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Il disprezzo copertina

Il disprezzo, il lascito di Godard 60 anni dopo

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8 minuti di lettura

Il disprezzo (titolo originale Le Mépris) compie 60 anni. Uscito nel 1963, scritto e diretto da Jean-Luc Godard e tratto dal romanzo omonimo di Alberto Moravia, Il disprezzo è un’opera monumentale sull’amore, il cinema, e i mondi che si creano da questa intersezione di sguardo e percezione.

Il disprezzo in breve, tra il romanzo e la versione “massacrata”

Brigitte Bardot con una parrucca scura nel ruolo di Camille e Michel Piccoli di spalle nel ruolo di Paul

Il disprezzo è basato su cose essenziali: il mare, la terra, il cielo. I miei personaggi non sono più in accordo con la natura come lo erano gli Antichi, ma ho trattato il paesaggio come un personaggio, dandogli altrettanto spazio che agli attori. Il mio scopo principale è stato questo ritorno al classicismo, alla serenità. Dovevo ritrovare tutto il cinema classico, da Chaplin a Griffith, fino ai cliché nel caso. Il disprezzo è un film sul cinema.

Jean-Luc Godard

Paul (Michel Piccoli), uno sceneggiatore, si reca a Roma con la compagna Camille (Brigitte Bardot) su richiesta del produttore americano Jerry Prokosch per riscrivere la sceneggiatura de l’Odissea di Fritz Lang (che nel film compare nel ruolo di sé stesso).

Il disprezzo ha anche una storia interessante dal punto di vista della produzione e della distribuzione. Esistono infatti due versioni del film di Godard: la versione originale francese e una versione italiana, sconfessata dal regista stesso che la ritiene un “massacro” della sua opera. La seconda versione, voluta dal produttore Carlo Ponti, presenta differenze e mancanze sostanziali: quattrocento metri di pellicola e venti minuti in meno, una colonna sonora diversa con le musiche di George Delerue sostituite con quelle di Piero Piccioni, la scena iniziale con Bardot assente, le due scene finale invertite e un doppiaggio che altera significativamente i dialoghi.

Il disprezzo, studio di una coppia in disamore

Brigitte Bardot e Michel Piccoli nel ruolo di Camille e Paul in una scena de Il disprezzo

Il disprezzo è fatto di linee essenziali, colori primari, amori che svaniscono nel silenzio. Come quello di Camille per Paul, che nel corso del loro soggiorno a Capri si tramuta in disprezzo. L’amore in realtà svanisce fin da subito, o quasi: lo possiamo vedere scivolare via dallo sguardo di Camille nei primi momenti del film, quando Paul la lascia sola in balia delle attenzioni del produttore americano Prokosch.

È invece il disprezzo il sentimento più complesso, che si insinua in assenza dell’amore e nasce dal malinteso mai chiarito per poi alimentarsi attraverso un accumularsi di silenzi fraintesi, di dettagli trascurati, di bisogni inappagati.

Nella primissima scena de Il disprezzo, Camille e Paul sono ancora totalmente immersi in un’atmosfera amorosa pura, incontaminata, distante dal mondo. Una scena estorta con fatica dai produttori del film, che volevano delle scene di nudo di Bardot che ne valorizzassero lo statuto di icona sexy, diventa una scena poetica. In una lunga inquadratura intrisa di filtri cromatici, rosso, bianco e blu, il corpo nudo di Bardot diventa un campo astratto dove danzano le forze dell’amore e del desiderio. Mi ami?”Ti amo totalmente, teneramente, tragicamente“. Un dialogo essenziale, un alternarsi di domande e risposte brevi dove tutto è semplice e trasparente, lontano da complicazioni.

Ma la prima scena de Il disprezzo è una dimensione ideale e inaccessibile, un momento di beatitudine da cui i personaggi stessi vengono esclusi come il primo uomo e la prima donna dal giardino dell’Eden. Nel momento in cui ritorneranno nella vita quotidiana e si caleranno nel caos di Cinecittà, il rapporto è destinato a deteriorarsi, a sfaldarsi tra una sfilza di incomprensioni e di silenzi ostinati.

Il cambio di scenario, in una Capri immersa in una luce abbacinante dove si mettono in scena per la macchina da presa le grandi mitologie dell’antichità, potrebbe sembrare un ritorno a quel paradiso: ma le piccole tragedie umane che si consumano sull’isola ci ricordano la natura fragile e inafferrabile di quel luogo incontaminato.

Il disprezzo e il cinema come mosaico di storie

Brigitte Bardot e Michel Piccoli nei ruoli di Camille e Paul in una scena de Il disprezzo

Il disprezzo non è solo la storia di un matrimonio borghese allo sfacelo: è uno degli esempi più riusciti di metacinema, di cinema che non solo riflette su sé stesso ma su tutto quello che l’ha preceduto e su ciò che si prospetta davanti a sé. Il mondo cinematografico de Il disprezzo è governato da logiche utilitaristiche, dove è il denaro a farla da padrone. Ma tra le strette maglie del profitto si intravede un cinema che resiste: attraverso Fritz Lang, regista di un’Odissea che tenta di riportare in vita davanti alla macchina da presa la grandiosità del mondo antico, il mistero arcaico e così distante da sfuggire alla rappresentazione.

L’occhio della macchina da presa va dove tutti tendono a ritornare: al passato, ai solenni miti fondativi, all’Ulisse assetato di conoscenza che non trova più la via di casa, alle luci pure del cinema delle origini. Ma nello scandagliare il passato l’occhio cinematografico ricade inevitabilmente su un particolare, sul dettaglio insignificante nel grande schema dell’universo, su una piccolezza umana dove risiede il vero nucleo pulsante della Storia, il materiale corporeo da cui partono tutte le storie.

Una coppia allo sfacelo, una donna che disprezza il marito. E da questa storia ordinaria, di quelle che si consumano ogni giorno dietro le persiane di un appartamento, il cinema ritrova la strada per il presente e le sue inestricabili complessità, diventando lo specchio dell’uomo contemporaneo, dilaniato da una crisi profonda, da una divaricazione identitaria interiore tra modernità e tradizione. Godard mostra questo intrecciarsi di crisi individuali e sociali, nel modo più semplice possibile: seguendo l’istinto della macchina da presa.

A ben riflettere, oltre che la storia psicologica di una donna che disprezza il marito, Il disprezzo mi appare come la storia di naufraghi del mondo occidentale, di scampati al naufragio della modernità, che sbarcano un giorno, come gli eroi di Verne e di Stevenson, su un’isola deserta e misteriosa, il cui mistero è inesorabilmente l’assenza di mistero, cioè la verità. Film semplice e senza misteri, film aristotelico, libero dalle apparenze, Il disprezzo prova in 149 inquadrature che nel cinema, come nella vita, non c’è niente di segreto, niente da delucidare, non c’è che da vivere – e da filmare.

Jean-Luc Godard

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Classe 1999, una delle tante fuorisede in terra sabauda. Riguardo periodicamente "Matrimonio all'italiana" e il mio cuore è diviso tra Godard e Varda. Studio al CAM e scrivo frammenti sparsi in giro per il mondo.

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