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Winter Brothers, il convincente esordio di Pálmason

Arriva in sala il primo film del talentoso regista islandese

5 minuti di lettura

Sei anni dopo il suo debutto in madrepatria, arriva finalmente anche in Italia Winter Brothers, opera prima del regista islandese Hlynur Pálmason. Con protagonista Elliott Crosset Hove, premiato come miglior attore protagonista al Festival del Cinema di Locarno, Winter Brothers è disponibile nelle sale italiane dal 25 maggio.

La storia di Winter Brothers

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Emil (Elliott Crosset Hove) è un giovane minatore di una cava di gesso. Ritenuto strambo dalla maggior parte dei suoi colleghi, è una figura tutto sommato rispettata poiché produce alcol clandestino, necessario per sopportare gli insostenibili ritmi di lavoro all’interno della cava. Un giorno le cose cambiano quando Michael (Michael Brostrup), uno dei lavoratori più anziani e rispettati della cava, si ammala gravemente dopo aver bevuto uno degli intrugli di Emil. Comincia così per il giovane un lungo calvario che lo vedrà scontrarsi con i suoi colleghi e con suo fratello Johan (Simon Sears), mentre sullo sfondo campeggia una natura che, brulla e impenetrabile, accentua ulteriormente in Emil una profondissima alienazione.

Lo sguardo di un predestinato

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Potrebbe apparire piuttosto inconsueto – forse non troppo nel nostro paese – il modo in cui sia giunta in Italia la breve filmografia di Hlynur Pálmason. Il più recente Godland – Nella terra di Dio (2022) è stato il primo ad arrivare nelle nostre sale nei primi giorni del 2023, mentre il secondo, A white, white day – Segreti nella nebbia (2019), ha trovato solo da poche settimane una dignitosa distribuzione sulla piattaforma MUBI. Con Winter Brothers (2017) si chiude quindi a ritroso un cerchio: d’altronde, il primo ed esaltante lavoro del talentuoso regista islandese non poteva di certo passare inosservato, e risulta anzi indispensabile per trattare opportunamente una poetica che appare sin dal suo debutto parecchio consolidata, nonché ricca di spunti di riflessione.

I numi tutelari di Pálmason sono abbastanza evidenti: il cinema della natura metafisica di Herzog e il modello visceralmente esistenzialista di Bergman guidano senz’altro lo sguardo autoriale del regista islandese. Non ci sono vacui virtuosismi nel suo cinema, solo un’asciuttezza di fondo che arricchisce tematiche di portata universale, come il complesso rapporto tra uomo e natura, i conflitti che scandiscono i legami di una comunità soltanto apparentemente pacifica, la fede verso un qualche dio che ben si nasconde nei paesaggi innevati di un territorio lontano. E poi, cosa per nulla scontata, c’è un lavoro certosino di tutto il comparto tecnico, capace di creare con gran naturalezza delle vere e proprie sinfonie visive.

Winter Brothers, un debutto da non perdere

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Molti meriti di Winter Brothers vanno sicuramente alla fotografia suggestiva di una delle storiche collaboratrici di Pálmason, Maria von Hausswolff: classe ’85, quest’ultima è la punta di diamante di una troupe che segue il regista islandese sin dagli inizi, contribuendo alla definizione di uno stile maturo e consapevole. Il buio inquietante della cava e le luci abbacinanti immortalate da von Hausswolff, oltre a essere realizzate con indiscutibile maestria, ben polarizzano le anime ambigue dei personaggi, sempre in bilico tra controllo automatizzato delle proprie emozioni e perdita incontrollata delle stesse. Decisamente calzante inoltre la colonna sonora di Toke Brorson Odin, in grado di dare al film un tono ancora più graffiante e sofferente.

Ma Winter Brothers non sarebbe stato lo stesso senza Elliott Crosset Hove, uno degli attori feticcio di Pálmason. Se nella prima parte egli decide di lavorare essenzialmente di sottrazione, donando al suo Emil una causticità quasi glaciale, è nella seconda parte che l’alienazione insita nel suo personaggio esplode fragorosamente, scardinando emozioni troppo a lungo assopite. Come un novello Travis Bickle influenzato non dall’indifferenza caotica di una New York sudicia e sanguinosa, ma da una Danimarca disciplinata e raggelante, Crossett Hove presta corpo e voce a uno dei tanti reietti raccontati dall’occhio vigile della settima arte. Un emarginato a cui Pálmason dà una convincente, disperata vita cinematografica.


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Napoletano, classe 1996, laureato in Filologia moderna e con un master in Drammaturgia e Cinematografia. Perennemente alla ricerca di sonno, cibo e stabilità psicofisica, vivrebbe felice anche nel più scoraggiante dei film di Von Trier, ma si accontenta della vita reale insegnando nelle scuole ad amare le belle storie. Nulla gli illumina gli occhi più del buio di una sala.

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