Snowpiercer, prima film e poi serie tv dell’acclamato Bong Joon-ho. L’idea, che non è originale, è stata tratta dalla graphic novel Transperceneige, di Jacques Lob, Jean-Marc Rochette e Benjamin Legrand. Arrivati alla terza stagione della serie Netflix ci chiediamo: che cosa racconta davvero la storia del treno rompi-ghiaccio? Come è stata piegata la medesima narrazione a diversi scopi narrativi? Abbiamo cercato di spiegarvelo.
Snowpiercer: classico distopico
I ghiacci ricoprono il pianeta Terra. Un futuro distopico si spalanca davanti agli occhi del genere umano, che ha fallito. Il mondo è stato distrutto e poi maldestramente rattoppato dalle mani degli uomini. A seguito delle catastrofi derivate dal cambiamento climatico la comunità scientifica tenta un ultimo, disperato, tentativo: raffreddare il pianeta con delle potenti armi climatiche. Qualcosa però va storto e ha inizio una nuova era glaciale che investirà per un tempo indefinito l’intera Terra.
Una sola speranza all’orizzonte: lo Snowpiercer, il treno perpetuo dalle mille più una carrozze costruito da un misterioso magnate. Al suo interno: ricchezza e lusso. Per chi può permetterselo. Per coloro che vengono dimenticati e abbandonati a loro stessi su una distesa di neve e ghiaccio l’unica salvezza è l’assalto del treno e l’occupazione clandestina dei vagoni del fondo. È così che l’intero mondo si trova allora condensato in quelle centinaia di carrozze, scala distesa della più classica gerarchia sociale.
Le Transperceneige: la graphic novel francese di successo
La distopia climatica di questo fumetto, drammaticamente vicina a noi, è la base di partenza per raccontare una storia che forse con il clima e l’ambiente ha poco da spartire. In Le Transperceneige la fantascienza funge da mezzo evocativo per parlare ancora una volta della nostra società e dei giochi di potere che la permeano.
Consistente è la critica sociale che accompagna tutta la saga, suddivisa nei tre capitoli (La morte bianca, Il geoesploratore, La terra promessa) del fumetto del 1983. La visione pessimista degli autori lascia poche, se non zero, speranze al lettore che ritrova gli stessi meccanismi malati del potere anche nel treno-arca che si aggira senza sosta per un pianeta disastrato. A riprova che i momenti di difficoltà non ci rendono migliori, anche l’effimera speranza di un riscatto sociale si rivela del tutto illusoria.
Il sotto testo, il non-detto, all’interno del fumetto è che l’umanità è già spacciata, già morta. L’eterno girovagare tra lande desolate e ghiacciai inabitati non è che un inutile artificio che prolunga la sofferenza di una specie (la nostra) che è giunta tempo fa al suo capolinea.
Snowpiercer: l’esordio americano di Bong Joon-ho
Nelle mani del maestro sudcoreano la graphic novel francese si trasforma in un ottimo pretesto per parlare di lotta di classe. Bong Joon-ho ne fa nel 2013 il suo esordio come regista in un produzione americana, riadattando il fumetto al grande schermo.
Al centro della narrazione: gli abitanti delle ultime carrozze, la sventurata classe proletaria che tenta la rivoluzione sociale. Si rafforza la coesione fra i protagonisti (interpretati da Chris Evans e Tilda Swinton, per citarne solo due) e l’individualismo del “tutti contro tutti” viene rivisitato in un “noi contro voi”. L’azione non manca all’interno delle strette carrozze dello Snowpiercer, ma nemmeno la morale.
Bong Joon-ho, quasi in risposta a Lob, Rochette e Legrand, trova la sua conclusione personale. In Snowpiercer un finale aperto lascia intuire una speranza, benché timida. Il treno, ultimo baluardo dell’umanità, viene fermato: ai pochi superstiti viene lasciata l’incombenza di ricominciare da capo, sperando in un futuro migliore.
Da grande a piccolo schermo: la serie di Snowpiercer
Bong Joon-ho (produttore esecutivo) reinventa se stesso. Forse non del tutto soddisfatto dal film del 2013, nel 2020 decide di riprendere in mano la storia del treno dalle mille più una carrozze, affidandosi a Netflix e dando alla storia un carattere dalle note decisamente crime.
Trama e cronologia si distaccano dal film. L’inizio della serie si posiziona sette anni dopo la glaciazione. In questo arco di tempo coloro che abitano il Fondo hanno creato una comunità, unita nei soprusi e nelle ingiustizie operate da Mr Wilford, il capo del treno. A seguito di un omicidio a bordo del treno Andre Layton (Daveed Diggs), ex detective, viene ripescato dalle ultime carrozze per risolvere misteriosi avvenimenti.
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Questa era esattamente l’occasione che gli abitanti del Fondo attendevano da tempo. Layton non dovrà pensare solo a risolvere i crimini di bordo, ma dovrà anche escogitare la rivoluzione. Il tema sociale sembra fare qui solamente da sottofondo. Disuguaglianze, ingiustizia e lotta di classe accompagnano le sotto-trame poliziesche, le indagini e i sotterfugi che permeano i vagoni del treno perpetuo.
Snowpiercer 3: una svolta inaspettata
Sebbene le altre stagioni non ci avessero convinti del tutto, questa terza sembra risollevarsi. Avendo ormai compreso il mondo su rotaia con le sue regole, è possibile lasciarsi andare ad una narrazione più convincente. Sono diversi i colpi di scena che si susseguono in questi nuovi episodi rilasciati settimanalmente su Netflix a partire dal 25 gennaio.
Già nella seconda stagione avevamo scoperto la presenza del Big Alice, un secondo treno, e il volto di Mr Wilford, interpretato da Sean Bean. In questo terzo capitolo della storia elementi nuovi e vecchie conoscenze fanno capolino nella vita dei protagonisti, movimentando questa serie post-apocalittica che mischia il crime all’azione. Il risultato è una stagione meno soporifera che rivela finalmente l’intento action della narrazione.
In copertina: Artwork by Alessandro Cavaggioni
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