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Venezia 81 – Queer, il cocktail allucinatorio di Guadagnino è servito

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5 minuti di lettura

Luca Guadagnino sbarca al Lido di Venezia 81 con Queer, tratto dall’ominimo romanzo di William S. Burroughs. Per l’occasione, il regista rispolvera il suo repertorio e lo infonde di nuova linfa, portando a compimento una maturazione artistica che può fare solo un gran piacere al pubblico e alla critica. Un film entusiasmante e originale, finalmente, in una Mostra del Cinema vagamente sottotono nonostante la presenza di molte star internazionali sul red carpet. Nel ruolo del protagonista William Lee c’è un Daniel Craig inedito, frizzante e autoironico come non lo si era mai visto sul grande schermo.

luca guadagnino e daniel craig queer
Daniel Craig e Luca Guadagnino sul set (Credits Yannis Drakoulidis)

Queer, una storia d’amore stupefacente

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Daniel Craig e Drew Starkey in Queer (Credits Yannis Drakoulidis)

Queer è una storia d’amore tipica raccontata in maniera atipica. Non aspettatevi un altro Call me by your name, qua Guadagnino sperimenta e si diverte coi simbolismi e le atmosfere alla David Lynch, miscelando la realtà con una dimensione astrale e allucinatoria. Siamo a Città del Messico, anni ’50. Un uomo, il Lee di Craig, gira di bar in bar giorno e notte, beve una quantità imbarazzante di alcolici e abusa di un’altrettanto assurda quantità di stupefacenti. Cerca l’amore negli occhi degli sconosciuti; ne ricava storielle di una notte, qualche sbronza e una dipendenza da oppiacei. Finché incrocia lo sguardo di un giovane sfuggente e indecifrabile, Allerton (Joseph Andrew Starkey).

Inizia una frequentazione che oscilla tra picchi di passione condivisi e gesti di tenerezza (da parte di Lee) unidirezionali e rigettati; una carezza al momento sbagliato congela ogni sentimento e anestetizza il rapporto con Allerton, che si trasforma in un pezzo di ghiaccio. Sarà davvero queer? L’amore è realmente ricambiato? Lee/Craig è disposto a tutto per capirlo, anche a un “viaggio picaresco nel Sud America” – come lo ha definito lo stesso Guadagnino – sulle tracce di una droga mistica chiamata ayahuasca, che dona capacità da telepate. È qui che Queer prende un risvolto inatteso che può rimanere particolarmente indigesto a chi aveva tutt’altre aspettative.

In generale, il continuo ricorso ad alcol e stupefacenti facilita l’intromissione del reame dell’onirico nella narrazione. Queer è imbevuto di sogni e visioni, troppi perché una prima visione permetta di indagarli a fondo. Questi elementi si presentano però con maggiore frequenza man mano che Lee e Allerton si avvicinano a fare esperienza del rituale con l’ayahuasca nel bel mezzo della foresta amazzonica e raggiungono l’apice subito dopo la cerimonia. Guadagnino si sbizzarrisce buttandoci il kitsch, l’estetica surrealista, persino una performance che rimanda più al teatro o alla body art che al cinema.

Justin Kuritzkes & Luca Guadagnino, accoppiata vincente

Queer, poi, vive di una scrittura fresca, brillante, incapace di adagiarsi pigramente sull’estetica. Justin Kuritzkes, già collaboratore di Guadagnino per la sceneggiatura di Challengers, non abbandona nessuno (il circolo di amicizie queer di Lee e Allerton non è una macchietta stereotipata) e inserisce quei dettagli che rendono verosimili, spessi, i personaggi.

Personaggi umanissimi che si muovono in un ambiente irreale, squisitamente cinematografico: in Queer siamo sul set di un film anni ’50 girato in Technicolor (per un attimo, eccoci di nuovo in La La Land). Colori pastellosi e caldi saturano lo schermo per abbracciare una platea di spettatori che si lascia trascinare e sorprendere, in balia delle atmosfere allucinatorie imbastite da Guadagnino.

Sì, perché Queer è tutto fuorché monotono. Passa dalle vie di Città del Messico alla giungla, mantenendo il ritmo con una colonna sonora che sposa e riflette gli sviluppi della storia d’amore. Guadagnino riesce nell’impresa di non strafare, non scade nell’esercizio di stile, e soprattutto si diverte molto, facendo divertire anche il pubblico. Il tempo scorre rapidamente, siamo incuriositi dal rapporto singolare tra i protagonisti.

Quando sentiamo Puzzle dei Verdena nelle sequenze finali, e tutto allora è già (più o meno) compreso, sappiamo che dobbiamo già rivedere il film per assaporarlo meglio. Che sia proprio Queer la svolta di questo festival?


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Classe 1998, con una laurea in DAMS. Attualmente studio Cinema, Televisione e Produzione Multimediale a Bologna e mi interesso di comunicazione e marketing. Sempre a corsa tra mille impegni, il cinema resta il vizio a cui non so rinunciare.

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