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Venezia 80 – The Palace di Roman Polański è un cinepanettone, nel bene e nel male

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6 minuti di lettura

Nelle settimane che hanno preceduto la Mostra si vociferava molto della presenza di Roman Polański nella rassegna. La nomea del regista, accompagnata da insinuazioni e verità sul suo privato, sobillava l’opinione pubblica riguardo la coerenza del suo accesso al Festival. Gran premio della giuria per L’ufficiale e la Spia (J’accuse) nella 76ma Mostra, Polański torna al Lido con The Palace, una commedia “esilarante” ambientata al Palace Hotel (lo Gstaad Palace, in Svizzera), un affresco variopinto in cui le figure dell’élite ricca e poliglotta si scontrano con il proletariato dell’hotel.

Il regista deve amare molto l’Italia se ha ricercato e riprodotto quel sapore grottesco tipico dei nostri cinepanettoni natalizi: “un mondo esotico” lo ha definito Polański, una commedia brusca che si serve di un sarcasmo indulgente per criticare severamente i suoi personaggi.

Prodotto da Luca Barbareschi, co-prodotto da Èliseo Entertainment Moving Emotions Productions con Rai Cinema Cab Productions, Lucky Bob e RP Productions, The Palace arriva nelle sale italiane dal 28 settembre.

The Palace, ovvero la notte prima del Millennium bug

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Al Palace Hotel, un castello progettato a inizio 1900 da un architetto “mistico” e situato sulle montagne della Svizzera, il personale si prepara per accogliere gli ospiti la notte prima del Millennium bug, un evento irripetibile all’alba del nuovo millennio. Personaggi ricchi e viziati dell’élite si scontrano con camerieri, facchini e receptionist del personale e l’unica figura a congiungere i due mondi è quella di Hansueli (Oliver Masucci), manager devoto di quest’edificio sfarzoso e fiabesco in cui cani e pinguini mostrano bisogni umani e gli umani istinti animaleschi. È la fine di un millennio controverso.

The Palace, perché “sì” perché “no”

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Prodotto grottesco del genio di Roman Polański, The Palace è la risultante degli sforzi che il cineasta ha condiviso con la penna estrosa di Jerzy Skolimovski e con la creatività immaginativa di Ewa Piąskowska.

Perché “Sì”, secondo Andrea Marcianò

Orrendamente di dubbio gusto, spasmodicamente divertente. In una parola: satira. E come The Palace di Polanski non se ne vedono molte. Basta notare le poche, anche se finora tutte valide, presentate alla Mostra del Cinema di Venezia. In un panorama cinematografico in cui ormai il genere comico o vuole essere cinepanettone (e The Palace, ricordiamo, vanta la co-produzione italiana di Luca Barbareschi) o commedia dell’impossibile, con assurde messinscene poco credibili.

È un genere che ha bisogno di rivitalizzarsi, e per farlo Polański non esagera nella regia (almeno nelle intenzioni, ma sempre con la mente a Carnage): una sola location al chiuso e un campionario di anime borghesi da frammentare e presentare in un miscuglio sociale deflagrato, ironico per definizione. I personaggi, marionette sadicamente comandate dal regista, sono insomma rappresentazioni nette della società post-millenium bug: la coppia berlusconiana (lei giovanissima, lui vecchissimo); il pornoattore in pensione che ora “lavora in privato”, le adagiate dame da compagnia con viso e corpo rifatti, e il loro chirurgo plastico; il riccone viziato alla Donald Trump (con tanto di tintarella arancione) e il suo banchiere.

C’è un po’ di gusto felliniano a presentare personaggi senza interruzione di continuità. Un fluviale gruppo di aristocratici, tra quelli che contano di più al mondo, e che, come da regola del genere, vengono spogliati della loro dignità. Cosa importa poi se in mezzo c’è qualche fluido corporeo di troppo? The Palace riconferma il genio di Polański che dopo quattro anni da L’Ufficiale e la spia torna con uno spettacolo pirotecnico strabordante, con tutte le macchie e le paure annesse. Bravo!

Perché “No”, secondo Giulia Calvani

The Palace non è un film. È una satira eccessiva, strabordante, immersa in cliché che solo Polański avrebbe potuto concedersi. Sembra il saluto irriverente di un regista stanco di impegnarsi, allo scadere del suo tempo artistico. La commedia variopinta, animata di personaggi bidimensionali – marionette in un teatro già visto – fallisce l’intento di complessità tanto promosso dal regista: se Joaquim Almeida ne esalta la precisione “svizzera” (per rimanere in tema!) nel costruire storie e figure, l’impressione è che questa volta Polański si sia concentrato sulla sovrastruttura e abbia tralasciato le traiettorie evolutive delle sue creature. Nessun personaggio “si compie” – per scelta, diranno.

Chi avrà ragione?


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25, Roma | Scrittrice, giornalista, cinefila. Social media manager per Cinesociety.it dal 2019, da settembre 2020 collaboro con Cinematographe per la stesura di articoli, recensioni, editoriali, interviste e junket internazionali.
Dottoressa Magistrale in Giornalismo, caposervizio nella sezione Revisioni per NPC Magazine, il mio anno ruota attorno a due eventi: la notte degli Oscar e il Festival di Venezia.

Studente alla Statale di Milano ma cresciuto e formato a Lecco. Il suo luogo preferito è il Monte Resegone anche se non ci è mai andato. Ama i luoghi freddi e odia quelli caldi, ama però le persone calde e odia quelle fredde. Ripete almeno due volte al giorno "questo *inserire film* è la morte del cinema". Studia comunicazione ma in fondo sa che era meglio ingegneria.

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