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The Good Nurse, il true crime troppo sommesso

6 minuti di lettura

The Good Nurse è un film strano, quasi spaccato in due tronconi. Diretto da Tobias Lindholm e con una coppia nota di protagonisti, Eddie Redmayne e Jessica Chastain, parte in maniera sofisticata e interessante per poi finire in maniera troppo sbrigativa, nonostante le due ore di durata. The Good Nurse è solo l’ultimo tra i contenuti Netflix, disponibile dal 26 ottobre, a capitalizzare sull’incredibile passione degli utenti per i True Crime. Ancora una storia di serial killer, anche se senza l’efficacia e la tensione di un recente successo come DAHMER. Scopriamo perché nella recensione di The Good Nurse.

La trama di The Good Nurse

Il trailer di The Good Nurse

The Good Nurse è una storia vera? Sì, The Good Nurse è ispirata all’omonimo romanzo del 2013 pubblicato da Charles Graeber, a sua volta tratto dalla vera storia circa la cattura e l’arresto di Charles Cullen, interpretato da Eddie Redmayne. The Good Nurse segue quindi, dagli occhi di una collega, la storia di un infermiere statunitense accusato di aver ucciso quasi quattrocento persone nell’arco dei sedici anni di servizio in più di dieci ospedali statunitensi. Da operatore sanitario, Cullen si tramuta così dal 1987 al 2003 in uno dei serial killer più prolifici della storia degli Stati Uniti.

Un film molto elegante

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Tutto le vicende, come dicevamo, sono seguite dal punto di vista di Amy Loughren, interpretata da Jessica Chastain. Amy ha un problema cardiaco che presto si potrebbe tramutare in un infarto. Non ha però l’assicurazione sanitaria e quindi continua a lavorare aspettando il tempo necessario il maturarla.

The Good Nurse è molto elegante. Inizia introducendoti i personaggi in sottrazione, partendo da una lenta carrellata in avanti verso il volto di Caleb che guarda un paziente, che noi non vediamo, morire. Le atmosfere sono quelle giuste, oscure ma non tetre. The Good Nurse ti trasporta nelle notti di lavoro di Amy che stravolgono completamente la sua routine non permettendole di avere un rapporto normale con le proprie figlie. Caleb, dopo quella agghiacciante scena iniziale, ricompare nell’ospedale di Amy, come nuovo aiutante per il turno notturno. Ci viene quindi fatta vedere la nascita di una sana amicizia tra i due e tutta la costruzione della rappresentazione ospedaliera riesce ad azzeccare il tono.

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Iniziano a manifestarsi le prime morti improvvise e si attiveranno direzione dell’ospedale e polizia, in contrasto però negli intenti: la polizia vorrebbe andare a fondo, la direzione vorrebbe nascondere un eventuale errore di qualche infermiere per non destare clamore. Anche in questa fase, The Good Nurse riesce a costruire tensione per la ricerca e per la situazione parallela di Amy.

The Good Nurse è però un thriller poco convinto

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The Good Nurse si sgonfia con i primi punti di svolta. Quando i personaggi (gli spettatori ci erano già arrivati) capiscono chi ha innescato le morti improvvise, il film arranca e si appiattisce solo sull’incarcerazione, tirando in ballo alla fine una blanda denuncia verso gli ospedali, che avrebbero potuto fare qualcosa prima e invece hanno preferito sempre allontanare il soggetto senza prendere conseguenze, permettendogli di continuare “la sua opera” in altri ospedali.

Jessica Chastain recita con il pilota automatico. La sua interpretazione è certamente buona e calibrata, ma è un tono che le abbiamo già visto in altri ruoli, e in The Good Nurse, forse complice la sua struttura deficitaria, non rende al meglio la comunque ottima performance. Redmayne invece si mostra in una luce diversa.

Per quasi tutto il film riesce a non ammassare su di sé faccette e movenze, ormai tipiche e inflazionate, del suo tipo di recitazione. È quasi una rivelazione vedere che riesce a recitare e a trasmettere qualcosa senza per forza caricare la sua recitazione ed è indubbiamente una delle parti più interessanti del film. Poi però esplode in quella che era stata scritta come una scena madre ma che non restituisce emozioni.

The Good Nurse è quindi spaccato a metà. Intriga, emoziona, stupisce nella prima parte, con attenzione e regia, ma poi delude nel finale e nel ritmo in cui si svolgono le situazioni. La critica al sistema non arriva e il film finisce in un nulla di fatto, regalandoci l’ennesimo overacting di Redmayne. Un peccato per le premesse che introduceva. Un’occasione sprecata, non tanto quindi dal punto di vista registico o recitativo ma da quello di scrittura, che non riesce a costruire una storia sommessa che dovrebbe esplodere per denunciare, ma solo una storia si sommessa, ma che finisce per annoiare.


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Nato a Fermo, anno 1997. Scopro la passione per il cinema e per le serie tv durante l'università, studiando tutt'altro. Appassionato di film scomposti, imperfetti ed esageratamente lunghi, il mio regista preferito è Guillermo Del Toro. Le altre passioni sono la letteratura, il ciclismo e la politica.

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