Non fatevi restringere.
Dai canoni, dalle persone, dal vostro stesso pregiudizio. Survival of the Thickest, la Serie TV sbarcata su Netflix il 13 luglio, è un inno gioioso alla sopravvivenza. Dentro a quel sistema che non sa resistere alla tentazione di comprimere le diversità, Michelle Buteau ci ricorda di continuare a lottare sempre, e di sopravvivere.
Dopo il recente Beef – Lo Scontro, la A24 torna sulla piattaforma con un prodotto di diverso orientamento: la comica, conduttrice e attrice Michelle Buteau riparte dalla sua omonima raccolta di saggi per realizzare una comedy che sappia raccontare cosa significa essere donna, nera e plus size in un mondo intollerante alla non conformità, affidandosi all’ironia per veicolare un messaggio sfaccettato d’inclusività e imperfezione.
Se la fashion stylist protagonista di Survival of the Thickest sogna di poter vestire le categorie marginalizzate dall’industria della moda, la Buteau prova in tutti i modi ad allentare le briglie della rappresentazione, dispensando un ventaglio più ampio di role models in cui potersi finalmente riconoscere.
Survival of the Thickest, sopravvivere per reinventarsi
Mavis Beaumont ha 38 anni. Lavora insieme al suo compagno Jacque (Taylor Selé) sui set fotografici di lui, di cui spesso cura lo styling con stravaganza e quel tocco d’eccentricità che sa come trasformare ogni criticità in opportunità. Davanti a sé l’idea di un matrimonio, dei figli e una proposta lavorativa che potrebbe cambiarle la carriera. Gliel’ha procurata Jacque, che sa bene quanto diventare capo stilista sia importante per la donna.
Sono passati pochi minuti, ma è già chiaro che Survival of the Thickest prenderà tutt’altra direzione. Prevedibile ma torrenziale sarà la catena di eventi immediatamente successiva: il tradimento del fidanzato, la conseguente perdita del lavoro, della casa e l’impellenza di ricominciare tutto da capo. A 38 anni, a Brooklyn, con una coinquilina indiscreta e stravagante (Liza Treyger) e da donna nera e curvy nel mezzo di un’industria allergica alla diversità. La domanda principale Mavis se la porrà a ritroso, soltanto in chiusura di stagione: di fronte all’inevitabilità del cambiamento, preferisci riparare ciò che è vecchio o investire su un miglioramento?
Negli otto episodi che ospitano Survival of the Thickest, la risposta all’interrogativo sarà un altalenante andirivieni di tentativi e stravaganze, amalgamate in un mix indefinito di realismo ed eccezionalità. Assisteremo alla completa reinvenzione della donna, tra nuovi lavori, perseveranza, crescita, interessi amorosi e tanta giocosa riflessione su cosa voglia dire ritrovarsi al punto di partenza quando si pensava di essere quasi arrivati alla meta.
Con tono scanzonato, chiassoso e godibile, la Serie TV tenta di sfiorare la più vasta gamma di tematiche, spaziando, dentro una cornice d’interculturalità, dal razzismo, alla body dysmorphia fino alla transfobia e al processo di scoperta identitaria all’interno dello spettro della sessualità. Una manciata di episodi non sono abbastanza per consentire di approfondire ogni spunto incorporato nel testo, ma il tentativo di Survival of the Thickest è quello di abbracciare con disincanto e naturalezza un diverso tipo di modellizzazione, lasciando che i semi delle proprie suggestioni possano fiorire in un contesto di leggerezza e sferzante comicità.
Survival of the Thickest, trasformare i difetti in umanità
L’obiettivo morale di Survival of the Thickest è più volte esplicitato dalla sua protagonista: aiutare le persone ad accettarsi e amarsi per quello che sono, impegnandosi nel proporre dei nuovi riferimenti di cui potersi sentire parte. La Buteau cerca di raggiungere la sua aspirazione mettendo in moto un percorso, che è insieme difetto e pregio della struttura della Serie.
Mavis è un personaggio scostante, troppo spesso spezzata tra una personalità forte e sicura di sé e una disperata ricerca del consenso, che non manca di passare attraverso la minaccia rappresentata da chi, in quei canoni troppo rigidi che la donna cerca disperatamente di combattere, ci si accomoda con agio. Quindi, ai monologhi sul rispetto del pluralismo delle corporeità, si intervallano le insicurezze per tutte le fisicità standardizzate alla contemporaneità. Ogni ragazza magra è un potenziale e irrazionale pericolo, indipendentemente da quanti minuti prima la donna abbia dichiarato di amarsi così com’è.
