La nuova docu-serie true crime di Mark Lewis, Vatican Girl, ci tiene sul filo del rasoio per quattro episodi raccontando in modo chiaro e dettagliato il misterioso rapimento della quindicenne Emanuela Orlandi, avvenuto il 22 giungo 1983 e rimasto tutt’ora irrisolto. Vatican Girl è su Netflix dal 20 ottobre 2022 e ha già acceso alcune critiche per come la tragica vicenda è trasposta per la tv internazionale.
Vatican Girl, non un rapimento qualsiasi
Le intricate fila del caso della giovane scomparsa vengono abilmente sciorinate in Vatican Girl, che delinea tre teorie principali dell’accaduto, prendendo in esame la Banda della Magliana, il KGB, i Lupi Grigi, il Banco Ambrosiano e persino delle avances sessuali avvenute all’interno dei giardini della casa pontificia. Ovviamente tutte queste strade portano nello stesso luogo: il Vaticano.
D’altronde, come ripete spesso Andrea Purgatori, narratore e allora giornalista del Corriere della Sera che ha seguito le indagini, “she was not an ordinary child. She was a vatican girl”: non siamo quindi di fronte alla storia di un rapimento qualsiasi.
L’abilità di Lewis è stata intervistare con ordine cronologico e logico testimoni e persone coinvolte nelle indagini, presentandoci come vere anche le false piste per poi confutarle attraverso il parere di vari esperti.
In questo modo, oltre a improvvisarci detective, viviamo il dramma immedesimandoci nei famigliari della vittima: essi hanno un ruolo importante nel racconto della vicenda, come per esempio Pietro Orlandi, fratello di Emanuela e secondo narratore.
Lo schema narrativo si sviluppa in modo tale che proprio nel momento in cui pensiamo di essere vicini alla soluzione dell’enigma, tutto viene mandato in fumo, invitandoci a cercare nuovi indizi nell’episodio successivo.
Bel Paese e gli anni Ottanta
Vatican Girl si rivolge senza dubbio a un’audience soprattutto internazionale, oltre che italiana, stereotipando attraverso canzoni e riferimenti visivi gli anni Ottanta e Novanta del “Bel Paese”. Tra le frasi iconiche e ricorrenti spicca infatti anche “è tutto un gioco di potere”, pronunciata da Sabrina Minardi che ripete le parole di Enrico “Renatino” De Pedis, capo mafioso della Banda Magliana e suo amante, sospettato di avere un ruolo nel sequestro della giovane.
Attraverso questi espedienti narrativi l’Italia risulta ancora una volta al pubblico internazionale come la patria della Chiesa e della mafia (ci si aspettava forse anche una pizza?), facendo leva sui cliché del genere gangster.
Se il piano dell’engagement funziona molto bene, a livello registico Vatican Girl predilige un approccio ibrido tra materiali d’archivio e ricostruzioni attuali, che risulta ripetitivo e tende a confondere lo spettatore.
La regia convenzionale viene invece resa meno lineare dalle animazioni, dall’effetto visivo “tv anni Ottanta” e tramite i suoni di riavvolgimento del nastro del registratore quando viene introdotto un nuovo paragrafo della storia. Come da copione, il marchio Netflix si fa sentire nell’estetica, influenzando la colonna sonora con toni di suspense e tingendo l’atmosfera con colori saturi e sfumature cupe.
Perché Vatican Girl ignora la pista che conduce al Vaticano
Come è stato riportato nei titoli di coda, lo stato del Vaticano non ha voluto rilasciare interviste né dichiarazioni di alcun tipo per realizzare la docu-serie. Questo non ci stupisce più di tanto. Ciò che invece potrebbe risultare strano a chi si è documentato sulla vicenda anche su altre fonti, è che l’unica pista che inizia e finisce all’interno del Vaticano stesso non viene approfondita, ma solamente citata.
Si tratta della pista della pedofilia all’interno dello Stato della Chiesa, motivo di shock dal momento che i precedenti reati sono sempre stati ricondotti al suolo italico esterno al Vaticano.
Questa teoria affonda le sue radici nelle agghiaccianti testimonianze del Monsignor Marcinkus (presidente della Banca del Vaticano, deceduto nel 2006), Padre Gabriele Amorth (sacerdote, deceduto nel 2016) e Sabrina Minardi, la quale sorprendentemente nella serie omette qualsiasi informazione che potrebbe riguardare l’ipotesi della pedofilia, nonostante avesse già rilasciato dichiarazioni che riconducevano ad essa il 14 giugno 2008.
Perché Vatican Girl non esplora questa teoria, che è tra le più accreditate? Forse anche in questo caso agisce qualche “gioco di potere”? Netflix avrebbe comunque preso in carico la serie se Lewis avesse deciso di trattare questo scomodo argomento?
Anche in questo caso, come nell’affaire Orlandi, sono tutte speculazioni. Rimane il fatto che Vatican Girl è un prodotto coinvolgente, interessante e stimola abbondanti riflessioni, oltre a farci fare la parte dei detective: in poche parole, merita di essere visto.
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