Suzume, film d’animazione di Makoto Shinkai prodotto da CoMix Wave Films, dopo essere stato rilasciato in Giappone già nel 2022 e presentato al Festival di Berlino 2023, arriva in Italia grazie alla distribuzione di Sony Pictures Entertainment Italia. NPC Magazine ha avuto la fortuna di vederlo alla prima italiana organizzata da Future Film Festival.
Suzume gioca con i generi senza mai effettivamente adeguarsi a etichetta alcuna: a tratti ha dell’avventura, a tratti della commedia, fino a richiamare per tono ed estetica i monster-movie che un tempo erano parte integrante non solo della produzione cinematografica nazionale, ma anche dell’immaginario collettivo che da sempre ha consentito al Giappone di confrontarsi con i propri traumi, le proprie paure e i propri non detti.
Nel lontano 1954 il Giappone si risvegliava terrorizzato, con gli occhi sbarrati fissando il cielo cupo, perfetta cornice per lo spettacolo ai suoi piedi: macerie, palazzi in fiamme, cittadini ustionati o inceneriti, un massiccio dispiegamento di forze militari ed una mostruosa figura che si stagliava fin sopra i pochi grattacieli rimasti in piedi. Era il mondo messo in scena da Ishiro Honda, nel suo celeberrimo Kaiju-eiga Godzilla, che con la sua massiccia presenza ed il suo “soffio atomico” doveva fungere da monito al Giappone perché mai venissero dimenticate le tragedie nucleari a cui il paese fu sottoposto durante la Seconda Guerra Mondiale.
Suzume e Godzilla: cambiano i mostri, non le vittime
Makoto Shinkai, autore di alcuni degli anime di maggior successo degli ultimi dieci anni (Your Name, Weathering with You), apre Suzume con le immagini di una bambina dispersa in un villaggio andato ormai distrutto: la bambina vaga disperata alla ricerca della madre, mentre la natura riprende possesso di quelle che un tempo erano strade e case. Un paesaggio apocalittico tanto quanto quello di Honda risalente a ormai quasi settant’anni fa.
Eppure subito dopo questa breve introduzione (Un sogno? Un ricordo?) la nostra protagonista, Suzume, si risveglia nel suo letto, pronta ad affrontare la normale giornata di una scolara diciassettenne: lo schermo viene inondato da colori e dal tratto iperrealistico che tanto caratterizza il lavoro di Shinkai, sottolineando i minimi particolari della scenografia con la stessa importanza dedicata alle espressioni dei personaggi; Suzume pedala in sella alla bici, immersa nella natura, nei raggi di una splendida giornata di sole riflessa sul mare che sovrasta l’intero panorama, quasi a volersi fondere col cielo.
La sequenza è in netto contrasto quella in cui si vede la Tokyo rasa al suolo, protagonista silente, vittima di Godzilla. Tuttavia, non passa molto prima che rovine ed elementi sovrannaturali tornino a fare capolino durante il film. Infatti, Suzume incrocia per strada un giovane che le chiede indicazioni proprio per le rovine più vicine: lei se ne innamora all’improvviso– con la dolcezza e la sincerità che solo Makoto Shinkai può restituire efficaciemente nel campo dell’animazione-, e decide di seguirlo di nascosto fino al luogo che lei stessa gli ha indicato.
Qui è dove la giovane sarà per la prima volta costretta a confrontarsi con Il Verme, una divinità sopita che si dimena inquieta sotto il Giappone intero, capace di fuoriuscire da porte magiche sopravvissute a crolli di macerie, ora portali verso il mondo dei morti. Una volta rinchiuso il dio furente, Suzume e Sōta (il misterioso ragazzo incontrato poco prima e intervenuto poi ad aiutarla contro l’immensa creatura), si metteranno alla ricerca lungo tutta l’isola di un piccolo gatto magico fuggito dalle rovine: l’animale sembra essere l’unico coi poteri necessari per sigillare una volta e per tutte le porte del Verme, impedendogli di provocare i terremoti che causa schiantandosi al suolo.