Ciò che spesso affiora come segno di debolezza, ossia una generica incoerenza di caratterizzazione, in altri momenti genera, in quegli stessi vuoti di scrittura, uno spazio in cui sentirsi davvero rappresentati. La percezione di autenticità di Survival of the Thickest è filtrata dalla non linearità di un processo di empowerment che tanto viaggia in avanti quanto si ferma bruscamente, facendo grossi passi indietro e veicolando quell’oscillamento che ci rende tutti imperfettamente simili e profondamente umani.
Le tante storie di Survival of the Thickest
Accanto a Mavis e alle sue (dis)avventure personali, il tempo e il respiro dedicato ai comprimari è altrettanto ben gestito, cosa di non sempre facile gestione in prodotti di così breve durata. Entriamo in una black community molto coesa, sintetizzata in primo luogo dai due migliori amici della protagonista. Marley (Tasha Smith) è una donna realizzata, cinica e sapientemente scaltra nel vendersi al mondo. Khalil (Tone Bell) è il suo opposto, spirito libero ed estimatore della creatività come forma di emancipazione ed espressività di sé.
Entrambi vengono chiamati a mettere in discussione qualcosa di loro stessi, affrontando un tortuoso percorso di conoscenza di sé, che nel caso della donna passerà attraverso la scoperta della propria bisessualità e in quello dell’uomo tramite la cura della propria affettività, alle soglie di una relazione sentimentale che lo costringerà a porsi importanti interrogativi sulla propria responsabilizzazione emotiva, genitoriale e introspettiva. Khalil avrà la fortuna di vedersi designato un arco trasformativo più coerente e compatto, mentre Marley sarà rilegata a un fuoricampo narrativo un po’ troppo deragliante.
Nel complesso, però, ciò che rende Survival of the Thickest un buon prodotto è la sua discreta funzionalità sia verticale che orizzontale. La Serie TV pedala sicura, dall’inizio alla fine, muovendosi con convinzione tra le storylines di tutti i suoi personaggi. Il finale lascia aperte molte porte, alludendo a un auspicio di plausibile ampliamento di tutte le sottotrame sacrificate a vantaggio di una macchina produttiva costretta a correre molto veloce.
Tra i meno esplorati, e questo è un brutto autogol, c’è l’intero arco di redenzione di Jacque. Il suo ritorno è un motivo più volte reiterato nel corso degli episodi, sempre ambasciatore di un presunto percorso terapeutico dell’uomo e funzionale all’accelerazione finale della storia con la protagonista. Peccato che a questo cammino non ci sia concesso prendere parte, relegando ad inferenze e improvvise sgommate una linea narrativa che in chiusura sembra acquisire un ritmo insufficientemente calibrato, smanioso di trovare una rapida e inconcludente pacificazione.
Un buon inizio per Survival of the Thickest
Anche grazie alla parentesi sentimentale con Luca (Marouane Zotti), nel corso della stagione quella di Mavis si edificherà sempre più chiaramente come una battaglia per riprendere il controllo sulla propria individualità, troppo a lungo lasciata nelle mani di qualcun altro.
Assieme all’intero ensemble di personaggi, da ex-modelle a drag queen, Michelle Buteau ci invita a non avere paura del cambiamento, spingendosi oltre il limite delle zone di comfort e di irreali ideali di perfezione. Il trionfo della singolarità passa attraverso l’esaltazione dell’ordinario, con tutte le sue stranezze e grossolanità, e su questo l’attrice sa come andare a segno. Survival of the Thickest cerca di rimescolare le carte della comedy, ripartendo da una maggiore inclusività per mettere in piedi un racconto smaliziato, sorprendente ma non rivoluzionario.
Le dinamiche di questa simil-sitcom sono le stesse di sempre, in alcuni momenti funzionano più che in altri e sicuramente scontano la celerità della forma-Netflix. Ma il dosato equilibrio tra dramma e satira, unito a una convincentissima e trainante Michelle Buteau, rendono Survival of the Thickest un esperimento riuscito, piacevole e di poche pretese. Nella speranza che una seconda stagione possa osare un po’ di più, permettendo di alzare l’asticella di un talento già efficacemente messo in mostra, una simile celebrazione della non conformità non può che fare bene allo stato di salute della serialità. E di tutti noi.
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