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La figlia oscura: il debutto di Maggie Gyllenhaal grazie alla penna di Elena Ferrante

Un debutto fortemente sentito

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8 minuti di lettura

Tra i film in concorso a Venezia 78 fa capolino anche il debutto alla regia di Maggie Gyllenhaal, candidato ai premi Oscar 2022 per la miglior sceneggiatura non originale. La celebre attrice, figlia d’arte e Premio Oscar per Crazy Heart (2009), passa dall’altro lato della cinepresa con La figlia oscura, battesimo di fuoco al Festival. La pellicola, distribuita da Netflix e in uscita nel Regno Unito il 7 gennaio 2022, si basa sul romanzo La figlia oscura della nostrana Elena Ferrante. Un nome noto al mondo del cinema e della serialità, legato al piccolo gioiello televisivo di Saverio Costanzo, L’amica geniale.

E anche la Gyllenhaal è rimasta affascinata da un’audace storia al femminile, quella di Leda, interpretata nel suo film dalla mirifica Olivia Colman, detentrice del plauso della critica per La favorita (2018), ultimo capolavoro di Yorgos Lanthimos. Per la sua parte in La figlia oscura, Colman ha ottenuto una candidatura agli Oscar 2022 nella categoria Miglior attrice.

Leda è una madre imperfetta, in eterno conflitto con la maternità che l’ha resa genitore di due bambine, Bianca e Martha. All’inizio della nostra storia sono figure evanescenti, ma gradualmente lo spettatore impara a conoscerle attraverso la biografia, intrisa di luci e ombre, di una donna misteriosa e affascinante, in fuga dalla città verso la Grecia. La sua è una vacanza solitaria, lontana dal turbinio dei pensieri per assaporare il silenzio del mare. Proprio qui, però, un’altra madre attira la sua attenzione, risvegliando i ricordi di sentimenti dormienti. Lei è Nina, vestita del magnetismo di Dakota Johnson, e in breve tempo ridesterà la memoria di Leda, facendo inconsapevolmente leva sulla forza autodistruttiva del senso di colpa.

Una dama solitaria in fuga dal passato

la figlia oscura Olivia Colman

La figlia oscura comincia in Grecia. Una location improvvisata per la Gyllenhaal, che originariamente pensava di ambientare la parabola riflessiva di Leda nel Maine, ma a causa del Covid ha dovuto cambiare i suoi piani. Tuttavia, la nuova scelta si adatta perfettamente all’animo solitario di una donna misteriosa. La sua vacanza non è all’insegna delle caratteristiche casette bianche e blu e delle spiagge paradisiache, ma di un ambiente anonimo, riservato, i cui abitanti rimangono nell’attesa di raccontarsi e rivelarsi. Tra di loro c’è Lyle (Ed Harris), custode della casa presa in affitto da Leda e tuttofare per la famiglia di Nina, cerchia allargata di ambigui ceffi locali. Dal momento in cui li incontra in spiaggia, Leda rimane invischiata nelle loro vicende personali, ed è allora che si affaccia sul suo passato.

Attraverso costanti flashback disseminati nella storia, Leda si svela gradualmente con il volto della sua giovane sé, interpretata da Jessie Buckley, anch’ella nominata all’Oscar nella categoria Miglior attrice non protagonista. Una studentessa di letteratura comparata, che si destreggia talentuosamente tra le lingue, con una predilizione per l’italiano. Sposatasi giovanissima con Will – il Jack Farthing che interpreta il Principe Carlo in Spencer (2021) – Leda si ritrova a crescere due bambine, fino a che lo stress la porta all’autoimplosione. Scatta qualcosa nella sua percezione della maternità, fino a un episodio che forse solo il tempo può cancellare. E la Gyllenhaal lo dipinge in maniera frammentata, tra ricordi fuorvianti e decisioni forti che, seppur controverse, riescono a ottenere la fiducia dello spettatore.

Cosa rende una donna una buona madre?

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La maternità è un tema molto complesso da affrontare e già portato a Venezia 78 con la pellicola di Pedro Almodóvar, Madres Paralelas. Il regista spagnolo costruisce un interessante parallelismo tra due storie diverse, ma inevitabilmente legate, mentre la Gyllenhaal, in La figlia oscura, si concentra sulla frastagliata sensibilità di una sola donna che, sulla scia di un dibattito pervasivo nella contemporaneità, potremmo definire madre pentita. Questo termine è recentemente affiorato nella crociata condotta dall’attrice e scrittrice brasiliana Karla Tenório. La sua frase “Amo mia figlia, ma odio essere madre” ha suscitato controversie, eppure non può fare a meno di indurre una riflessione su cosa significhi essere una buona madre e su come la percezione storica e sociale della maternità possa scatenare distruttivi sensi di colpa.

la figlia oscura Gyllenhaal

La stessa Gyllenhaal, leggendo il romanzo della Ferrante, era inizialmente rimasta sconvolta da come la scrittrice affrontasse senza filtri un tema così delicato. Inizialmente pensò che fosse folle quello che stava leggendo, ma poi capì di doverlo condividere. Ecco, dunque, che sullo schermo appare il risultato di un pensiero costruito con paura e coraggio, ma inevitabile sfida a cui la donna si rapporta.

Cosa comporta essere madre? Qual è il limite che l’amore materno può accettare? Domande dirette e sempre attuali, che la Gyllenhaal affronta con un andamento lento e pacato, ma interiormente distruttivo.

La figlia oscura, impressioni finali sul debutto della Gyllenhaal

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La figlia oscura è un debutto fortemente sentito per la Gyllenhaal, donna e madre di due bambine. La sua è quindi una profonda identificazione con il personaggio di Leda, lungo una narrazione che si prende i suoi tempi e i suoi spazi. Un viaggio riflessivo, che richiede l’attenzione emotiva dello spettatore e la possibilità di mettere in discussione le certezze che la storia e la famiglia hanno sedimentato nel tempo. Sicuramente il protagonismo è affidato ai personaggi femminili, in una dimensione in cui gli uomini sono ostacoli o tracce collaterali di un percorso di affermazione, indipendenza e scoperta di sé.

Il tocco autoriale qui muove i suoi primi passi, affermandosi timidamente e lasciandosi conoscere dal suo spettatore. La Gynnehaal tasta il terreno registico sfidando, sin da subito, il suo pubblico. Non tanto sul piano estetico, pulito e statico, ma sull’ambizioso modo di conoscere e interpretare un tema universalmente noto e da tutti assimilabile in maniera empatica. Perché chi non è genitore è comunque stato figlio di uomini e donne che si sono confrontati, in miliardi di modi diversi, sull’essere genitori.


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Classe 1996, laureata in Comunicazione e con un Master in Arti del Racconto.
Tra la passione per le serie tv e l'idolatria per Tarantino, mi lascio ispirare dalle storie.
Sogno di poterle scrivere o editare, ma nel frattempo rimango con i piedi a terra, sui miei immancabili tacchi.

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