Già disponibile da ieri nelle sale italiane, Il Collezionista di Carte è l’ultima pellicola di Paul Schrader, in concorso a testa alta sulle ali del Leone D’Oro di Venezia 78. Un luogo e un’atmosfera ben conosciuti dal regista statunitense che, nel 2017, presentava al Festival il suo First Reformed – La Creazione a Rischio, ora disponibile su Netflix. In quel piccolo gioiello di intensa riflessione, l’enigmatico Schrader scelse come protagonista Ethan Hawke nei panni di un reverendo dal passato turbolento. E il personaggio riflette, seppur sotto diverse sfumature, l’ermetico collezionista di carte dell’ultimo lungometraggio. Un ex soldato, macchiatosi di atroci crimini, che si reinventa come giocatore di poker dopo dieci anni di galera.
La sua è una personalità complessa, controversa, molto delicata da trattare in una cornice di dolore e violenza, ma sicuramente perfetta per Schrader. Quest’ultimo, infatti, adotta come canone costante dei suoi film la solitudine votata alla redenzione, per soffocare le atroci grida di un passato che non si può dimenticare. Così, con la sua scommessa in concorso a Venezia, Schrader dimostra che il passato ritorna, in un’eterna giostra di tormenti mai sopiti che spengono l’anima e sfregiano il corpo. Per farlo, si affida a un colosso alla produzione, Martin Scorsese. L’intramontabile firma dei gangster movie, su cui tutti i registi si sono fatti le ossa, affiora sul grande schermo di Venezia a inizio proiezione e in sala esplode l’applauso.
Il film è in sala dal 3 settembre 2021.
La misteriosa storia di William Tillich
Ma se al principio del film riposa la collaborazione storica e rodata tra Schrader e Scorsese, la scena la domina l’affascinante Oscar Isaac, nei panni del collezionista di carte William Tillich. Tutti lo chiamano Tell, come lui desidera, perché ignorano un’identità che il misterioso avventore di casinò non lascia trapelare. Ogni sera, Tell governa il tavolo da poker con la maestria del sapiente giocatore d’azzardo, ma nessuno sa che ha imparato a contare le carte in prigione. Lì, in quella dimensione isolata, sterile e vuota, Tillich ha trovato il proprio rifugio, assaporando il silenzio e l’omologazione cromatica degli spazi. Un universo così lontano dai rumorosi ricordi di Abu Ghraib, in Iraq, dove nel 2003 il nostro collezionista ha incontrato l’inferno.
Era un soldato della Central Intelligence Agency, addestrato per preparare i soldati agli interrogatori sotto tortura. Una volta arrivato in Iraq, però, si è trovato in una dimensione di ferocia gratuita e mostruose atrocità perpetrate contro i detenuti della prigione di Abu Grahib. Uno sfogo di tutti gli insegnamenti acquisiti, per cui lui ha dimostrato di essere particolarmente portato. Ma quando la verità è affiorata, sotto la firma di uno scandalo conosciuto sui libri di Storia, i soldati minori, come Tell, sono stati puniti con la detenzione, mentre i grossi burattinai del mestiere, come il maggiore John Gordo (Willem Defoe), sono passati indenni. Nel mondo di Schrader, però, la giustizia si fa paladina, e questa volta con un colpo di scena ancora più sensazionale.
Il Collezionista di Carte vs First Reformed: tra vendetta e redenzione
A tesserne le fila è Kirk (Tye Sheridan), un liceale orfano di padre e pieno di debiti, che propone a Tell un’offerta inusuale e pericolosa. Un assaggio di una vendetta covata da tempo dopo il suicidio del genitore, ex soldato al servizio di John Gordo e complice, con Tell, di impronunciabili sevizie di guerra. Tra i due personaggi si instaura un legame affettivo, parentale, coltivato in una sofferenza condivisa e imbrigliato nei reciproci demoni del passato. Tell cerca di redimere Kirk, aiutandolo ad allontanarsi dal suo piano folle con la promessa di un futuro. E il suo personaggio, coinvolto in un intimo dialogo con l’altro e divorato dai suoi incubi, non può che ricordare Hawke in First Reformed.
L’abito nero del reverendo Toller si traduce nella giacca in pelle e gli occhiali scuri di Tell. Entrambi vivono nell’anonimato, conducono una quotidianità abituale improntata alla sopravvivenza. La sera, affidano i loro ricordi a un diario, accompagnati dall’immancabile voice over caro al regista. Accanto a loro, una bottiglia di liquore, unica compagna di un flusso di ricordi che si imprime sull’inchiostro, ma non cancella le cicatrici. È il loro rituale di redenzione, per una purificazione spirituale che non arriva, ma si quieta nell’amore di una donna. La Mary di Toller è La Linda di Tell, affascinante musa tra le luci del casinò, che contrastano con le sfumature chiaroscurali degli ambienti.
Non manca il magnetismo alla Taxi Driver
Il Collezionista di Carte accoglie quindi l’eredità del precedente capolavoro di Schrader, ma la posta in gioco è più alta. Come dichiara lo stesso regista su Tell: “Mi sono chiesto cosa avesse potuto fare nella vita di così disdicevole da non riuscire a superare i suoi crimini passati“. In questo caso, dunque, lo sfondo thriller che accompagna gran parte delle produzioni di Schrader non si chiude in sé stesso, ma attraversa un’intera nazione e la cultura militare che la domina, con un effetto pervasivo ed eterno. L’impronta registica è più marcata, con un approccio sinestetico di Schrader, che gioca in particolare sul contrasto tra rumore e silenzio, affiliato al binomio cromatico caldo e freddo.
Ma il tocco incentivante è dato da un’atmosfera che profuma di Scorsese. Ecco dunque che il mondo dei casinò in solitarie città, relitti di notti imbevute d’azzardo, richiama le notti di Taxi Driver, prima sceneggiatura firmata da Schrader nel 1976. Robert De Niro, reduce dal trauma del Vietnam, è simbolo di una maschera di violenza incollata sulla carne, la stessa che accompagna il solitario Tell, un personaggio per cui lo spettatore non dovrebbe simpatizzare, ma che lo affascina in un ipnotico viaggio esistenziale macchiato di sangue.
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