Netflix, in collaborazione con la BBC, aggiunge al suo vastissimo catalogo l’ennesima (apparente) Serie tv teen che potrebbe passare inosservata. Tuttavia, Red Rose, si rivela un prodotto molto più riuscito di tanti altri. Si percepisce, nella scrittura e nella produzione, lo zampino dei Clarkson Twins, i gemelli Michael e Paul già famosi per aver firmato altri successi come The Haunting of Bly Manor, La ruota del tempo e His Dark Materials. Red Rose è disponibile sulla piattaforma dal 15 febbraio con tutti gli otto episodi della prima stagione.
Di cosa parla Red Rose?
La trama di Red Rose gioca su tematiche che ormai sono diventate care a molti generi televisivi e cinematografici. Nonostante la serie stessa, tramite le parole dei suoi personaggi, si associ spiritosamente a un episodio di Scooby-Doo, in realtà riesce più immediato un paragone con prodotti come Nerve, Unfriended e Black Mirror, che indagano il travagliato rapporto tra esseri umani e tecnologia in maniera distopica e disarmante.
Le promesse di una piccola cittadina del Regno Unito non lasciano molto spazio ad aspirazioni e speranze di un giovane gruppo di amici. In particolare Roch (Isis Hainsworth), dalla travagliata storia familiare, cede alla tentazione di scaricare Red Rose, apparentemente un’innocua app che sembra offrirle sostegno, potere e soldi. Tra una festa e un litigio con l’amica, l’app si muove insidiosa all’interno del telefono di Roch, scavando tra segreti, messaggi e social, nutrendosi di tutte le informazioni che la riguardano. Ben presto le ricompense si trasformano in minacce e ricatti insopportabili.
Nei primi episodi assistiamo quindi al tragico declino della ragazza, che perseguitata dai fantasmi riportati in vita dalla malefica rosa rossa cede sotto il peso dell’inarrestabile orrore digitale. I suoi amici, soprattutto Wren (Amelia Clarkson), non si danno pace e decidono di indagare l’assurda possibilità di una vera app assassina, come farfugliava Roch. Nel corso delle loro indagini fai-da-te vengono ovviamente coinvolti anche loro nella rete della sadica app.
Red Rose, finalmente un prodotto teen che funziona
La visione degli otto episodi che compongono la prima stagione di Red Rose procede scorrevole, con qualche momento di tensione relegato soprattutto ai primi episodi. Sicuramente non la si può definire una serie terrificante, ma le paure e il senso di incertezza dei protagonisti vengono indagati abbastanza a fondo da renderla comunque un prodotto relativamente inquietante. Ciò che sorprende è sicuramente la capacità nel dipingere giovani protagonisti che possano effettivamente essere rappresentativi per le nuove generazioni all’interno di una storia che non sia esclusivamente teen.
Vengono accantonati quindi inutili stereotipi e stupide espressioni gergali, in favore di tratti decisamente più positivi che caratterizzano i nuovi giovani. Notevole, poi, lo studio dei personaggi che possiedono una loro identità e un vissuto personale, spesso indagato tramite storie secondarie, che permette la familiarizzazione con il pubblico. A parte qualche momento che risulta comunque irrealistico (un selfie con un paio di scarpe?) è piacevole trovare sullo schermo una rappresentazione della fauna adolescenziale che si avvicina un po’ più del solito alla realtà.
Nonostante la giovane età, i protagonisti dimostrano di avere una spiccata intelligenza emotiva e riescono a vedere più in là degli adulti. I personaggi appartenenti alla comunità LGBT vengono trattati a tutto tondo e non solo in relazione alla loro sessualità, i momenti comici e le battute sono davvero apprezzabili e finalmente troviamo un personaggio sovrappeso che non viene relegato al solito ruolo di spalla comica ma è anche coinvolto in una relazione romantica. Alleluja!
Red Rose non è comunque esente da qualche inciampo. Non sono rari i momenti in cui per mandare avanti la trama vengono escogitati trucchetti narrativi non proprio sensazionali. Spesso e volentieri i protagonisti sembrano non brillare per astuzia. Inoltre, dispiace rendersi conto che in alcuni momenti la narrazione possa progredire non tanto grazie alla furbizia di un nemico scaltro e ingegnoso, oltre che malintenzionato, ma piuttosto a causa della stupidità e ingenuità dei protagonisti.
Red Rose, la retorica di un’app assassina
Red Rose si rivela una serie ben confezionata, non solo esteriormente. Netflix e BBC decidono di portare sullo schermo lo strano rapporto dei giovani con la tecnologia, in particolare con gli smartphones, ma distaccandosi dalla solita retorica boomer che colpevolizza gli adolescenti e addita la loro mancanza di senno. Insomma, il discorso che la serie porta avanti lungo i suoi episodi riguardo i pericoli che si annidano dietro i nostri dispositivi digitali non rappresenta nulla di nuovo. Invece si rivela degna di nota una particolare sensibilità alle tematiche sociali che si celano dall’altra parte dello schermo.
Che bisogna diffidare della rete, ormai, crediamo sia chiaro a tutti. Ma il mondo digitale non è governato da forze oscure, presenze maligne o inquietanti spettri. Dietro allo schermo ci sono persone, individui con passioni, manie e impulsi incontrollabili che vengono sublimate dalla possibilità dell’anonimato dietro al quale si nascondono.
Guardando Red Rose, infatti, si percepisce il focus sulla pericolosità delle nostre azioni online, ma si comprende come in verità sia la vita offline, con i suoi problemi, la radice di tutti i mali. Nella realtà falliamo nel sostegno, sia che si parli di una rete sociale fatta di aiuto e comprensione, sia che si parli di un welfare più complesso in grado di fornire assistenza. “Il mondo reale fa più paura di The Ring” e questo Red Rose ci tiene a specificarlo.
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