Abbiamo dimenticato, nel guardare e nel comporre opere d’arte, una caratteristica importante e sottovalutata: l’urgenza. Superficialmente lo chiameremmo sfogo, desiderio o necessità di racconto, ma l’urgenza ci impone la visione dell’autore che vuole raccontare una determinata storia o comunicare un preciso messaggio. Uno dei compiti che dovrebbero essere dell’artista è quello di raccontare o elaborare un tema e un sentimento chiaramente e senza peli sulla lingua e di inserire la sua storia in un contesto o nella realtà in cui vive per toccarci, smuovere una coscienza o farci porre una domanda.
Ci si abbandona ormai all’estetica più sfrenata e vuota, allo storytelling falso e ipocrita per vendere a tutti i costi un’immagine ipercostruita di sé o di quello che si racconta. Tre Euro e Quaranta è qualcosa che non si vede da molto in sala. È un grido contro la realtà lavorativa spietata, che divora le vite di una generazione e fa marcire i sogni nella routine della sopravvivenza di ogni giorno. Ecco cos’è Tre Euro e Quaranta, l’opera prima di Antonio Giannotta, classe 1995, che rimane con tre euro e quaranta in tasca e grida contro una realtà sempre più insostenibile.
Tre Euro e Quaranta, esordio alla regia del noto influencer e divulgatore di cinema, ci strappa un sorriso amaro. Girato in una settimana e mezzo, con ristretti costi di produzione, una troupe di amici e giovani professionisti e uno stile molto ricercato, Tre Euro e Quaranta è un’opera girata, scritta e diretta più che bene, non solo dal punto di vista tecnico ma anche a livello del messaggio che lancia, in modo esplicito e chiaro, nella desolante angoscia del finale.
Tre Euro e Quaranta, esordio lucido e brillante
Giannotta prende ispirazione dalla sua stessa vita e da episodi vissuti dai suoi coetanei. Si butta anima, penna, mente e corpo nella rappresentazione del precariato giovanile: il suo personaggio è un pittore che rimane con i titolari tre euro e quaranta e corre nella giungla d’asfalto di Milano per trovare un lavoro e consegnare un dipinto a una mostra. Tra un colloquio e un caffè veloce con il suo sarcastico coinquilino, forse trova l’amore, mentre cerca di ottenere un posto di lavoro per poter comprare il colore blu e tornare ogni tanto “giù” a trovare la madre.
Quadri e istantanee esprimono i suoi pensieri e aspirazioni: Giannotta li fa parlare per sé in un flusso di coscienza dal tono concitato e frettoloso. Per il protagonista, trovare qualcuno con cui esternare le idee e i pensieri è qualcosa che interrompe la sua solitaria galleria mentale e lo apre a un confronto che gli dà tregua nella sua vita frenetica.
Tre Euro e Quaranta non è solo una metafora della situazione lavorativa dei giovani ma è un ritratto tout court di una generazione che è costretta a correre, a presentare sempre più curriculum, a sacrificare i sogni per la stabilità economica, crogiolandosi tra nevrosi e ansie che non fanno vivere i successi né la quotidianità.
Solo per una circostanza assurda il protagonista riesce nell’intento di esporre il suo quadro al pubblico, in un posto che non sia casa sua o il salotto di sua madre: l’elemento dell’assurdo e dell’alienante è molto presente nelle sequenze di colloquio e sospende l’atmosfera, quasi come se ci si trovasse in una serie TV da colletti bianchi o nel tipico e apatico spot pubblicitario aziendale, infarcito di anglicismi e ideologie distorte e tossiche sulla produttività.
Ciò che colpisce non sono solo la recitazione degli interpreti, tutti notevoli – specialmente la recruiter Erica Castiglioni e la coprotagonista Letizia Perrieri -, e la regia intelligente e frenetica, ma anche il montaggio che evoca la fretta, con l’aiuto del suono di una tromba jazz in strada, o la calma e l’interiorità del protagonista, come nella sequenza della passeggiata sui navigli, in cui la colonna sonora è più distesa. In questa scena, tra uno scatto di polaroid e un altro, emergono personalità milanesi come la poetessa Alda Merini o il mitico cantautore Giorgio Gaber, di cui il regista riconosce la poesia e un senso critico affine al tema portante del film.
Potrebbe richiamare Perfect Days, ma Tre Euro e Quaranta non racconta un’ode alla quotidianità, bensì una quotidianità indiavolata che porta al collasso dell’individuo. Tre Euro e Quaranta è un film che raccoglie in sé altre arti, in particolar modo la pittura: i corpi magri e tesi dei dipinti di Niccolò Moretti costituiscono una chiave di lettura per accedere al mondo interiore del protagonista.
Tre Euro e Quaranta, pittura e cinema che raccontano la contemporaneità
Tre Euro e Quaranta rispecchia non solo le difficoltà del mondo di oggi – in cui trovare lavoro è diventato un lavoro – ma rielabora e cita un certo tipo di commedia italiana tipica del periodo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, come Ricomincio da Tre di Troisi e le commedie di Aldo, Giovanni e Giacomo, che raccontavano già al tempo delle problematiche di emancipazione economica e di un mondo che si affacciava su un futuro incerto.
Quel futuro rimane incerto, se non desolante, per Giannotta, che vuole però scuotere il pubblico e puntare i riflettori su un problema reale che si sta aggravando in maniera mostruosa e forse irreparabile. Il grido di Bracht, o meglio di Giannotta, è anche rivolto a un cinema italiano completamente staccato dalla realtà, che non sa più rappresentare l’oggi, se non rendendolo una macchietta.
Tre Euro e Quaranta è necessario per far tremare le coscienze, o almeno per provare a porre l’attenzione su problemi reali, qui rappresentati con grande percezione del contesto e sensibilità artistica da manuale. È il segno che non è del tutto finita; ci rimangono pochi autori in grado di raccontare la realtà e ci vogliono più voci come quella di Antonio Giannotta. Cari registi e care registe, calatevi nel mondo reale e ricercate quell’urgenza tanto mal compresa, perduta e sottovalutata che è caratteristica di un’opera d’arte bella e vera.
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