Viene quindi da notare come Godzilla e Suzume comincino a dialogare molto più seriamente in quanto a impostazione narrativa: nel primo, un antichissimo Kaiju emerso dal mare punisce gli umani per le loro manie di onnipotenza nucleare, demolisce le loro città proprio con le radiazioni del suo soffio infuocato; nel secondo una creatura sovrannaturale si rende responsabile della morte di milioni senza un vero perché (il film stesso specifica che non vi è ragionamento dietro l’aggressività del Verme). Ad accomunare i due mostri, le vittime: sempre e comunque innocenti civili giapponesi, spazzati via da qualcosa di infinitamente più grande di loro e impossibile da controllare (in un caso le esplosioni nucleari, nell’altro le catastrofi naturali).
Traumi personali e traumi nazionali: in ricordo dei morti
Le catastrofi naturali si intersecano con l’iter produttivo di Suzume ben oltre la loro rilevanza narrativa: il film è stato infatti uno dei progetti culturali finanziati direttamente dal governo Giapponese per ricordare il tremendo Terremoto-Maremoto di Tohoku, avvenuto nel 2011, mai citato esplicitamente in sceneggiatura ma ombra lunga e cupa che aleggia sull’intera trama a partire dalla sequenza iniziale.
E proprio quei primi minuti diverranno sempre più centrali per capire lo spessore con cui Makoto Shinkai ha voluto delineare i suoi personaggi: la giovane Suzume si distacca appieno dagli eroi dei passati lavori del regista (con l’eccezione, forse, di 5 centimetri al secondo del 2007) per profondità e complessità. Suzume, infatti, deve affrontare la realtà fantastica nella quale si ritrova catapultata e allo stesso tempo l’interiorità tutt’altro che magica nella quale era intrappolata prima dell’inizio della sua avventura.
Già nel primo quarto d’ora, si scopre che la ragazza ha perso la madre durante un violento tsunami e che ha passato gli ultimi dieci anni a sognare di incontrarla in quello stesso luogo che ora può intravedere attraverso i portali delle rovine sparse per la nazione. Il film si muove quindi su due piani narrativi, uno intimista e l’altro collettivo, sviluppando parallelamente la rimozione di ricordi traumatici di cui è vittima Suzume e l’impossibilità del resto del Giappone di dimenticare la tragedia che lo ha colpito.
L’intera pulsione creativa dietro Suzume sta proprio nel cercare di razionalizzare quel che è stato è che non può essere cambiato: pensare che una qualche entità superiore sia responsabile della perdita di 20.000 vite a Tohoku può confortare chi a quella disgrazia è sopravvissuto o scampato, può servire a trovare un colpevole da maledire ed insultare, quando la verità è che di colpevoli non ce ne sono. Non c’è nessuna catastrofe (sovra)naturale, nessun Verme che per gioco o per inedia si sia lasciato cadere a terra provocando un terremoto marino di magnitudo 9. Ci sono solo vittime e l’unico modo per onorarle è ricordarle, senza reprimere i ricordi e accettando il dolore come parte naturale dell’avanzare del tempo.
Suzume: un nuovo Makoto Shinkai
Con Suzume vediamo finalmente sbocciare tutto il potenziale che in questi anni è stato attribuito al suo regista: in tanti hanno sostenuto che Makoto Shinkai fosse l’erede spirituale di Hayao Myiazaki, ma forse soltanto ora sarebbe legittimo azzardare questa ipotesi.
Nella sua ultima fatica, Shinkai riesce a bilanciare tutto quello che si potrebbe volere da un’esperienza cinematografica senza scadere nelle banalità riscontrabili in alcuni suoi precedenti progetti: genuino divertimento, azione mozzafiato, un originale tratto stilistico e della seria introspezione, sia riguardo ai personaggi sia riguardo al mondo reale, quello che ci circonda ogni giorno.
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