Darkling è l’ultimo film di Dušan Milić presentato in anteprima al Trieste Film Festival e vincitore del premio del pubblico per il miglior lungometraggio. Il regista punta l’occhio sulla situazione kosovara nel 2004, quando la guerra è finita me se ne sentono ancora forti gli echi terribili. Cosa rimane a conflitto finito? È possibile riconoscere i vinti e i vincitori?
Milić con Darkling ci descrive uno scenario desolato e terribile, l’opposizione tra serbi e albanesi esiste ancora, ma come in tutte le guerre il nemico è sempre l’altro rispetto a noi e non è identificabile a priori. Darkling propone un ragionamento sulla guerra, sulle brutture e conseguenze della guerra e su ciò che rimane a conflitto finito: la paura, la paranoia, il senso di abbandono.
Darkling è in sala dal 21 aprile 2022 grazie a A_Lab, Lo Scrittoio.
Non solo una storia di guerra
Il racconto procede attraverso l’esperienza di Milica, una bambina che vive con la madre nella casa del nonno, una casa povera, isolata al confine del bosco in cui sembrano risiedere forze maligne e oscure o in cui forse trovano nascondiglio i nemici. Sono poche le famiglie serbe ancora rimaste ad abitare quei luoghi, chi può scappa, chi non può rimane ad aspettare il ritorno dei cari scomparsi.
Milić decide di giocare con i generi dell’horror e del thriller per raccontare più che la storia, una possibile storia, che è in sé molte altre storie successe, che succedono o che potranno succedere. Perché ciò che decide di raccontare Milić con Darkling, non è la guerra in Kosovo, quella è solo il pretesto, lo spunto che genera una riflessione più ampia e universale; il tema centrale del film di Milić è, infatti, la paura, la convivenza con la paura, una vita che che non è più vita ma sopravvivenza.
È in questo senso che risulta totalmente centrato il ricorso al genere horror e l’utilizzo dei suoi maggior tratti distintivi come la presenza di qualcosa che non è dato vedere, l’isolamento, l’assedio di forze oscure, elementi che servono a inscenare e dare forma alla paura dei protagonisti e diventano metafora dell’orrore della guerra.
La guerra è finita al tempo del racconto di Milić, ma è presente ancora in maniera molto forte, nelle case povere degli abitanti di questa parte di mondo, nella mancanza di viveri, nella presenza delle forze militari (il KFOR che ogni giorni accompagna i bambini a scuola), nei familiari scomparsi, nelle paure mai cessate dei protagonisti. Milić realizza un quadro fedele della situazione di abbandono in cui versano gli abitanti e il territorio stesso del Kosovo, una situazione in cui alla sfiducia si somma l’impotenza, la frustrazione, il dolore e la rabbia.
Darkling non presenta un particolare sviluppo narrativo, l’attenzione del regista e dei collaboratori si concentra, invece, nella realizzazione di un crescendo di tensione, nel creare suspense, evocare l’atmosfera di mistero, incognito, paranoia. Più volte l’inquadratura è rivolta verso la foresta, come a voler scrutare tra i rami, cercare di vedere attraverso, altrettante volte dalla foresta è rivolta verso la casa dei protagonisti, come se chi si stia celando tra gli alberi li stia osservando, spiando.
Ma questo qualcuno o qualcosa non è mai mostrato, il nemico non si vede mai, fino a chiedersi se esista effettivamente un nemico reale o se sia solo una paura immaginaria, nella testa, figlia dell’orrore della guerra. La minaccia però è reale, gli animali vengono uccisi, le recinzioni violate, e le persone oltre che private del loro sostentamento si sento anche abbandonate dallo stato, dal governo e infine anche dalle forze militari.
Darkling, dove l’oscurità pervade ogni cosa
La notte è il momento peggiore, infatti, se durante la giornata ognuno trova azioni da svolgere, al calare del sole ognuno si barrica nella propria abitazione, la casa diventa un vero e proprio bunker e dormire risulta sempre più difficile se non impossibile.
L’oscurità pervade ogni cosa e il lavoro svolto da Milić con il direttore della fotografia è in questo senso il vero punto forte del film: il buio avvolge i protagonisti, la casa, le stanze in una oscurità senza scampo in cui le uniche fonti di luce sono delle fioche e sempre più rare candele. È in questi momenti che l’horror fa la sua irruzione sulla scena, il buio combinato con il sonoro sono usati per creare tensione e infondere paura.
Il punto più alto dell’orrore e della disperazione è raggiunto sul finale, un’esplosione di pathos, disgrazie e dolore, in cui forse la mano è troppo calcata, ma era un esito inevitabile per la strutturazione della narrazione messa in campo da Milić: un punto di non ritorno, un tabula rasa dopo del quale bisogna per forza ricominciare, ripartire da capo.
Andare via o restare
Milić ci presenta tre generazioni a confronto, tre modi di percepire e vivere la guerra e le sue conseguenze. Se Milica quasi non conosce una vita diversa da quella condizionata dal conflitto, il nonno Militin non si da pace dell’abbandono da parte dello stato e l’attaccamento alla sua terra è talmente forte da non considerare nemmeno l’alternativa della partenza. Sia Militin che Milica non si arrendono a credere che i due uomini della famiglia scomparsi siano morti e l’attesa del loro ritorno vincola la loro intera esistenza.
Si differenzia Vukica, la madre di Milica e figlia di Militin, che proprio sul finale darà voce al pensiero che la figlia e il padre non osano neanche pensare che gli scomparsi siano morti, che non ritorneranno più e che loro devono andare avanti, andare via da li e cominciare una nuova vita.
Il punto principale del film è proprio questo: andare via o restare, nessuna delle due è la decisione giusta, entrambe contemplano dei rischi. Nel finale la criticità della scelta esplode, il dramma comincia a prendere forma, Militin è inflessibile, vuole restare, anche a costo di perdere la figlia e la nipote, ma la sua scelta condizionerà anche quella della figlia e della nipote, una scelta che appare folle e insensata agli occhi dello spettatore, è impossibile per noi che guardiamo da fuori, con il privilegio del distacco, comprendere una scelta del genere.
Ma se restare presuppone il rischio di morire, andare via non assicura un futuro sereno per chi non ha niente. Il finale getta comunque un barlume di speranza, una possibilità di tornare a vivere.
L’intento di Dušan Milić di portare con Darkling una riflessione che vada oltre gli orrori di una guerra in corso ma che si concentri soprattutto sul vuoto e la paura che rimane quando il conflitto è finito da tempo è pienamente riuscito.
Il film riesce bene a trasmettere il senso di abbandono e di impotenza provato dai protagonisti, la paura e la paranoia generate dalla guerra sono ancora vive in loro e il ricorso al genere horror da parte del regista è un espediente interessante ed intelligente anche se in alcuni momenti troppo calcato da sconfinare nel fantastico.
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