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Solo copertina

TFF 2023, Solo tra anomalie relazionali

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5 minuti di lettura

Dietro lo scintillio di cromie sfavillanti e dietro il palpitare tenero dell’innamoramento, Solo è lo svelamento cadenzato di un legame tossico. La regista canadese Sophie Dupuis decentra l’assolo del suo giovane protagonista, marginalizzandolo nei ripostigli bui di una relazione narcisistica e manipolatoria. Che dissocia l’espressività, invalida l’emotività e isola l’individualità.

Quello di Simon è un coming of age falcidiato dalle modulari fasi della violenza affettiva, esplorato a intersezione tra le abusive mura domestiche e la performance emancipatoria della sua drag queen, Glory Gore. Fuori concorso al Festival di Torino, Solo riscatta una queerness vibrante di vitalità, celebrata come autoaffermazione di chi si sente pronto ad accettare, guarire e amare se stesso, ripudiando l’innaturalità disfunzionale di qualsiasi vincolo sentimentale.

Solo, fotografia di tossicità

Solo di Sophie Dupius

Quello tra Simon (Théodore Pellerin) e Oliver (Félix Maritaud) è un rapporto che germoglia dolce, diffusamente irradiato dal candore sincero della scambievolezza di sguardi, gesti e reciproca passionalità. Solo si serve di una fotografia dell’intimità e ce ne sillaba le svolte, muovendosi tra i saliscendi sentimentali di un rapporto in evoluzione. Irrompe nel clima festoso verniciato di rosa che orpella gli spettacoli di Glory, sguscia nel graduale smorzamento della sua gioiosità e poi ne consuma fatalmente i bagliori, discostando i riflettori dalla libertà individuale.

La violenza incarnata da Oliver è spesso subdola, malcelata nei paradigmi distorti che inducono il compagno a dubitare continuamente della propria stabilità. Gaslighting, svilimento, emarginazione, controllo e possessività crollano sulle spalle di Simon a rinforzamento e reiterazione di uno schema emotivo già conosciuto. Prima di essere chiunque altro, il ragazzo è figlio di una madre assente, abbandonato e relegato alla pressione performativa di una genitorialità egoriferita. Celebre cantante d’opera, la donna (Anne-Marie Cadieux) penetra nel suo presente chiedendogli di incontrarsi dopo quindici anni di latitanza, lo incastra a fatica tra gli impegni lavorativi e poi lo liquida con cinque minuti di dialogo e un regalo di generico valore. Eppure lui la perdona, giustificandone l’incuranza perché abituato a elemosinarle amore.

Di diverso avviso la sorella (Alice Moreault), unica breccia sana in mezzo al caos avvilente delle anomalie relazionali con cui il giovane s’interfaccia. È nella reticenza di lei che l’ego materno cerca disperata approvazione. Ed è da lei, per prima, che Oliver allontana il fidanzato. Solo bipartisce un gioco di specchi tra le tossicità dei rapporti di cui è vittima il protagonista, raddoppiandone la portata per favorire l’emersione di una ribellione identitaria. Toccherà cadere a picco, mettersi in dubbio e sabotarsi per reimparare a volersi bene. Toccherà attingere alla propria anima, armonizzare con il coraggio di esprimersi. Diventare, privatamente, ciò che pubblicamente già si è.
La tua drag, la sua forza e il suo potere, sono te”.

Un film di ammonimento

Solo di Sophie Dupuis

Sophie Dupuis realizza un film di ammonimento, spellando con sartoriale precisione i rischi derivati dal cercare negli altri la validazione alla propria autenticità. Punge di lesioni la consapevolezza di Simon, giustapponendo la perdita di sicurezza al virare drammatico dell’intensità delle esibizioni. Disloca il centro del palco della sua esistenza, glielo fa condividere forzatamente, corporizza le sue nemesi nella mancanza d’ascolto empatico e lo assoggetta all’ombra insicura di chi non accetta di far parte di un mondo di tanti. Infine lo emancipa, instradando sulla padronanza artistica la chiave della riconciliazione, sbloccata e sbocciata nell’eccezionalità di una ritrovata fiducia di sé.

Scorporati i semplicismi e la compassata originalità narrativa, Sophie Dupuis ha il merito non trascurabile di saper dialogare d’inclusività, pattuendo una partecipazione collettiva che aspira ad essere condivisione esistenziale. Solo allunga la coda della rappresentazione senza etichettarla, accoglie il riconoscimento identitario senza orientarlo e universalizza le complessità della violenza, contribuendo a sensibilizzare chiunque abbia voglia di ascoltare. Niente male, per i tempi che corrono.


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Laureata in Cinema e Comunicazione. Perennemente sedotta dalla necessità di espressione, comprensione e divulgazione di ogni forma comunicativa. Della realtà mi piace conoscere la mente, il modo in cui osserva e racconta le sue relazioni umane. Del cinema mi piace l’ascolto della sua sincerità, riflesso enfatico di tutte le menti che lo creano. Di entrambi coltivo l’empatia, la lente con cui vivere e crescere nelle sensibilità ed esperienze degli altri

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