innegabile e certamente degna di nota e di lode in un panorama come quello del cinema italiano. Il lavoro di un esordiente evidentemente dotato – non a caso segnalato tra le nuove voci autoriali del cinema nostrano, si veda ad esempio la recensione di Giulio Sangiorgio per FilmTv3 – va riconosciuto e apprezzato proprio in virtù della sua capacità manifesta di saper gestire un linguaggio ancora tutto da esplorare. Tuttavia, al termine della proiezione di Diciannove, è impossibile non uscire dalla sala con l’amaro in bocca.

Il problema di Diciannove secondo noi

Una scena di Diciannove: Leonardo piangente mentre ascolta una poesia di Leopardi

Questa brutta sensazione rimane e permane in chi scrive a causa della consapevolezza dell’inaccessibilità del film al di fuori della cerchia dei giovani cinefili, target evidente al centro della produzione di Diciannove. A differenza della Swift in apertura della recensione, infatti, Tortorici come si è già detto non scende a compromessi col proprio pubblico: a meno che non si riescano ad accettare le ardite scelte formali e la voce e prospettiva molto giovani del proprio regista, la pellicola non riesce a comunicare col pubblico.

Il problema in questo senso risiede nel contrasto tra l’onestà “relatable” della narrazione e l’estremismo della forma, che non lavorano in sinergia tra loro e tendono, piuttosto, a contrastarsi vicendevolmente. Proprio per questo, quindi, gran parte dell’audience potenziale – la stessa che ha apprezzato, per fare un esempio, l’operazione de La persona peggiore del mondo di Joachim Trier, coeva a quella di Tortorici nella sua ambizione di racconto generazionale, ma più “audience friendly” per la sua natura di commedia romantica – rimane esclusa dalla fruizione e dall’apprezzamento di Diciannove, che diventa dunque una pellicola a uso e consumo di una ristrett(issim)a porzione di pubblico.

Che Diciannove sia prossimo a rimanere un piccolo esperimento visto solo dall’élite cinefila e cinematografara italiana, o che possa espandersi al di fuori di questo mercato e venire apprezzato a livello nazionale? Ai posteri (e a Cinetel) l’ardua sentenza.


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  1. Nothing New (Taylor’s Version) [From The Vault], Taylor Swift ↩︎
  2. Carzaniga M., Giovanni Tortorici e ‘Diciannove’, la voce matta e disperatissima che ci mancava, in “Rolling Stone”, Febbraio 2025, https://www.rollingstone.it/cinema-tv/interviste-cinema-tv/giovanni-tortorici-e-diciannove-la-voce-matta-e-disperatissima-che-ci-mancava/967880/ (ultima consultazione: 6/03/2025) ↩︎
  3. Sangiorgio G., Diciannove, “FilmTv”, 8 (2025), p. 26 ↩︎

Classe 2001, cinefilo a tempo pieno. Se si aprissero le persone, ci troveremmo dei paesaggi; se si aprisse lui, ci troveremmo un cinema. Ogni febbraio vorrebbe trasferirsi a Berlino, ogni maggio a Cannes, ogni settembre a Venezia; il resto dell'anno lo passa tra un film di Akerman, uno di Campion e uno di Wiseman.

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